Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20480 del 28/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 28/09/2020), n.20480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14384-2014 proposto da:

D.M.F.S., domiciliato ope legis in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso LA Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ELVIO TUVERI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8531/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/02/2014 R.G.N. 3504/2009.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Napoli, previa riunione dei giudizi, ha respinto gli appelli proposti da D.M.F.S. e dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva condannato il Ministero a corrispondere al D.M. il trattamento economico fondamentale previsto per i dirigenti di seconda fascia delle amministrazioni dello Stato, in ragione dell’assegnazione con atto formale, nel periodo giugno 2000/agosto 2005, dell’incarico di direzione della Casa Circondariale Femminile di (OMISSIS), individuato come ufficio di livello dirigenziale non generale dal D.M. 28 novembre 2000;

2. la Corte territoriale ha evidenziato che il legislatore già con il D.Lgs. n. 146 del 2000 aveva inteso qualificare di livello dirigenziale gli istituti penitenziari di rilievo, tanto che con la L. n. 154 del 2005 aveva espressamente inquadrato nella dirigenza i dipendenti dell’area C, posizione economica C3, che alla data di entrata in vigore della legge stessa svolgevano le funzioni di direttori coordinatori di detti istituti;

3. ha ritenuto, pertanto, che ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 1993, art. 56 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e successivamente dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 l’amministrazione fosse tenuta a corrispondere il trattamento economico fondamentale previsto per il personale con qualifica dirigenziale, ma non il trattamento accessorio, costituito dalla retribuzione di posizione e da quella di risultato, in quanto subordinato ad una preventiva valutazione dell’amministrazione in ordine alla graduazione delle funzioni ed alle responsabilità connesse ai singoli incarichi dirigenziali, valutazione che non era stata effettuata nella fattispecie;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.M.F.S. sulla base di un unico motivo al quale non ha opposto difese il Ministero della Giustizia, rimasto intimato anche a seguito della rinnovazione della notifica del ricorso, disposta con ordinanza pronunciata all’esito dell’Adunanza camerale del 19 settembre 2019.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi succedutisi nel tempo, ed in particolare dei c.c.n.l. sottoscritti il 5/4/2001, per i bienni economici 1998/1999 e 2000/2001, e dei c.c.n.l. 13/4/2006, relativi ai bienni economici 2002/2003 e 2004/2005, per la dirigenza delle amministrazioni dello Stato;

1.1. il D.M., invocando giurisprudenza di questa Corte, sostiene che la retribuzione di posizione e quella di risultato, seppure elementi accessori e non fondamentali, vanno apprezzate ai fini del giudizio di adeguatezza ex art. 36 Cost. e pertanto, in assenza di un’espressa quantificazione operata dall’Amministrazione penitenziaria, dovevano essere liquidate dalla Corte territoriale, per analogia e quanto alla parte variabile, in misura corrispondente al trattamento applicato ai dirigenti di cancelleria del Ministero della Giustizia, non potendo essere ritenuta ostativa la sola circostanza che il fondo destinato al finanziamento del trattamento accessorio per i dirigenti penitenziari fosse stato istituito solo nell’anno 2004;

1.2. aggiunge il ricorrente che le parti collettive hanno previsto per la dirigenza statale una parte fissa della retribuzione di posizione che prescinde del tutto dalla graduazione delle funzioni e che, pertanto, andava riconosciuta e liquidata per il solo fatto che fosse stato accertato lo svolgimento di mansioni di livello dirigenziale;

2. il ricorso merita accoglimento nei soli limiti di seguito precisati;

è utile premettere che la dirigenza penitenziaria, negli anni, è stata oggetto di interventi specifici, normativi e contrattuali, che l’hanno differenziata da quella delle altre amministrazioni dello Stato, in ragione della specificità dell’attività svolta, finalizzata a soddisfare le esigenze della prevenzione, della sicurezza sociale e della riabilitazione dei condannati ex art. 27 Cost., comma 3;

2.1. la L. n. 395 del 1990, art. 40, aveva equiparato lo status giuridico ed economico del personale dirigente e direttivo dell’amministrazione penitenziaria a quello previsto per le qualifiche corrispondenti della Polizia di Stato, operando un rinvio alla L. n. 121 del 1981, ai relativi decreti legislativi ed alle altre norme specificamente dettate per quest’ultimo personale;

