Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2048 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/01/2017, (ud. 03/10/2016, dep.27/01/2017),  n. 2048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. D’ISA Claudio – rel. Consigliere –

Dott. IZZO Fausto – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

COBRA AUTOMOTIVE TECHNOLOGIES S.P.A., in persona del legale

rappresentante, Dott. S.S., rappresentata e difesa

dall’avv. Prof. Giuseppe Marini ed elettivamente domiciliata presso

il suo studio, Via dei Monti Parioli, n. 48, Roma, in virtù di

procura speciale come da atti;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t. rappresentato

e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici

domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 116/46/2010 della Commissione

Tributaria Regionale di Milano, sez. 46 in data 6.10.2010.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La COBRA AUTOMOTIVE TECHNOLOGIES S.P.A., quale società incorporante la Drive Rent S.P.A, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano che ha confermato la sentenza n. 433/33/2008 della Commissione Tributaria Provinciale dello stesso capoluogo di rigetto dei ricorsi riuniti, proposti dalla CAR WORLD S.R.L. e dalla DRIVE RENT S.P.A avverso l’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta registro emesso dall’Agenzia delle Entrate di Milano relativo a cessione di ramo d’azienda formalizzata nell’anno 2003, con accertamento valore elevato da Euro 307.286,00 ad Euro 7.250.709,00.

La ricorrente premetteva che:

– nel 2001, la Car World Italia S.p.a., al fine di sviluppare il servizio noleggio a lungo termine di autovetture aveva provveduto all’acquisto di un consistente parco auto anche attraverso un contratto di “factoring” con la “Faber Factor”, usato come strumento di finanziamento, assumendo l’atto negoziale la forma della cessione di crediti futuri;

– allargato il parco auto, il corrispondente ramo d’azienda è stato separato e ceduto ad altra società, la CWI RENT S.p.a. (poi divenuta Drive Rent S.p.a. e poi incorporata nella società oggi ricorrente);

– la cessione del ramo d’azienda ha avuto ad oggetto sia le autovetture destinate al noleggio sia il debito nei confronti della Faber Factor, sicchè di tale debito si è tenuto conto nella determinazione del valore del ramo d’azienda ceduto ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro.

– Dall’attivo del ramo d’azienda, costituito dalle autovetture possedute (Euro 15.734.703.00), dall’avviamento (Euro 1.000.000,00) e da altre attrezzature (Euro 34.320,00) sono state sottratte le passività costituite dai debiti verso la società di factoring (Euro 6.943.423,00) ed altri debiti nei confronti delle società del gruppo (Euro 9.495.627,00), nonchè TFR e ratei del personale (Euro 22.787,00). In definitiva il valore dato al ramo d’azienda era pari ad Euro 307.286,00;

– Con l’avviso di liquidazione, impugnato innanzi alla CTP, l’Agenzia delle Entrate ha liquidato l’imposta di registro aumentando il valore dichiarato eliminando il debito nei confronti della Faber Factor, motivando che tale debito non avrebbe potuto essere computato nella determinazione del ramo d’azienda poichè, al fine della deducibilità dei debiti relativi al finanziamento ottenuto dalla società di factoring, nel bilancio avrebbero dovuto necessariamente risultare corrispettivi crediti nei confronti dei terzi, circostanza questa non evidenziata in bilancio. Più precisamente, l’Ufficio finanziario rappresentava che tali debiti sono qualificati come “anticipazioni contanti”, ovverossia anticipazioni derivanti da corrispettivi per cessione di crediti. Poichè i crediti non sono oggetto di trasferimento non possono trovare collocazione nello stato passivo della società ceduta e neanche le anticipazioni (passività) correlate a tali crediti. Quindi, poichè tali debiti nei confronti della società di Factoring non hanno correlazioni con le poste dell’attivo e non ineriscono al ramo d’azienda ceduto, essi vanno scomputati dal netto di cessione. Sostanzialmente, secondo l’Ufficio, i debiti della Car World Italia S.p.a. verso Faber Factor non deriverebbero da un finanziamento attinente l’acquisto del parco auto da destinare al noleggio e, quindi, relativo al ramo d’azienda oggetto di cessione, bensì atterrebbero esclusivamente ad un normale rapporto di factoring costituito da cessione di crediti da parte dell’odierno ricorrente in favore della Faber factor a nulla valendo il tenore letterale del contratto sottoscritto tra le parti l'(OMISSIS).

