Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20479 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/10/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 11/10/2016), n.20479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8921-2015 proposto da:

D.C., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato GENNARO ORLANDO, che la rappresenta e difende

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 58790/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

17/02/2014, depositata il 25/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’08/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Orlando Gennaro difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 22.10.2010 D.C. adiva la Corte d’appello di Roma per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 per l’eccessiva durata di una causa di lavoro svoltasi innanzi al Tribunale e alla Corte d’appello di Napoli dal (OMISSIS).

Resistendo il Ministero, la Corte adita rigettava la domanda. Calcolata in 5 anni, 11 mesi e 22 giorni la durata effettiva del giudizio presupposto, stimata in cinque anni quella ragionevole per i due gradi svolti e sottratti nove mesi di stasi processuale, imputabile alla parte, per il lasso di tempo intercorso tra la sentenza di primo grado e la proposizione dell’appello, la durata eccedente, inferiore ai sei mesi, non era indennizzabile.

Per la cassazione di tale decreto D.C. propone ricorso, affidato ad un solo motivo.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando parte ricorrente che la Corte territoriale abbia erroneamente applicato le norme introdotte nella L. n. 89 del 2001 dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, ancorchè le stesse non applichino ai procedimenti che – come quello in oggetto – sono stati introdotti prima dell’11.9.2012.

2. – Il motivo infondato.

Se è vero che la motivazione del decreto impugnato mostra in un punto (v. pag. 3, lì dove si afferma che non può tenersi conto di frazioni di un anno inferiori a sei mesi) di richiamarsi ad un concetto positivizzato solo dal ridetto D.L. n. 83 del 2012, è vero però che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato la non indennizzabilità di superamenti minimi del termine di ragionevolezza anche in rapporto a fattispecie anteriori alla data di efficacia dello stesso D.L..

E’ stato affermato, infatti, che l’esistenza del danno non patrimoniale può presumersi solo quando il processo superi in modo significativo la sua durata ragionevole, non anche quando esso trovi definizione a ridosso di tale termine, superandolo di pochi mesi (cinque, nel caso di specie). In questa evenienza, infatti, appare logico presumere, in relazione alla natura del danno stesso e sempre che non risultino indicazioni contrarie scaturenti in primo luogo dall’importanza della posta in gioco, che un lasso di tempo così breve di eccedenza non possa provocare a carico della parte sofferenze e patemi d’animo apprezzabili e, quindi, autonomamente enucleabili come danno evento (Cass. nn. 5317/13, 21857/13 e 5317/13).

Se ne ricava che il decreto impugnato, quale sia l’interpretazione da dare alla motivazione che lo sostiene, è da ritenersi conforme a diritto con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis.

3. – Il ricorso va dunque respinto.

4. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo.

5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 800,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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