Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20466 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/10/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 11/10/2016), n.20466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 15009/2014 proposto da:

C.F. SNC, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V. BLUMENSTIHL 55,

presso lo studio dell’avvocato CATERINA BINDOCCI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO GAROFALO giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 259,

presso lo studio dell’avvocato SARA LEMBO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALFONSO FIORDEILISI giusta procura in calce al ricorso

notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4102/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Francesco Garofalo difensore della ricorrente che

insiste per l’accoglimento del ricorso e deposita atti precedenti

gradi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c.:

“1. – S.E. agiva innanzi al Tribunale di Napoli, sez. distaccata di Ischia, per l’inibizione, ai sensi dell’art. 844 c.c., di immissioni sonore provenienti dai vicini impianti di refrigerazione e condizionamento della società C.F. s.a.s. Resistendo quest’ultima, il Tribunale accoglieva la domanda e condannava la soc. convenuta a rimuovere le Conti delle immissioni.

1.1. – L’appello proposto da detta società (nelle more modificata la forma in s.n.c.) era respinto dalla Corte distrettuale di Napoli, con sentenza n. 4102/13. Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, detta Corte riteneva infondata l’eccezione di nullità della c.t.u. svolta in primo grado, sollevata dalla soc. C. in quanto gli accertamenti erano stati parzialmente svolti durante il periodo di sospensione feriale di cui alla L. n. 742 del 1969. Osservava al riguardo che dopo i risultati non definitivi di un primo accertamento tecnico svolto in un procedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in corso di causa, il quesito nuovamente posto al c.t.u. richiedeva di accertare l’intollerabilità delle immissioni rumorose in periodo estivo, e quindi sottintendeva la necessità di proseguire le operazioni in tale periodo. Nel merito, riteneva convincenti le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., secondo cui, pur considerando il c.d. rumore di fondo, le immissioni erano risultate superiori ai limiti assoluti di zona e al differenziale previsto dal D.P.C.M. dell’1.3.1991.

2. – Per la cassazione di tale sentenza la C.F. s.n.c. propone ricorso affidato a due motivi.

2.1. – Resiste con controricorso S.E..

3. – Il primo motivo denuncia la violazione o la falsa applicazione della L. n. 742 del 1969, e dell’art. 24 Cost., per essere avvenuto il secondo accesso del c.t.u. ai luoghi di causa in periodo feriale (2.8.2005) e in assenza del difensore e del c.t.p. di parte convenuta. Il secondo mezzo censura la violazione dell’art. 844 c.c., e l’omesso esame di fatti decisivi, che secondo la ricorrente sarebbero valsi a dimostrare la tollerabilità delle immissioni.

4. – Entrambi i motivi muovono alla sentenza impugnata censure che collidono con noti e fermi indirizzi di questa Corte Suprema, senza assolvere l’onere di dimostrarne o l’inapplicabilità al caso specifico o il possibile superamento.

4.1. – Il primo motivo, invero, non considera affatto la costante giurisprudenza di questa Corte per cui la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni stesse, avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio della causa disposto dal giudice per consentire ai difensori l’esame della relazione, poichè la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell’elaborato del consulente (cfr. ex multis, Cass. nn. 1744/13, 22843/06 e 15133/01).

Nello specifico il motivo d’impugnazione non allega e non dimostra che la parte odierna ricorrente abbia eccepito la nullità della c.t.u. tempestivamente, cioè nella prima istanza o difesa successiva al compimento dell’atto o alla notizia di esso, come impone l’art. 157 c.p.c., comma 2, non solo, ma la stessa parte ricorrente, stando a come si esprime nel ricorso, lascia intendere di aver sollevato detta eccezione soltanto nella comparsa conclusionale di primo grado (v. pag. 2 ricorso).

4.2. – Il secondo motivo si concreta in contestazioni di puro fatto sull’operato del c.t.u., recepito dai giudici di merito. Per come proposta, detta censura si pone in contrasto evidente sia con il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia con l’altrettanto noto principio, elaborato vigente il testo precedente della norma, per cui il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancalo o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (così e per tutte, Cass. n. 6288/11).

5. – Rientrando, dunque, la fattispecie nell’ambito d’applicazione dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, si rendono necessarie le ulteriori, seguenti considerazioni.