– L’avviso di rettifica veniva impugnato, come già esposto, innanzi alla CTP di Milano dalla Drive Rent S.p.a. e dalla Car World S.r.l. che ne eccepivano l’illegittimità stante l’effettiva inerenza dei debiti trasferiti con il ramo d’azienda ceduto, in quanto il debito nei confronti della Faber Factor era sorto quale finanziamento per l’acquisto da parte della Car World Italia S.p.a. delle autovetture da dare in locazione e non quale contropartita per la cessione di crediti che, non essendo stata ancora avviata l’impresa, non potevano essere maturati.

Con la sentenza, depositata il 25 settembre 2008, la CTP di Milano, dopo aver riunito i due giudizi, ha rigettato i ricorsi ritenendo fondata la tesi dell’Agenzia delle Entrate.

Proposto appello la CTR di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la statuizione dei primi giudici affermando: “perchè il debito venga computato, in quanto inerente, occorre che l’inerenza venga dimostrata da una specifica connessione che nel nostro caso non risulta affatto…..risulta, invece, chiaramente l’insussistenza di tale connessione poichè alla voce debiti nei confronti della società di Factoring (qualificati come anticipazione contratti) non corrisponde una simmetrica contropartita all’attivo”. Di qui l’impossibilità di considerare tali debiti inerenti rispetto alla cessione del ramo d’azienda, trattandosi in realtà di un accollo di debito che risulta pertanto non giustificato e, quindi, non compatibile”.

La ricorrente Cobra Automotive Technologies S.p.a. con il primo motivo eccepisce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione all’inerenza del ramo d’azienda del debito di Euro 6.943.423,00 con la società Faber Factor, con particolare riferimento alla mancata valutazione della documentazione depositata proprio al fine di evidenziare la intrinseca natura dell’atto sottoposto a tassazione.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione del principio di inerenza di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 51 e 52, dell’art. 2555 c.c. e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109.

Si deduce che i giudici di secondo grado hanno illegittimamente affermato che l’inerenza di un debito sociale vada esclusa in mancanza di una corrispondenza dello stesso debito – non già con l’attività d’impresa – bensì con una posta attiva nel bilancio, in sostanza al debito non è connesso un corrispondente credito nell’attivo del ramo d’azienda ceduto.

Sul punto si argomenta, da parte ricorrente, che al fine della valutazione dell’inerenza di un costo (e del conseguente debito) non rileva che lo stesso abbia prodotto un profitto, bensì che lo stesso sia connesso e congruo con l’attività d’impresa. Si aggiunge che l’inerenza non può intendersi come vincolo di connessione specifica con l’attività reddituale, bensì va individuata nell’esistenza di un rapporto causale con l’esercizio dell’impresa, nel senso che i componenti positivi e negativi derivino dall’esercizio dell’impresa, costituiscano cioè componenti tipici dell’attività lucrativa dell’impresa. Si richiamano le pronunce di questa sezione della Corte del 30 luglio 2007 n. 16826, e 30 luglio 20017 n. 16824.

Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t. che eccepisce l’infondatezza e/o l’inammissibilità del primo motivo rappresentandosi che con esso la ricorrente pare sostanzialmente riproporre le medesime censure contenute nell’atto di appello e richiedere alla Corte di Cassazione una nuova valutazione di merito del materiale probatorio in atti.

Le eccezioni sollevate risultano prive di pregio ed infondate atteso, comunque, il mancato assolvimento dell’onere probatorio.

Quanto al secondo motivo, con cui la ricorrente società deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, dell’art. 2555 c.c. e del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 55 e 109, la controricorrente Agenzia delle Entrate ripropone l’eccezione di inammissibilità, avanzata in appello, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 57, di tale eccezione ciò in quanto essa non risultava proposta nel primo grado di giudizio e, quindi, non era proponibile per la prima volta in sede di impugnazione della sentenza di primo grado.

