Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20478 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 06/10/2011), n.20478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ OFFICINE LANZARONE SPA in persona del Presidente del C.d.A.

e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA PIAZZA CAIROLI 2, presso lo studio dell’avvocato PINELLI NUNZIO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 105/2005 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 14/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La società Officine Lanzarone s.p.a. propone ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Palermo (che non ha resistito) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Sicilia, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento ICI relativo al 1997, riformava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente.

Con i primi due motivi la società ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano ritenuto valida la notifica effettuata presso il domiciliatario benchè il suddetto (codifensore della società) fosse stato cancellato dall’albo degli avvocati per raggiunti limiti di età, e nonostante detta notifica fosse intervenuta oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza, fosse stata effettuata a mani del sostituto del portiere dello stabile – senza indicare i motivi della mancata consegna a mani proprie del destinatario ovvero a personale dello studio – e fossero stati notificati insieme in una unica busta ben cinque atti d’appello.

Le censure esposte sono in parte manifestamente infondate e in parte inammissibili.

Giova in proposito rilevare che, sia in relazione al D.P.R. n. 636 del 1972 che in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, diviene perciò domiciliatario ex lege della parte.

Dottrina e giurisprudenza sono state concordi nel ritenere l’inapplicabilità al rito tributario dell’art. 170 c.c., comma 1, secondo il quale dopo la costituzione in giudizio tutte le comunicazioni o notificazioni si fanno al procuratore costituito, che tale norma deve infatti ritenersi prevalente il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 secondo il quale le comunicazioni o notificazioni vanno fatte direttamente alla parte, non quindi al suo difensore (in coerenza con i compiti di quest’ultimo di assistenza tecnica, non di sostituzione procuratoria in senso stretto) e mediante consegna dell’atto nella residenza o nella sede, ove manchi elezione di domicilio (v. cass. n. 9104 del 2001). L’elezione di domicilio nel rito tributario è pertanto solo eventuale e può essere effettuata presso qualunque soggetto (non necessariamente presso il difensore), con la conseguenza che, anche ove effettuata presso il difensore essa, differentemente da quanto accade nel giudizio civile, non viene meno con la cancellazione dall’albo professionale del domiciliatario (attesa la non necessaria coincidenza tra difensore e domiciliatario) e quest’ultimo conserva pertanto i poteri-doveri connessi alla funzione di domiciliatario anche dopo la cancellazione dall’albo e l’estinzione del rapporto professionale, salvo diverse determinazioni desumibili dall’atto di elezione (circostanza, questa, nella specie neppure dedotta). Quanto alla dedotta necessità di notifica dell’appello alla parte personalmente, perchè intervenuta il 5.8.2004 laddove la sentenza era stata pubblicata il primo luglio 2003, è sufficiente osservare (anche prescindendo dai limiti di applicabilità dell’art. 330 c.p.c., comma 3 al rito tributario in ragione della specificità delle previsioni del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17) che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la disposizione dettata dall’art. 330 c.p.c., comma 3, – secondo cui, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione, se ancora ammessa, si deve notificare alla parte personalmente – deve essere interpretata nel senso che essa si riferisce al termine di decadenza indicato nell’art. 327 c.p.c., il quale, dopo l’entrata in vigore della L. 7 ottobre 1969, n. 742, ha, rispetto alle cause in cui opera la sospensione feriale dei termini, la maggior durata corrispondente al periodo di detta sospensione (v.

tra le altre cass. n. 21514 del 2004).

Quanto al fatto che la notifica avvenne a mani del sostituto del portiere, senza alcuna precisazione nella relata della impossibilità di consegna ad altri ed in unica busta unitamente ad altri atti, è preliminarmente necessario osservare, prescindendo da valutazioni circa la rilevanza o meno di tali circostanze e comunque da ogni altra possibile considerazione nel merito delle censure proposte, che le suddette circostanze non risultano dalla sentenza impugnata e in ricorso vengono semplicemente affermate senza riportare (nel rispetto del principio di autosufficienza) il testo di eventuali atti e documenti dai quali dette circostanze eventualmente risultino (ad es.

la relata di notifica).

Col terzo motivo, deducendo violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente si duole che i giudici d’appello non abbiano rilevato che erroneamente nel petitum dell’atto di appello, contrariamente alla narrativa, si faceva riferimento ad una rendita iscritta il 1 gennaio 1997, e si duole altresì che i giudici d’appello, facendo riferimento alla data di attribuzione della rendita risultante in atti (12.12.1996), non abbiano in ogni caso considerato che tale rendita era stata notificata il 10.01.1997 e che pertanto questa data doveva essere presa in considerazione ai fini dell’efficacia dell’atto attributivo, con la conseguenza che solo a partire dall’anno successivo a quello nel corso del quale era stato notificato l’atto di attribuzione di rendita poteva essere applicato il criterio di tassazione sul valore catastale, dovendo in precedenza applicarsi il criterio c.d. del valore contabilizzato.

Le censure esposte sono infondate. In particolare, quanto alla prima, è sufficiente osservare che, come ammesso dal medesimo ricorrente, dagli atti e dalla stessa narrativa dell’atto d’appello risultava che la rendita era stata iscritta il 12.12. 1996, onde i giudici d’appello non hanno attribuito rilievo a quella parte dell’atto d’appello in cui si indicava una data diversa, evidentemente attribuendola ad un errore materiale e ritenendo, nonostante tale difformità nella indicazione delle date, di poter interpretare la volontà dell’appellante e il significato dell’atto di impugnazione nel suo complesso.

E’ in proposito da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, al giudice dell’impugnazione spetta l’interpretazione dell’atto impugnato e dell’atto di impugnazione al fine di deliberare l’ambito censorio e il sindacato sulla correttezza di tale interpretazione può essere sollecitato solo con un’espressa censura, in sede di legittimità, che investa, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’attività ermeneutica del giudice d’appello, ovvero, rincorrendone i presupposti, col rimedio revocatorio, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (v. cass. n. 3248 del 2003 e n. 15118 del 2004). Tanto premesso, è appena il caso di evidenziare che nella specie una eventuale l’impugnazione per revocazione non poteva essere proposta dinanzi a questo giudice e che, peraltro, neppure risulta in proposito proposta censura per vizio di motivazione.

Quanto alla seconda censura, è sufficiente fare riferimento alla giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale, in relazione alla imposta comunale sugli immobili, per gli “atti comunque attributivi e modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati” la necessità della notificazione, ai sensi della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74 costituisce condizione di efficacia degli stessi solo a decorrere dal primo gennaio 2000, mentre, per gli atti comportanti attribuzione di rendita adottati (come nella specie) entro il 31 dicembre 1999, il Comune può legittimamente richiedere l’imposta dovuta in base al classamento, che ha effetto dalla data di adozione e non da quella di notificazione. L’ICI dovuta è, pertanto, correttamente commisurata alla rendita catastale attribuita “tempo per tempo” dal competente ufficio erariale quando l’imposta sia dovuta per anni precedenti il primo gennaio 2000, atteso che, stabilendo che dalla detta data gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale, coincidente con la notificazione dell’atto, con la sua applicabilità, che va riferita invece all’epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica (v. cass. n. 9203 del 2007, e successive conformi).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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