5.1. – Con ordinanza n. 19051/10 le S.U. di questa Corte hanno affermato che il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificare quest’ultima, posto che anche in mancanza di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito. il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata. Alla base di tale dictum la necessità di attualizzare il giudizio di conformità o disformità della pronuncia impugnata al momento della decisione della Corte Suprema. Se il ricorso, si afferma, può essere accolto perchè a tale momento la giurisprudenza della Corte è mutata, a prescindere dal fatto che il ricorso stesso contenesse o meno argomenti idonei a provocarne il mutamento, ciò significa che la mancanza di una tale argomentazione non è elemento che impedisca una decisione sul fondo del motivo, il che giustifica una decisione di rigetto e di rigetto per manifesta infondatezza.

5.2. – Ad avviso di questo relatore, detto indirizzo (da allora immutato e di recente confermato da Cass. n. 5442/16) sul senso e sulla portata applicativa dell’art. 360 bis c.p.c., si presta oggi ad essere riconsiderato.

La stessa citata ordinanza delle S.U. prende atto dell’origine della norma in commento, che nelle intenzioni del legislatore ambiva a svolgere una funzione di filtro interno, succedanea rispetto a quella assolta dall’art. 366 bis c.p.c., che la medesima L. n. 69 del 2009, aveva abrogato. Funzione che, però, il ridetto precedente ha ritenuto di depotenziare nel momento stesso in cui ha equiparato l’inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, ad una fattispecie di manifesta infondatezza.

In senso conforme si è espressa la maggior parte della dottrina, secondo cui l’inammissibilità in rito del ricorso procede attraverso la manifesta infondatezza nel merito dei motivi. Di talchè la declaratoria che ne scaturisca (inammissibilità o rigetto che sia), derivando dalla medesima tecnica decisoria, si atteggia a variante sinonimica destinata a rilevare solo a livello statistico (col rischio tuttavia di falsarne il risultato, ove non accompagnato dai distinguo occorrenti).

In altri termini, se l’esito decisorio, necessitato concettualmente dall’esame funditus del ricorso, deve esprimersi avendo come termine di paragone la soluzione effettiva e dovuta (id est, la legge) piuttosto che l’indirizzo corrente della giurisprudenza di legittimità al momento della proposta impugnazione, va da sè che la norma, nell’applicazione operatane da questa Corte, abbia perso (o meglio non abbia mai assunto) la propria funzione selettiva.

Nè essa ha acquisito altra valenza, giustamente esclusane una portata completiva rispetto al catalogo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, (cfr. sul punto Cass. n. 18551/12, che ha ritenuto inammissibile la censura di violazione dei principi regolatori del giusto processo, in relazione all’obbligo di motivazione e alla garanzia del diritto di difesa anche per il mancato completamento della prova testimoniale).

Cosi intesa, la disposizione è stata ininfluente, poi, sul momento motivazionale. Del tutto usuale nella giurisprudenza di questa Corte il richiamo ai propri precedenti quale normale e congruo strumento tecnico di motivazione, l’interpretazione fino ad ora data alla norma in esame non ha apportato sotto tale profilo alcun valore aggiunto.

Cosi, e fino ad oggi, l’art. 360-bis c.p.c. è rimasto confinato in un ambito di sostanziale irrilevanza, a sola giustificazione del rito camerale adottato per rigettare o accogliere il ricorso proposto contro pronunce conformi o disformi ad una consolidata giurisprudenza di legittimità (art. 375 c.p.c., n. 5, anch’esso modificato dalla legge n. 69/09). Motivata e consapevole la sola eccezione di Cass. n. 23586/15, secondo cui l’art. 360 bis c.p.c., n. 1, nell’evocare un presupposto processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto, ponendo a carico del ricorrente un onere argomentativo, il cui parametro di valutazione è costituito dal momento della proposizione del ricorso.

6. – Essenzialmente due i fattori sopravvenuti – che possono indurre a rimeditare la soluzione adottata dalle S.U..

