Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20482 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. II, 06/10/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 06/10/2011), n.20482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.F., rappresentato e difeso per procura a

margine del ricorso dall’Avvocato MOLINARO Lorenzo Bruno,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Andrea

Morsillo in Roma, via Aquileia n. 12;

– ricorrente –

contro

D.C.I., D.C.E., D.C.M., D.

C.F.C. o F.C., rappresentati e difesi

per procura a margine del controricorso dagli Avvocati D’AMBRA

Giovanni e Ugo Nonno, elettivamente domiciliati presso lo studio del

primo in Forio d’Ischia, via San Vito n. 56;

– controricorrenti –

e

D.C.G., M.M.G., D.C.

S. e Di.Co.El.;

– intimati –

e

B.M.T., residente in (OMISSIS),

rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso

dall’Avvocato Gianpaolo Buono, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avvocato Maria Cristina Tabano in Roma, via Edoardo

Jenner n. 102;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1268 della Corte di appello di Napoli,

depositata il 29 aprile 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese delle parti, svolte dall’Avvocato Lorenzo Bruno

Molinaro per il ricorrente principale e dall’Avvocato Giampaolo Buono

per la controricorrente e ricorrente incidentale B.M.

T.;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha chiesto il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.C.G. e D.C.I., quest’ultima in proprio e quale procuratrice generale della madre M.M.G. e dei germani D.C.M., D.C.E., D.C. S., D.C.F.C. e Di.Co.El., esposero di avere conferito al congiunto D.C.F., in data 10 agosto 1976, una procura generale ad amministrare e vendere una serie di immobili in loro comproprietà siti nei comuni di (OMISSIS), che tale procura era stata tuttavia revocata da D.C.F.C. e Di.Co.El. con atto del 17 dicembre 1982 e dagli altri mediante conferimento, in pari data, di nuova procura e successiva revoca della stessa in data 1 dicembre 1988, che, nonostante tali revoche, il congiunto aveva, avvalendosi della procura, venduto alla propria moglie, B. M.T., con atto pubblico del 25 gennaio 1990, gli immobili degli attori per il prezzo complessivo di L. 40.000.000, mai incassato. Ciò premesso convennero in giudizio D.C. F. e B.M.T. chiedendo che fosse dichiarato invalido ed inefficace il contratto di compravendita dagli stessi stipulato.

D.C.F. si oppose alla domanda, assumendo di non avere mai avuto conoscenza degli atti di revoca della procura, di avere agito nei limiti del mandato conferitogli e di avere versato agli attori il prezzo della compravendita.

B.M. si costituì eccependo la propria buona fede circa l’esistenza della procura al momento dell’acquisto e chiese, in via riconvenzionale, che, in caso di accoglimento della domanda delle controparti, queste fossero condannate a restituirle il prezzo versato.

Il Tribunale di Napoli, in accoglimento della domanda, dichiarò l’inefficacia del contratto di compravendita impugnato per mancanza del potere rappresentativo dei venditore e che nulla era dovuto dagli attori alle controparti per effetto della retrocessione dei beni.

Interposto gravame, con sentenza n. 1268 del 29 aprile 2005 la Corte di appello di Napoli confermò la pronuncia di primo grado, rigettando l’impugnazione principale proposta da D.C. F. e dichiarando inammissibile quella incidentale avanzata da B.M.. A sostegno di tale conclusione, il giudice di secondo grado osservò che la revoca della procura formalizzata con atto del 1 dicembre 1988 era stata ritualmente notificata al convenuto a mezzo dell’ufficiale giudiziario secondo le modalità stabilite dall’art. 140 cod. proc. civ., che tale notificazione faceva presumere la conoscenza da parte del convenuto anche di tutti gli altri atti precedenti e che, comunque, non era verosimile che egli avesse venduto la totalità dei beni alla propria moglie senza consultarsi con i mandanti sulla congruità del prezzo e senza verificare la perdurante validità della procura rilasciata ben 14 anni prima; affermò, pertanto, che, al momento della stipulazione del contratto di compravendita, il convenuto aveva agito in assenza di qualsiasi potere rappresentativo dei venditori. Dichiarò invece inammissibile l’appello incidentale avanzato da B.M., in quanto proposto tardivamente oltre il termine stabilito dall’art. 343 cod. proc. civ., dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni.

Per la cassazione di questa decisione, notificata il 14 ottobre 2005, ricorre, con atto notificato il 12 dicembre 2005, D.C. F., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria.

Resistono con controricorso D.C.I., D.C.E., D. C.M., D.C.F.C..

D.C.G., M.M.G., D.C. S. e Di.Co.El. non si sono costituiti.