2.2. successivamente la L. n. 449 del 1997, art. 41 oltre a prevedere il principio generale, ripreso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, secondo cui l’attribuzione di trattamenti economici al personale pubblico contrattualizzato è riservato alla contrattazione collettiva (comma 3), aveva stabilito, al comma 5, la perdita di efficacia, dalla data di entrata in vigore del primo rinnovo contrattuale, delle disposizioni speciali riguardanti il regime riservato agli appartenenti all’amministrazione penitenziaria, fra le quali aveva espressamente menzionato il richiamato L. n. 395 del 1990, art. 40;

2.3. a loro volta le parti collettive, esercitando le prerogative alle stesse riconosciute a seguito della contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico, si sono fatte carico di disciplinare con disposizioni specifiche la transizione fra i due differenti regimi e, come già evidenziato da questa Corte nella motivazione dell’ordinanza n. 3614/2018, qui richiamata ex art. 118 disp. att. c.p.c., con il CCNL 5.4.2001, per il quadriennio normativo 1998/2001 e per il biennio economico 1998/1999, hanno rinviato ad una successiva sequenza contrattuale le modalità di applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 41, comma 5, (art. 36, comma 5 e art. 46, comma 4);

2.4. con il CCNL del 18.11.2004, Sezione III, sono state dettate le “norme di raccordo del trattamento giuridico ed economico del personale dirigente dell’amministrazione penitenziaria” ed è stata prevista l’applicazione, a decorrere dalla data della firma definitiva dell’accordo, di “tutte le norme del CCNL 9-1-1997, I e II biennio, della separata area di contrattazione dei dirigenti ricompresi nel comparto del personale dei Ministeri, quelle del CCNL 5/4/2001, I e II biennio, della dirigenza dell’area 1 e quelle della presente sequenza contrattuale” (art. 10, comma 1);

2.5. è stata, altresì, prevista la costituzione del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato (art. 13) disciplinato, quanto alle modalità di finanziamento, dall’art. 36 del CCNL 9.1.1997 e dagli artt. 41 e 42 del CCNL 5.4.2001;

2.6. in tal modo, a partire dal novembre 2004, si è realizzata la totale assimilazione, quanto al trattamento giuridico ed economico, della dirigenza penitenziaria a quella del comparto Ministeri, con il conseguente integrale superamento del previgente regime che, invece, parificava i dirigenti in parola a quelli della Polizia di Stato;

2.7. il mutamento di status, iniziato con la L. n. 449 del 1997 e portato a compimento con il CCNL 18.11.2004, è stato ripensato dal legislatore che, dapprima con la Legge Delega n. 154 del 2005 e successivamente con il D.Lgs. n. 63 del 2006, ha ripristinato la specialità della carriera dirigenziale penitenziaria rispetto a quella delle altre amministrazioni statali e, attraverso la modifica del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3 ha sottratto il rapporto alla contrattualizzazione, inserendolo fra quelli di diritto pubblico assoggettati alla disciplina dei rispettivi ordinamenti;

3. nelle more del processo sopra riassunto nei suoi tratti essenziali, le strutture e gli organici dell’amministrazione penitenziaria sono stati ridisegnati “al fine di consentire…. il riconoscimento quali uffici di livello dirigenziale degli istituti penitenziari e degli uffici di analogo livello professionale, ad eccezione di quelli di minore rilievo, nonchè al fine di realizzare un ampio decentramento delle funzioni e della responsabilità nella conduzione delle sedi periferiche dell’Amministrazione penitenziaria…” (Legge Delega n. 266 del 1999, art. 12, comma 1);

3.1. il legislatore delegato con il D.Lgs. n. 146 del 2000, art. 2 ha rimesso alla fonte secondaria, ed in particolare al decreto ministeriale, l’individuazione degli istituti penitenziari da elevare ad uffici di livello dirigenziale non generale in ragione “del numero dei detenuti ed internati, del personale in dotazione e della complessiva entità delle risorse gestite, nonchè della realizzazione di progetti sperimentali di particolare rilievo che l’Amministrazione vi organizza” (art. 2, comma 2);

3.2. lo stesso D.Lgs. ha previsto l’aumento delle dotazioni organiche e ha disciplinato all’art. 4 le modalità di copertura delle sedi di livello dirigenziale da effettuarsi, in sede di prima applicazione, mediante concorsi per titoli e colloquio riservati al personale già in servizio ed inquadrato nell’area C;

3.3. queste ultime disposizioni, peraltro, sono state abrogate dalla L. n. 154 del 2005, art. 4 con il quale il legislatore ha previsto che la qualifica dirigenziale dovesse essere attribuita, in ragione dell’esperienza professionale maturata e dell’avvenuto svolgimento di funzioni già riconosciute di livello dirigenziale, a tutto il personale in servizio alla data di entrata in vigore della legge, inquadrato, a seguito di concorso pubblico, nella posizione economica C3 ed appartenente ai profili professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale;

