Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20469 del 28/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/08/2017, (ud. 28/06/2017, dep.28/08/2017),  n. 20469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15093/2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

MV.C. LAVORI – SOCIETA’ CONSORTILE A RESPONSABILITA’ LIMITATA IN

LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1429/3/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di GENOVA, depositata il 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 28/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 26 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Liguria accoglieva l’appello proposto dalla MV.C. Lavori – società consortile a responsabilità limitata in liquidazione – e respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 165/13/13 della Commissione tributaria provinciale di Genova che aveva parzialmente accolto il ricorso della società contribuente contro l’avviso di accertamento IVA 2007. La CTR osservava in particolare che l’esame degli accordi contrattuali interni tra la società consortile e le società consorziate ( M.V. spa; Carena Impresa di Costruzioni spa) induceva ad affermare trattarsi di prestazioni di servizi, peraltro effettivamente eseguite, soggette ad IVA e non “cessioni che hanno oggetto denaro o crediti in denaro”, fuori campo IVA, come sostenuto dall’Ente impositore.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo due motivi.

La società contribuente intimata non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè la CTR non si è pronunciata su uno specifico motivo del suo appello riguardante l’applicazione di aliquota IVA agevolata al 10% in relazione alle fatture attive delle imprese consorziate ricevute dalla società contribuente consortile.

La censura è fondata.

In osservanza al principio di autosufficienza del ricorso, la ricorrente ha riprodotto nel ricorso stesso il testo dello specifico motivo di appello concernente l’applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, u.p., quindi l’applicabilità dell’aliquota IVA ordinaria e non di quella agevolata prevista per determinate attività di recupero edilizio, dovendosi ritenere che il rapporto tra la società consortile e le società consorziate fosse appunto quello del “mandato senza rappresentanza”, considerata la prima un soggetto “in autonomo”, così criticando specificamente ed avversando con l’impugnazione l’opposta statuizione del primo giudice, che aveva invece ritenuto non applicabile detta disposizione del decreto IVA in quanto la società consortile doveva considerarsi soggetto pienamente autonomo e perciò applicabile l’aliquota agevolata da parte delle società consorziate.

Orbene, di tale censura non vi è traccia apprezzabile nella sentenza impugnata, sicchè risulta evidente la fondatezza del mezzo in esame, peraltro correttamente dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Sez. 6-3, Ordinanza n. 6835 del 16/03/2017, Rv. 643679-01).

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3 e dell’art. 1362 c.c., poichè la CTR ha affermato che i pagamenti effettuati dalla società contribuente verificata a ristoro delle fatture ricevute dalle società consorziate dovessero essere riferiti a prestazioni di servizi rientranti in campo IVA, in luogo di “cessioni di denaro ovvero crediti in denaro” fuori campo IVA appunto secondo la prima disposizione legislativa evocata.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “Poichè preliminare alla qualificazione del contratto è la ricerca della comune volontà delle parti, che costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione da quest’ultimo attribuita al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, debbono essere accompagnate dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire in sede di legittimità la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa” (Sez. 5, Sentenza n. 22889 del 25/10/2006, Rv. 595868-01; nello stesso senso v. anche SU 27072/2016).

Indubbiamente osservato dall’agenzia fiscale ricorrente il principio di autosufficienza del ricorso anche sotto tale profilo, tuttavia lo sviluppo della censura mira a far rivalutare a questa Corte la qualificazione/interpretazione di clausole contrattuali, senza una specifica indicazione di violazione delle norme di ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e segg..

In buona sostanza e più in generale, la ricorrente richiede in questa sede un sindacato di merito che non è ammissibile secondo il consolidato arresto giurisprudenziale che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al primo motivo, rigettato il secondo, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2017

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