In secondo luogo si contesta il rilievo della ricorrente società secondo cui l’Ufficio non avrebbe avuto il potere di disconoscere le passività per cui è processo, atteso che la scelta delle attività e passività che compongono l’azienda sarebbe una scelta demandata alle parti, mentre all’Ufficio è demandato solo il potere di controllo del valore venale e mai quello di escludere passività o includere attività.

Sul punto si richiama le pronunce a Sezioni Unite di questa Corte nn. 30055 3e 30057 del 2008 in tema di comportamenti elusivi.

Nel caso di specie, si argomenta, l’oggetto della ripresa a tassazione che ha determinato una rettifica in aumento della base imponibile è costituito dal disconoscimento di una passività della cui sussistenza ed inerenza controparte era chiamata a fornire la prova al fine di ammetterne effettivamente la validità di incidere sulla determinazione della base imponibile per l’applicazione dell’imposta di registro dovuta per la cessione del ramo d’azienda.

Si richiama la disposizione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, che, coordinata con il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, lett. a), contiene i criteri generali di rideterminazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro per la cessione d’azienda, dalla stessa emerge chiaramente come debba esservi un legame tra le fonti di finanziamento (passività) e gli impieghi (attività) non essendo sufficiente che vi sia un attivo e passivo, ma è necessario che una determinata passività sia stata utilizzata per l’acquisto di una specifica posta all’attivo. Ciò implica, diversamente da come opina la ricorrente, che l’Ufficio, nella determinazione del valore dichiarato dalle parti, deve tener conto soltanto di quelle passività che sono correlate all’azienda ceduta.

Con memoria depositata nei termini, la Cobra Automotive Tchnologies S.p.a, in risposta alle controdeduzioni dell’Agenzia delle Entrate, ribadendo le argomentazioni già poste a base del ricorso per cassazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso va accolto per le ragioni che qui di seguito si espongono.

A sostegno della propria tesi, con riguardo al primo motivo del ricorso, la ricorrente Drive Rent S.P.A. depositava il contratto di factoring del (OMISSIS) evidenziando come lo stesso avesse ad oggetto, non già crediti attuali, bensì “le future cessioni verso corrispettivi di crediti vantati dal Fornitore (Car World Italia S.p.a.) nei confronti dei propri debitori”. Ed, a riprova della corrispondenza tra il finanziamento ricevuto dalla Faber Factor e gli investimenti effettuati nell’acquisto di autovetture destinate al noleggio a lungo termine, la società depositava il prospetto di Movimentazione delle Immobilizzazioni materiali allegate al bilancio 2001 della società cedente Car World Italia S.p.a..

Inoltre, rappresentava che, tra i documenti depositati da quest’ultima nel procedimento da essa autonomamente azionato e poi riunito a quello oggetto del ricorso della Drive Rent S.p.a, vi era una lettera di intenti, dell’11 settembre 2001, antecedente alla stipula del contratto di factoring, con cui la Car World Italia S.p.a. ricostruiva lo stato della trattativa con la Faber Factor in tal senso: “…prendiamo atto della vostra disponibilità a metterci a disposizione una linea di finanziamento in una o più tranches di massime Lire 45.000.000.000 (circa 23 milioni di Euro) finalizzata al sostenimento degli investimenti nel parco noleggio a lungo termine effettuati e da effettuarsi”… “Dal punto di vista formale, per consentirvi di erogare il finanziamento in una o più tranches…..ci impegnamo sin da ora ad accettare le Vostre condizioni standard per questo tipo di operazione cui abbiamo preso visione. Tuttavia resta fin d’ora inteso che, esulando questo finanziamento dagli schemi tipici dei contratti di factoring, sarà la scrivente Car World Italia S.p.a. e non già Faber Factor S.p.a. ad incassare dai clienti i crediti derivanti dall’attività di noleggio a lungo termine, dal momento che nessun credito sarà oggetto di cessione a Faber Factor. Il finanziamento di cui sopra sarà, quindi, direttamente restituito dalla scrivente Car World Italia S.p.a. a Faber Factor S.p.a.a mediante pagamento in rate mensili sulla base di un piano di ammortamento da concordarsi”.