4. questa Corte è stata più volte chiamata a pronunciare sulla questione, che si è posta nelle more del complesso processo di riordino dell’amministrazione penitenziaria, del trattamento economico spettante, nell’arco temporale 2000/2005, al personale, ancora inquadrato nell’area C, preposto alla direzione di istituti penitenziari già elevati ad uffici dirigenziali per effetto dei decreti emanati in attuazione del D.Lgs. n. 146 del 2000, art. 2;

4.1. a partire da Cass. n. 20978/2011 è stato affermato che, una volta classificata la struttura penitenziaria di livello dirigenziale, integra espletamento di mansioni superiori l’assegnazione all’ufficio di personale inquadrato nell’area C, posizione economica C3, e, pertanto, risulta applicabile la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, riconosce, in attuazione dell’art. 36 Cost., il diritto del dipendente a percepire, per il periodo di effettiva prestazione, il trattamento economico previsto per la qualifica superiore;

4.2. il principio, ribadito da Cass. n. 22438/2011, Cass. n. 5401/2013, Cass. n. 11986/2014, Cass. n. 12561/2014, Cass. n. 18680/2015, Cass. n. 7721/2016, è stato ripreso e specificato più di recente da Cass. n. 27388/2018, secondo cui il diritto al superiore trattamento retributivo sorge al momento del D.M. di classificazione, che ha carattere costitutivo, e dalla già citata Cass. n. 3614/2018 con la quale, ricostruita la normativa contrattuale nei termini sopra riportati, è stato ritenuto corretto il parametro utilizzato dal giudice d’appello, che aveva quantificato le differenze retributive sino al 17 novembre 2004 con riferimento al trattamento economico previsto per i dirigenti della Polizia di Stato e solo per il periodo successivo a tale data sulla base della disciplina dettata dal CCNL per la dirigenza statale;

5. va, però, detto che i principi affermati dalle più recenti pronunce rese sul tema da questa Corte, condivisi dal Collegio, non possono spiegare effetti ai fini della decisione che si è chiamati ad assumere nella fattispecie, perchè è qui in discussione la sola spettanza del trattamento accessorio e non appartengono più al tema controverso nè l’estensione temporale dello svolgimento delle mansioni superiori, che la Corte territoriale ha ritenuto di dover riconoscere a far tempo dalla data di entrata in vigore della L. n. 266 del 1999 nè l’individuazione della fonte regolatrice del rapporto dirigenziale da valorizzare ai fini del calcolo delle differenze retributive, atteso che il giudice d’appello, accertato l’an della pretesa dal 6 giugno 2000, ha fatto riferimento per l’intero arco temporale giugno 2000/agosto 2005 ai CCNL per la dirigenza statale e la pronuncia non è stata impugnata dal Ministero, rimasto intimato anche a seguito della rinnovazione della notifica, disposta con ordinanza del 19 settembre 2019;

6. questa Corte da tempo ha affermato che allorquando in relazione ad un medesimo titolo vengano fatte valere più voci di credito, il giudicato interno formatosi su alcuni capi riguarda non solo l’attribuzione del bene della vita ma anche tutte le premesse in fatto e in diritto poste a fondamento della pronuncia sicchè, divenuto incontestabile l’accertamento di tali premesse, lo stesso non può più essere rimesso in discussione limitatamente agli altri capi della domanda, essendo al riguardo ogni discussione preclusa e restando aperto il dibattito solo sulle questioni autonome rispetto a quelle decise, relative all’ammontare dei crediti o alla loro derivazione causale dalle suddette premesse (Cass. n. 1811/1993 e negli stessi termini più di recente Cass. n. 15508/2011);

7. ciò premesso occorre evidenziare che la contrattazione collettiva della cui violazione il ricorrente si duole, quanto alla disciplina del trattamento accessorio, prevede, in relazione alla retribuzione di posizione, che è correlata alle funzioni dirigenziali attribuite e alle connesse responsabilità, una parte fissa, ossia un importo minimo spettante ad ogni dirigente di seconda fascia del comparto, ed una parte variabile (art. 37 del CCNL 5.4.2001 per il quadriennio normativo 1998/2001, art. 1 CCNL 5.4.2001 per il biennio economico 2000/2001, artt. 48 e 55 del CCNL 21.4.2006 per il quadriennio normativo 2002/2005, art. 5 del CCNL 21.4.2006 per il biennio economico 2003/2004), il cui ammontare è correlato alla graduazione delle funzioni, rimessa ad ogni singola amministrazione e da effettuarsi, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili, sulla base di una pluralità di criteri “connessi alle dimensioni della struttura, alla collocazione della posizione nell’organizzazione dell’amministrazione, alla complessità organizzativa, alle responsabilità implicate dalla posizione” (art. 37 del CCNL 9.1.1997);