B.M.T. ha notificato controricorso e proposto a sua volta ricorso incidentale, sostenuto da un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2.1. Il primo motivo del ricorso principale avanzato da D.C. F. denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia e violazione e falsa applicazione degli artt. 1334, 1335 e 1324 cod. civ. nonchè degli artt. 1396, 1397 e 1726 cod. civ., dell’art. 99 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ.. Con una prima censura, il ricorso lamenta che la Corte territoriale abbia disatteso il disposto di cui all’art. 1726 cod. civ., ritenendo efficace la revoca della procura del 1 dicembre 1988 nonostante che il mandato del 1976 fosse stato conferito da più persone congiuntamente e la revoca non provenisse da tutti i mandanti.

La considerazione della sentenza secondo cui non era verosimile che, prima dell’atto di vendita, il procuratore non avesse consultato i mandanti sul prezzo e verificato la perdurante validità della procura sconta un difetto di valutazione dello stesso atto di procura, che conferiva all’odierno ricorrente un amplissimo potere decisionale e di gestione dei beni.

La Corte non ha poi considerato che gli attori non avevano fornito la prova di avere comunicato al convenuto gli atti di revoca. In particolare, la prova manca sia per gli atti del 1982 che per l’atto di revoca del 1988, a nulla rilevando che quest’ultimo sia stato notificato a mezzo ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ.. In primo luogo, perchè la comunicazione di revoca, essendo atto sostanziale, è svincolata dall’osservanza del procedimento di notifica degli atti giudiziari; in secondo luogo in quanto la revoca, quale atto unilaterale recettizio, ai sensi dell’art. 1335 cod. civ., si reputa conosciuto e produce effetto nel momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario, sempre che questi non provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia, prova che nel caso di specie risultava ictu oculi dalla circostanza che il convenuto, al momento della notifica, non era presente e che la raccomandata successivamente inviata era stata rispedita al mittente per compiuta giacenza. 11 motivo è infondato.

La prima censura, che lamenta la disapplicazione della disposizione di cui all’art. 1726 cod. civ., secondo cui la revoca del mandato collettivo non ha effetto se non è fatta da tutti i mandanti, è infondata. Essa invero si basa sul rilievo che la revoca del 1988 sarebbe stata fatta soltanto da alcuni dei mandanti, non avendo ad essa partecipato D.C.F.C. e D.C. E., che avevano sì revocato la procura precedentemente, con atto del 17 dicembre 1982, ma mai comunicato l’atto di revoca al convenuto. Questa ultima allegazione di fatto appare però smentita dalla sentenza impugnata, avendo il giudice a quo affermato, con apprezzamento di fatto, che con la comunicazione dell’atto di revoca del 1988 la parte aveva avuto comunque conoscenza degli atti precedenti.

Merita comunque aggiungere che l’argomentazione del ricorrente circa l’applicabilità, nel caso di specie, della disposizione dell’art. 1726 cod. civ. non può essere condivisa.

Diversamente da quanto prospettato dal ricorso, la fattispecie del mandato collettivo non si perfeziona per il mero fatto che l’incarico venga conferito da più persone con il medesimo atto, ma richiede altresì che il conferimento congiunto venga disposto per un affare di interesse comune. Ora, mentre la prima circostanza risulta pacificamente dagli atti di causa, la seconda non è stata non solo dimostrata, ma nemmeno allegata. Nè il requisito in discorso può farsi discendere, per una sorta di automatismo, dalla mera presenza di un unico atto di conferimento dell’incarico. Questa circostanza costituisce senz’altro un elemento a favore della coincidenza di interessi, ma ancora non dimostra, come risulta dal tenore letterale del dettato normativo, che richiede l’uno e l’altro requisito, che l’interesse dei mandanti al compimento della compravendita era tra loro comune. Tale situazione può riscontrarsi soltanto laddove risulti che la volontà di ciascun mandante era legata alla volontà degli altri, che vale a dire ciascuno di essi si era determinato al conferimento dell’incarico in ragione dell’adesione degli altri, impegnandosi quindi anche nei loro confronti, in vista del compimento di un affare unico, indivisibile ed indistinto, situazione che, sola, può giustificare la regola dell’inefficacia della revoca prestata da uno solo dei mandanti (Cass. n. 16678 del 2002, che ha escluso che si abbia mandato collettivo qualora i comproprietari di un bene indiviso conferiscano ad un terzo mandato per la vendita del bene; Cass. n. 1184 del 1974). In ogni caso l’accertamento di un tale requisito del mandato implica un apprezzamento che, avendo natura di mero fatto, esula dai poteri di questa Corte.

Anche le altre censure sollevate con il mezzo sono infondate.