Venivano, poi, depositati i prospetti dei bilanci relativi agli anni 2001 e 2002 della Car World Italia S.p.a dai quali risultava il valore delle autovetture immobilizzate per essere destinate a noleggio nonchè la scheda contabile della Car World Italia S.p.a. intestata a Faber factor per i finanziamenti ricevuti e pagati all’inizio del rapporto sino alla cessione, analoga scheda contabile della società cessionaria CWI Rent S.p.a. per il periodo successivo ed i relativi estratti conto. Da tali documenti risultava che, come pattuito nella lettera d’intenti di cui prima, sia la Car World Italia S.p.a, prima della cessione, sia la CWI Rent S.p.a., dopo la cessione, subentrata nel rapporto, avevano sempre proceduto alla restituzione del finanziamento mediante versamenti diretti senza operare alcuna cessione di crediti.

Il primo motivo, dunque, ha ad oggetto la denunciata insufficienza di motivazione della sentenza impugnata, per avere la CTR della Lombardia confermato la sentenza di primo grado senza esaminare la censura, debitamente posta al suo vaglio, della omessa valutazione della documentazione su riportata decisiva ai fini della interpretazione dell’atto sottoposto alla tassazione della tassa di registro.

In effetti, sul punto la sentenza impugnata nulla osserva, limitandosi ad affermare, con riferimento alla deduzione difensiva dell’inerenza del debito societario de quo (le passività per debiti verso la società Faber Factor Spa erano effettivamente connesse all’acquisto nel tempo del parco auto relativo al noleggio auto a lungo termine senza conducente) che “In realtà, perchè il debito venga computato, in quanto inerente, occorre che l’inerenza venga dimostrata da una specifica connessione che, nel nostro caso, non risulta affatto”.

Il Collegio non ignora il costante indirizzo di questa Corte secondo cui, in tema di interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, impone di privilegiare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa dei negozi giuridici (cfr. sentt. 23584/12, 6835/13, 17965/13, 3481/14).

Va, però, nel contempo evidenziato che, quando si ponga la questione relativa alla interpretazione dell’atto soggetto a tassazione per evidenziarne l’intrinseca natura, il giudice tributario è tenuto a considerare le deduzioni difensive sul punto, maggiormente, se suffragate da specifica documentazione, motivandone la eventuale non decisività, ma non può certo non tenerne conto, venendo meno, così, all’obbligo motivazionale.

In sostanza, con il ricorso introduttivo entrambe le società ricorrenti avevano contestato la pretesa impositiva ribadendo l’inerenza del debito ceduto che era sorto per finanziare l’acquisto di autovetture destinate alla locazione a lungo termine e, dunque, direttamente e funzionalmente connesso con il ramo d’azienda ceduto.

Rappresenta la ricorrente che quella documentazione depositata in primo grado è stata espressamente richiamata a fondamento dell’appello e la CTR, motivando che il debito trasferito non sarebbe stato inerente perchè alla voce “debiti” nei confronti della società di factoring (qualificati come “anticipazioni contratti”), non corrisponde una simmetrica contropartita, ha dimostrato di non aver analizzato la documentazione e le argomentazioni su cui si fondava la difesa del contribuente. Non è stata valutata, si ribadisce in ricorso, l’effettiva natura del contratto di factoring e del debito trasferito come risultante dalla documentazione prodotta in atti, nè è stato vagliato se il debito con la società Fabre Factor fosse effettivamente servito all’acquisto di autovetture da destinare al noleggio.

Non va tralasciato di richiamare il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (sentenze n. 20032/11; n. 2268/2006, n. 1539/2006; n. 6233/2003) secondo cui è legittima la motivazione “per relationem” della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice di appello facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consente in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame.

In ragione di tanto, restando assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Milano, cui viene demandata anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di Cassazione.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese di giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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