Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20476 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 30/07/2019), n.20476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9483-2013 proposto da:

IMPRESA EDILE C & C SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE DEL VIGNOLA 5,

presso lo studio dell’avvocato NUNZIA CIMINELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO GURRADO, giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 94/2012 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 03/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Impresa Edile C. & C. s.r.l. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 94/09/2012, depositata il 3.10.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con la quale, a conferma della decisione di primo grado, era rigettato il ricorso introduttivo della società avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, ai fini Ires ed Irap per l’anno d’imposta 2004, Euro 74.000,00, versati da due soci sul conto soci/finanziamento infruttifero e ritenuti incongrui con la capacità reddituale dei medesimi.

Nel contenzioso che ne seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Bari rigettava il ricorso con sentenza n. 101/09/2011. L’appello della società era rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia con la pronuncia ora al vaglio della Corte.

La contribuente censura con due motivi la pronuncia:

con il primo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per non aver considerato che i finanziamenti erano il provento dei risparmi personali e famigliari dei soci;

con il secondo per violazione ed errata applicazione di norme di diritto, per aver male interpretato la disciplina sulle sopravvenienze, dettata dall’art. 88 TUIR.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con rinvio al giudice di merito per nuovo esame.

Si è costituita l’Agenzia, contestando le avverse ragioni e chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 15 maggio 2019, dopo la discussione e le conclusioni del P.G., la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo, con il quale ci si duole di un vizio motivazionale, è inammissibile.

Va evidenziato che al giudizio trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012. Non sono più ammissibili pertanto nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità su di essa resta circoscritto solo alla verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, sent. n. 8053/2014; n. 23828/2015; n. 23940/2017). Si è dunque opportunamente evidenziato che con la nuova formulazione del n. 5 è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., ord. n. 27415/2018).

Ciò chiarito, nel caso di specie il fatto storico, l’esistenza e la provenienza di risparmi, è stato oggetto di discussione e vagliato dal giudice d’appello, giungendo alle conclusioni ora criticate dalla contribuente. Peraltro le modalità di formulazione del motivo non consentono neppure di identificare quali specifici supporti fattuali e probatori dovessero essere diversamente considerati per una decisione diversa da quella adottata dalla commissione regionale. In tal modo il motivo di ricorso si esaurisce in un tentativo di far riesaminare il merito dei fatti, inibito a questa Corte, con la conseguenza che esso era inammissibile anche in riferimento alla vecchia formulazione del vizio motivazionale.

Il secondo motivo, con cui ci si duole dell’errata applicazione di norme di diritto, a parte che sfiora l’inammissibilità per l’omessa indicazione tanto delle norme che si assumono violate quanto del tipo di doglianza sollevata, è in ogni caso infondato. Con esso la società sostiene l’erroneità della sentenza in riferimento alla applicazione ed interpretazione dell’art. 88 TUIR sulle sopravvenienze, in particolare non avendo tenuto conto che esulano dalle sopravvenienze tanto i finanziamenti operati dai soci con vincolo di restituzione, quanto i finanziamenti a fondo perduto (i quali ultimi incrementano il patrimonio sociale ma non i ricavi).

La censura non coglie nel segno. La sentenza, in ciò aderendo alla ricostruzione dei fatti ipotizzati dalla Amministrazione, ha ritenuto che quei finanziamenti, non previsti e dunque non regolamentati nello statuto della società e soprattutto incompatibili con le condizioni economiche dei soci, per quanto evincibile dalle loro dichiarazioni dei redditi a partire dal 2000, non erano altro che ricavi occulti che si tentava di sottrarre all’imponibile. L’inquadramento tra le sopravvenienze costituisce pertanto solo una ipotesi di qualificazione, tuttavia marginale rispetto all’ipotesi accertativa, secondo cui si trattava di ricavi occultati, che si voleva far rientrare nella disponibilità della compagine sociale senza subire imposizione fiscale. La contribuente doveva mettere in discussione tale ricostruzione, provando la fonte oggettiva dei fondi utilizzati per finanziare la società. A tale adempimento non ha invece provveduto la società, pur onerata della prova.

In conclusione il ricorso va rigettato e all’esito del giudizio segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, nella misura specificata in dispositivo. Sussistono inoltre i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito e raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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