La Corte di merito ha motivato il proprio convincimento in ordine all’efficacia della revoca della procura sulla base della considerazione che essa era stata ritualmente notificata al domicilio del rappresentante, a mezzo del procedimento di cui all’art. 140 cod. proc. civ., e che la sua notificazione faceva presumere la conoscenza, in capo al destinatario, anche degli atti precedenti, in particolare della sostituzione della procura del 1976 con quella del 1982. Ha quindi aggiunto che non era nemmeno credibile che il convenuto avesse ceduto tutti i beni dei rappresentati in forza di una procura rilasciata 14 anni prima senza verificare la permanenza della volontà sottostante e senza consultarli sul prezzo di vendita.

Sotto i profilo dell’obbligo di motivazione, le ragioni esposte dal giudice a qua appaiono sufficienti e logicamente adeguate a giustificare la conclusione accolta.

Per conto, non appaiono condividibili le critiche con cui il ricorrente ha contestato la prova della conoscenza dell’atto di revoca della procura.

Il giudice di secondo grado, al pari del giudice di prime cure, ha infatti accertato che il procedimento notificatorio dell’atto di revoca del 1988 aveva osservato tutti gli adempimenti previsti dalla legge e si era, pertanto, ritualmente perfezionato; ha quindi, del tutto correttamente, desunto la conoscenza legale dell’atto da parte del destinatario.

Questa conclusione è contestata dal ricorso, il quale oppone che la comunicazione degli atti negoziali, quale quello di revoca della procura, è svincolata dall’osservanza del procedimento di notifica degli atti giudiziali previsto dall’art. 137 cod. proc. civ., e segg., e che il giudice non ha considerato che la mancata incolpevole conoscenza dell’atto da parte del convenuto risultava proprio dal fatto che la notifica aveva seguito il rito di cui all’art. 140 e che perfino la raccomandata diretta, a dare notizia al destinatario degli adempimenti compiuti dall’ufficiale giudiziario era tornata indietro per compiuta giacenza.

Entrambe le censure sono infondate.

La prima, dovendosi rilevare che il procedimento notificatorio disciplinato dal codice di procedura civile, cui certamente è sottratta la comunicazione di revoca della procura, è tuttavia mezzo di comunicazione che offre obiettivamente le maggiori garanzie possibili di conoscenza dell’atto da parte della persona cui è diretto, tanto da venire esteso dalla legge anche agli atti sostanziali, laddove è avvertita con maggior forza l’esigenza di garantire la loro conoscenza al destinatario (come nel caso degli avvisi di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60). Ne consegue che non solo la sua utilizzazione, in luogo di altri mezzi di trasmissione dell’atto, quale il ricorso al servizio postale, non può costituire motivo per dubitare della correttezza ed adeguatezza del mezzo prescelto, ma che, a parte il caso in cui il procedimento termini con la consegna a mani proprie, in cui vi è la prova della conoscenza effettiva, l’osservanza degli adempimenti notificatori previsti dalla legge rende perfettamente legittimo presumere la conoscenza dell’atto da parte del destinatario. L’art. 1335 cod. civ. stabilisce, del resto, che la proposta, l’accettazione e la revoca contrattuale si reputano conosciuti “nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario”, risultato che certo non può dubitarsi si realizzi nel caso di utilizzazione del procedimento di notifica.

Con riferimento alla seconda doglianza, che invoca l’applicazione dell’art. 1335 cod. civ., è sufficiente invero osservare che tale disposizione consente di superare la presunzione di conoscenza appena evidenziata soltanto mediante la prova, da parte del destinatario, di essere stato, senza colpa, nell’impossibilità di avere avuto notizia dell’atto. Il ricorrente – che non contesta che la notificazione sia stata eseguita al proprio indirizzo – assume che tale prova era in atti, risultando dallo stesso procedimento notificatorio usato e dall’esito di compiuta giacenza della raccomandata che dava atto delle formalità compiute dall’ufficiale giudiziario. L’argomento non è convincente, atteso che la prova richiesta dalla legge, per poter vincere la presunzione legale, deve necessariamente avere ad oggetto un fatto o una situazione che spezza o interrompe in modo duraturo il collegamento esistente tra il destinatario ed il luogo di destinazione della comunicazione e deve, altresì, dimostrare che tale situazione è incolpevole, non poteva cioè essere superata dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza. Nel caso di specie, invece, il ricorrente non fornisce nè allega alcun fatto diretto a dimostrare di non aver potuto avere conoscenza effettiva dell’atto, nè che tale mancanza era ascrivibile ad un comportamento incolpevole.

La censura che contesta l’osservazione del giudice di merito che ha ritenuto di poter dedurre la conoscenza del convenuto dell’atto di revoca anche dal rilievo che egli, nel momento di stipulare la vendita, avrebbe dovuto verificare, causa il tempo trascorso, la permanenza della procura e quindi anche consultare i mandanti sul prezzo da pattuire, va dichiarata invece assorbita, investendo un’argomentazione di supporto alla conclusione accolta, la quale trova la propria ragione principale nell’affermazione circa la piena efficacia dell’atto di revoca del 1988, attesa la regolarità della sua comunicazione.

