Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20473 del 29/09/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 20473 Anno 2014
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 16594-2008 proposto da:
VAIRA ANTONIO C.F. VRANTN48B01A662H, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA G.P.DA PALESTRINA 19, presso
lo studio dell’avvocato DOMENICO TOMASSETTI, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2014
2266

contro

AZIEDA OSPEDALIERA – POLICLINICO CONSORZIALE DI BARI,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTEBELLO 109,
presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FELICI,

Data pubblicazione: 29/09/2014

rappresentata e difesa dall’avvocato TOMMASO GERMANO,
giiusta delega inn atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1053/2007 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 23/06/2007 r.g.n. 1968/2004;

udienza del 24/06/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato TOMASSETTI DOMENICO;
udito l’Avvocato FELICI MASSIMO per delega GERMANO
TOMMASO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo, rigetto del secondo
motivo.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Il giudice del lavoro del Tribunale di Bari, pronunziando sulla domanda proposta
da Vaira Antonio nei confronti dell’Azienda Ospedaliera – Policlinico Consorziale di
Bari, con sentenza non definitiva del 13.2.2004 condannò quest’ultima ad

sino al momento della comunicazione della delibera n. 573 del 3 maggio 2000,
con la quale gli era stato affidato un diverso incarico, nonchè al pagamento
dell’indennità di esclusività spettante al responsabile di struttura complessa, al
risarcimento dei danni alla professionalità nella misura di € 76.726,89 e dichiarò il
diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico da accertarsi e
quantificarsi nel prosieguo della causa.
A seguito di impugnazione principale dell’Azienda ospedaliera ed incidentale del
lavoratore, con sentenza del 18 — 23/6/2007 la Corte d’appello di Bari ha accolto
per quanto di ragione il gravame proposto dalla prima, dichiarando non dovuto al
Vaira la somma di € 76.726,89, liquidatagli dal primo giudice a titolo di
risarcimento del danno alla professionalità, e confermando nel resto la sentenza di
primo grado, mentre ha rigettato l’appello incidentale del dipendente, volto alla
rideterminazione del danno da demansionamento.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Vaira con due motivi, illustrati da
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera — Policlinico Consorziale di Bari.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione dell’impugnata
sentenza, ritenendola insufficiente e contraddittoria su un fatto decisivo ed
incontroverso, in quanto sostiene che la sua accertata inattività per oltre sei anni di
dirigente chimico di 11 0 livello, nonché di coordinatore del laboratorio a carattere
centralizzato del servizio di ematologia di un prestigioso policlinico universitario
non poteva non essere causa di un indubbio danno professionale, mentre la Corte

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assegnare al ricorrente le mansioni corrispondenti a quelle di appartenenza svolte

d’appello aveva omesso di motivare il ricorso alla prova per presunzioni di cui
all’art. 2729 cod. civ., precludendogli, in tal modo, la possibilità di far ritenere
ragionevolmente provato il lamentato danno professionale.
Di conseguenza il ricorrente chiede di verificare se, nella valutazione della

datrice di lavoro degli artt. 2087, 2103 cod. civ., nonché dell’art. 52 del d.lgs. n.
165/2001, il giudice doveva avvalersi anche e soprattutto della prova per
presunzioni di cui all’art. 2729 cod. civ., specialmente come nel caso di specie
contraddistinto, oltre che dalla privazione del precedente incarico, anche dalla
totale e provata inattività che aveva interessato negativamente il suo elevatissimo
profilo professionale.
2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2, 3, 4, 32, 35 e 41 della Costituzione, degli artt. 1218, 1226, 2087,
2103, 2697 e 2729 cod. civ., dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt.
112, 113, 115, 116 e 432 c.p.c.
Il ricorrente assume che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che egli non
aveva assolto l’onere della prova con riferimento al reclamato danno da
impoverimento della capacità professionale e da definitiva perdita della posizione
lavorativa equivalente a quella posseduta, atteso che dalla violazione, da parte
della datrice di lavoro, delle norme imperative di cui in epigrafe, per omessa
vigilanza e per attuazione di un comportamento persecutorio nei suoi confronti,
discendeva una responsabilità della medesima per danni da considerare
globalmente nei loro vari aspetti patrimoniali e morali, per cui la Corte di merito
non avrebbe dovuto operare la specificazione dei vari tipi di danno e non avrebbe
dovuto pretendere la prova per ogni singola tipologia degli stessi.
A conclusione del motivo il ricorrente chiede che si verifichi se, in caso di accertata
violazione dell’art. 2087 c.c., con conseguente lesione dei sottostanti precetti
costituzionali posti a tutela del lavoratore, il giudice possa quantificare i danni