7.1. in relazione a fattispecie nelle quali venivano in rilievo disposizioni contrattuali che, seppure riferibili ad altri comparti, hanno operato una eguale differenziazione fra parte fissa e parte variabile della retribuzione di posizione, si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo cui il provvedimento di graduazione integra un elemento costitutivo della parte variabile della retribuzione di posizione, con la conseguenza che in sua mancanza la componente variabile non può essere determinata nè con riferimento soltanto all’importanza e complessità dell’incarico ricoperto, nè, in maniera indifferenziata, in proporzione alla disponibilità dell’apposito fondo aziendale (Cass. 6956/2014, Cass. 22934/2016, Cass. n. 2495/2018, Cass. n. 21166/2019);

7.2. il richiamato principio di diritto, al quale il Collegio intende dare continuità, porta ad affermare che nella fattispecie, poichè è pacifico che sia mancata la graduazione della specifica funzione (lo stesso ricorrente chiede l’applicazione in via analogica degli importi previsti per i dirigenti di cancelleria del Ministero della Giustizia), il diritto a percepire la retribuzione di posizione debba essere limitato alla parte fissa della stessa, che è stata predeterminata nel suo ammontare dalle stesse parti collettive, perchè correlata alla funzione dirigenziale in quanto tale, ed è stata sganciata da ogni valutazione connessa alla specificità del singolo incarico;

7.3. ciò perchè se, da un lato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 assicura al dipendente chiamato a svolgere mansioni dirigenziali l’intero trattamento economico spettante per la funzione ricoperta, senza che sia in linea di principio ostativo il carattere accessorio della componente in discussione (si rimanda alla motivazione di Cass. n. 8148/2018 ed alla giurisprudenza ivi richiamata), dall’altro è pur sempre necessario che ricorrano tutti i presupposti richiesti dalla contrattazione collettiva affinchè la pretesa retributiva possa essere azionata, non essendo certo ipotizzabile che il dipendente, facendo leva sull’esercizio di fatto di mansioni superiori, possa ottenere un trattamento di miglior favore rispetto a quello che, nelle medesime condizioni, sarebbe stato riconosciuto al soggetto in possesso della qualifica superiore;

7.4. il ricorrente, nell’insistere sulla spettanza anche della retribuzione di posizione parte variabile, prospetta a fondamento della propria pretesa una lettura non condivisile del principio affermato da Cass. S.U. n. 3814/2011, perchè in quel caso non venivano minimamente in discussione nè l’avvenuta graduazione della funzione dirigenziale momentaneamente ricoperta nè la piena “assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate”;

8. analoghe considerazioni vanno espresse quanto alla retribuzione di risultato che il CCNL 5.4.2001, per il quadriennio normativo 1998/2001, all’art. 44 subordina alla “preventiva, tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel rispetto dei principi di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 14, comma 1” ed alla “positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze della valutazione dei sistemi di cui all’art. 35” che, a sua volta, disciplina compiutamente il sistema “di valutazione della prestazione e delle competenze organizzative dei dirigenti nonchè dei relativi risultati di gestione”;

8.1. nell’interpretare la disciplina contrattuale sopra richiamata, nonchè quella di analogo tenore dettata dal CCNL 21.4.2006 per il quadriennio normativo 2002/2005, art. 57, questa Corte ha osservato che deve escludersi che tale retribuzione possa spettare per il solo fatto dello svolgimento di funzioni superiori perchè la sua erogazione è subordinata alla valutazione positiva dell’Amministrazione circa il raggiungimento di obiettivi gestionali programmati (Cass. n. 8084/2015 e negli stessi termini, fra le più recenti, Cass. n. 21166/2019 che, seppure in relazione ad altro comparto, ribadisce il carattere non automatico della retribuzione di risultato e sottolinea che la stessa è subordinata “per ciascun dirigente, a specifiche determinazioni annuali, volte a vagliare la presenza in concreto dei relativi presupposti, determinazioni da effettuare, nel caso della retribuzione di risultato, solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, oltre che al rispetto dei limiti delle risorse disponibili e della capacità di spesa dell’Amministrazione interessata”);

9. in via conclusiva il ricorso merita accoglimento nei soli limiti sopra indicati e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto indicati nei punti che precedono e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità;

10. non sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2020

 

 

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