2.2. Il secondo motivo del ricorso denunzia omesso esame di un punto decisivo della controversia, insufficiente motivazione e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., lamentando che il giudice territoriale abbia ritenuto superflua la deduzione del fatto che il prezzo della compravendita era stato consegnato dal convenuto ai mandanti, non dando ingresso alle prova per interpello e testi articolata dal convenuto, diretta a provare tale circostanza e quindi che il proprio operato, nonostante la prima revoca, era stato ratificato dalla controparte.

Anche questo motivo è infondato.

Il ragionamento del ricorrente, che ritiene di poter trarre dalla circostanza relativa alla consegna del prezzo di compravendita alle controparti la prova dell’avvenuta ratifica del proprio operato, non è giuridicamente corretto. E’ sufficiente al riguardo richiamare il dettato dell’art. 1399 cod. civ., secondo cui nei casi di rappresentanza senza potere – ipotesi che copre sia la mancanza originale che quella successiva della procura, per effetto della sua revoca prima del compimento dell’atto – il contratto può essere ratificato dall’interessato “con l’osservanza delle forme prescritte per la conclusione di esso”. Ora, poichè il contratto concluso dal convenuto, rappresentante senza poteri, è consistito nella vendita di immobili, atto sottoposto, per la sua validità, alla forma scritta (art. 1350 cod. civ., n. 1), anche la ratifica avrebbe dovuto rivestire tale forma. Correttamene, pertanto, la prova orale articolata dal ricorrente non è stata ammessa, in quanto diretta a provare un fatto inidoneo a produrre gli effetti della ratifica, essendo essa sottoposta al requisito della forma scritta. Nè, può aggiungersi, alla dedotta circostanza, anche se provata, potrebbe attribuirsi il valore di avere posto nel nulla la revoca della procura, atteso il principio, desumibile dall’art. 1328 cod. civ., che l’atto negoziale non può essere revocato dopo che ha prodotto i suoi effetti e che, nel caso di specie, la procura era stata revocata nel 1988, mentre la stipulazione del contratto di vendita, a seguito del quale sarebbe stato versato il prezzo, è avvenuto, successivamente, nel 1990.

3. L’unico motivo del ricorso incidentale avanzato da B.M. T. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 166, 167, 343, 350 e 359, e erronea e insufficiente motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile l’atto di appello incidentale avanzato dalla B. sull’erroneo presupposto che esso, vigente l’art. 343 cod. proc. civ., ante riforma del 1990, fosse stato avanzato dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, laddove esso era contenuto nella comparsa di costituzione depositata alla prima udienza del 25 settembre 2002.

La censura così sollevata è inammissibile in quanto con essa la parte denunzia non già un errore nella formulazione, sul piano logico-giuridico o motivazionale, del giudizio fatto proprio dal giudice di merito, ma, in realtà, un errore di lettura o di percezione di un dato di fatto risultante incontrovertibilmente dagli atti processuali, in particolare dal timbro di deposito apposto dalla Cancelleria del giudice di appello sui propri atti difensivi.

L’errore così denunziato, pertanto, non appare qualificabile all’interno delle categorie della violazione di legge o del vizio di motivazione, ma costituisce un errore revocatorio, ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4.

L’errore revocatorio, com’è noto, consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale porta il giudice ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, o, al contrario, l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulta positivamente accertato (Cass. n. 14267 del 2007; Cass. n. 7469 del 2007; Cass. n. 2713 del 2007). Nel caso di specie l’errore denunziato ha tali caratteri, trovando, sulla base della prospettazione fornita dalla stessa ricorrente, causa nell’allegazione di un fatto che risulterebbe invece pacificamente escluso dagli atti di causa; ne consegue che la parte avrebbe dovuto, per rimediarvi, avvalersi dell’apposito rimedio della revocazione e che, per l’effetto, il ricorso per cassazione è inammissibile.

4. Le spese di giudizio sostenute dai controricorrenti costituiti vanno poste a carico del ricorrente principale, quale parte soccombente, e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono invece giusti motivi, atteso l’oggetto della controversia e le ragioni della decisione, per compensare interamente le spese tra D.C. F. e B.M.T..

P.Q.M.

riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale proposto da D. C.F. e dichiara inammissibile il ricorso incidentale avanzato da B.M.T.; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese di giudizio sostenute dai controricorrenti D.C.I., D.C.E., D.C. M., D.C.F.C., che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge; compensa le spese di giudizio tra le altre parti.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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