Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20473 del 28/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/08/2017, (ud. 28/06/2017, dep.28/08/2017),  n. 20473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16221/2016 proposto da:

VALBRUNA S.R.L. (c.f. (OMISSIS)) in persona del legale rappresentante

pro tempore, V.A., V.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CONFALONIERI 1, presso lo studio

dell’avvocato CARLO CIPRIANI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PIERLUIGI BISSA, FABIO FALCONE;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENI?RA1i DELIO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2933/10/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di BOLOGNA, depositata il 22/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 19 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna respingeva gli appelli proposti da V.A., V.I., Valbruna srl avverso la sentenza n. 90/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Rimini che ne aveva respinto i ricorsi contro gli avvisi di accertamento IRAP, IRES, IRPEF IVA ed altro 2007. La CTR osservava in particolare che le pretese fiscali portate dagli atti impositivi impugnati erano fondate sulle dichiarazioni di S.M. e sulla relativa documentazione bancaria, tali fonti probatorie asseverando il contestato parziale pagamento “in nero” (Euro 167.000) del prezzo di vendita di un immobile di proprietà di detta società allo S., mentre di contro riteneva che l’alternativa spiegazione data dai contribuenti non fosse adeguatamente comprovata e comunque persuasiva.

Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – i ricorrenti lamentano violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poichè la CTR ha ritenuto di basare la propria decisione esclusivamente sulle dichiarazioni dello S..

Con il secondo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – i ricorrenti si dolgono di violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poichè la CTR ha erroneamente applicato le regole circa l’onere probatorio.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono infondate.

Vi è anzitutto da rilevare che non è affatto vero che la CTR abbia basato la propria decisione nel merito esclusivamente sulle dichiarazioni dello S., quanto piuttosto che tale prova, pacificamente di natura indiziaria, è stata valutata dalla CTR stessa unitamente alle risultanze degli accertamenti bancari, dai quali anzi erano dipartite le indagini di polizia tributaria, in sede penale ed amministrativa.

Quindi può senz’altro affermarsi che il giudice tributario di appello abbia fatto corretta e piena applicazione dei principi di diritto secondo i quali “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perchè equivoci, così da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Sez. 3, Sentenza n. 5787 del 13/03/2014, Rv. 630512-01) e “In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012, Rv. 622995-01).

Ed è il pieno rispetto del secondo arresto giurisprudenziale da parte della CTR che induce alla valutazione di infondatezza della seconda censura.

Diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, va infatti osservato che il giudice tributario di appello ha svolto una puntuale ed articolata comparazione e valutazione di dette circostanze di fatto basanti le pretese fiscali con l’alternativa giustificazione data dai contribuenti alla movimentazione finanziaria de qua ossia che la medesima derivasse da un titolo giuridico totalmente diverso da quello affermato dall’Ente impositore, consistente nel pagamento di opere extracontrattuali sull’immobile oggetto della compravendita tra la Valbruna srl e lo S., da parte di quest’ultimo tramite V.A., quale procuratore della Idrotemica Dica terzo appaltatore delle opere in questione.

Le considerazioni su tale particolare profilo della CTR non sono sindacabili ulteriormente in questa sede, secondo il principio di diritto che “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

E’ per altro verso dunque evidente che il secondo mezzo, articolato quale violazione di legge, in realtà richieda a questa Corte un diverso intervento sul meritum causae che pure gli è interdetto, secondo il consolidato arresto giurisprudenziale che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Su. 5, n. 26110 del 2015).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2017

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