2

sussistenza del danno derivante dalla accertata violazione da parte dell’azienda

subiti, patrimoniali e non patrimoniali, relativamente al demansionamento, alla
dequalificazione, al mobbing, alla perdita di chances, all’immagine e alla dignità, ai
sensi degli artt. 1226 cod. civ. e 432 c.p.c.
Osserva la Corte che per ragioni di connessione i due motivi possono essere

Entrambi i motivi sono infondati.
Orbene, il processo motivazionale seguito dalla Corte d’appello nell’addivenire al
convincimento di conferma parziale della sentenza di primo grado, nel senso di
escludere il danno alla professionalità tra quelli accertati dal primo giudice, è stato
il seguente: – Il primo giudice aveva liquidato il danno alla professionalità
ancorandolo alle allegazioni riflettenti la deduzione del mancato apprendimento ed
approfondimento di nuove tecniche ed il lamentato danno d’immagine del
professionista messo da parte all’apice della carriera. Tuttavia, il Vaira non aveva
dimostrato di non aver più ricevuto, a causa della perdita della direzione del
laboratorio di ematologia, gli incarichi universitari concernenti gli insegnamenti
indicati nel ricorso, né aveva allegato specifiche circostanze atte a provare il
depauperamento del proprio bagaglio professionale per la lamentata forzata
inattività, sicchè un danno da perdita di altre ed ulteriori possibilità occupazionali e
di guadagno non era, in radice, liquidabile. Doveva, pertanto, ritenersi che il
Tribunale aveva liquidato solo il danno da impoverimento della capacità
professionale e da definitiva perdita di posizione lavorativa equivalente a quella
posseduta. Inoltre, era risultato che il medesimo dipendente era stato in servizio
dal 2006 presso il reparto di patologia clinica dell’ospedale di Monopoli, incarico,
questo, della stessa importanza di quello precedentemente ricoperto presso il
Policlinico di Bari, per cui non sussisteva il denunziato danno alla professionalità.
Rileva la Corte che da tale motivazione si ricava che i giudici d’appello hanno
escluso in radice la possibilità di ricorrere al sistema delle presunzioni di cui all’art.
2729 cod. civ., la cui applicazione presupponeva in ogni caso la ricorrenza dei

3

/VI

esaminati congiuntamente.

relativi requisiti legali della gravità, della precisione e della concordanza, non
ravvisabili, invece, in alcun modo negli elementi istruttori delibati dai giudici di
merito del secondo grado.
Questi hanno, infatti, evidenziato, con motivazione congrua ed esente da vizi di

nel senso esattamente opposto a quello auspicato dal lavoratore ai fini del
reclamato danno alla professionalità.
D’altronde, il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al
risarcimento del danno alla professionalità è tenuto ad indicare in maniera
specifica il tipo di danno che assume di aver subito ed a fornire la prova dei
pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti e del nesso di causalità con
l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere
ad una sua valutazione, anche eventualmente equitativa, atteso che il suddetto
danno non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non
può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio dall’esistenza di un pregiudizio.
Al riguardo è sufficiente ricordare che questa Corte ha già avuto occasione di
affermare (Cass. Sez. lav. n. 20980 del 30/9/2009) che “in caso di accertato
demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del
lavoratore non può prescindere dalla prova del danno e del relativo nesso causale
con l’asserito demansionamento, ferma la necessità di evitare, trattandosi di
danno non patrimoniale, ogni duplicazione con altre voci di danno non
patrimoniale accomunate dalla medesima fonte causale. (Nella specie, la S.C. ha
cassato, in parte qua, la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto
risarcibile “ex se”, anche sotto il profilo non patrimoniale, il danno da
demansionamento lamentato dal lavoratore, il quale da compiti operativi di
responsabilità era stato relegato, per un lungo periodo, all’assolvimento di compiti
di studio e consulenza con perdita di potere decisionale).”

4
,)

carattere logico-giuridico, che addirittura i dati desunti dal processo concorrevano

Rimane, quindi, travolta la doglianza, di cui al secondo motivo di censura,
attraverso la quale il ricorrente si è lamentato della necessità di dover provare la
singola voce del danno alla professionalità, dal momento che la Corte territoriale

tale tipo di danno sussistesse nella fattispecie.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 4000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge e spese generali.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2014
Il Consigliere estensore

ha escluso in radice, alla luce della compiuta disamina degli atti istruttori, che un

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