6.1. – Il primo è di natura esperienziale e chiama in causa il giudizio complessivo che a distanza di circa sei anni può darsi dell’impiego dell’art. 360 bis c.p.c.. Pensato per un uso efficacemente dell’attivo volto a consentire la funzione nomofilattica della Corte nella sede procedimentale sua propria, senza mortificare – a Costituzione invariata – le esigenze di tutela singola e garantistica, detta norma ha costituito solo un generico riferimento formale in margine a decisioni camerali altrimenti adottate. Così giustificata e quantunque resa in forma di ordinanza, l’attività della c.d. sezione filtro ha finito col seguire i canoni consueti che presiedono all’esame parcellizzato di qualsivoglia ricorso, censura per censura, e alla motivazione di ogni provvedimento di legittimità.

Complice l’interfaccia tra la relazione del consigliere designato e la memoria difensiva di cui all’art. 380 bis c.p.c., l’ius litigatoris ha così finito per esigere un dazio paradossalmente maggiore di quello pure esigibile in occasione delle pronunce sull’ius constitulionis.

6.2. – Il secondo fattore è di tipo euristico ed è alimentato dalle modifiche processuali apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che ha inserito gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., in base ai quali, al di fuori dei casi d’inammissibilità o improcedibilità da dichiarare con sentenza, l’appello privo di una ragionevole probabilità di accoglimento è dichiarato inammissibile.

Sebbene dettate per il giudizio di secondo grado, tali norme appaiono di indubbio rilievo ai fini che qui interessano, perchè introducono una tecnica di decisione di tipo delibativo, prognostico e globale il cui oggetto è l’appello considerato nella sua interezza. Se ne trae conferma dalla recente pronuncia a S.U. n. 1914/16, lì dove, in particolare, è stato escluso che tra i vizi propri dell’ordinanza resa dal giudice d’appello ex art. 348 ter c.p.c., possa annoverarsi anche l’omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ciò in quanto la violazione del dovere di motivare è riscontrabile solo nell’ipotesi di totale assenza materiale e grafica della motivazione e in quella – ad essa assimilabile – in cui manchi un’effettiva esposizione di ragioni comprensibili e tra loro conciliabili.

Se dunque è possibile definire il giudizio “appello mediante l’impiego di una tecnica decisoria di tipo delibativo e con margini di scopertura motivazionale (coerenti, del resto, al carattere “succinto” della motivazione delle ordinanze: art. 134 c.p.c.), che valuta l’impugnazione nel suo insieme piuttosto che scrutinare nel dettaglio i singoli aspetti della motivazione che la deve sorreggere (secondo il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c.), diviene lecito domandarsi se, cambiando quel che c’è da cambiare, ciò non possa valere anche per il giudizio di cassazione.

La copertura costituzionale di cui il rimedio di legittimità gode, a differenza dell’appello, non pare segnalare una differenza dirimente tra i due mezzi Una volta accordata l’impugnazione di merito, il legislatore non è libero di comprimerne senso e portata al punto di svuotarla di contenuto, pena la violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale; sicchè o l’ordinanza emessa ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., vale quale decisione del giudizio d’appello o quest’ultimo semplicemente non è. ed allora è vano prevederlo. Per contro, la garanzia primaria del ricorso per cassazione per violazione di legge, stabilita dall’art. 111 Cost., comma 7, non predica necessariamente una tecnica di decisione piena ed esaustiva in rapporto ai singoli motivi di ricorso, a prescindere dalla qualità della critica svolta contro il provvedimento impugnato.

6.3. – A ben vedere, è proprio questa l’indicazione di fondo che promana dall’art. 360 bis c.p.c..

In primo luogo, sono tutt’altro che privi di significato, nella loro iterazione letterale, la rubrica (Inammissibilità del ricorso) e l’incipit iniziale (Il ricorso è inammissibile) dell’articolo. Ciò in disparte, deve notarsi che quest’ultimo nella sua partizione binaria, l’una diretta al nesso tra critica e preesistente elaborazione giurisprudenziale (n. 1), l’altra volta a dare rilievo alle sole censure non manifestamente infondate inerenti ai rispetto dei principi regolatori del giusto processo (n. 2), rimanda al minimo esigibile affinchè il controllo di legittimità possa essere svolto finditus con la tecnica di decisione analitica che gli è propria e con la forma di sentenza, così da adeguare la risposta giurisdizionale al livello qualitativo della relativa domanda.

Complementari rispetto al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, nomofilachia e garanzia individuale devono trovare la loro sintesi solidaristica. Assicurare a ciascun ricorso uguale trattamento decisorio quali che ne siano i contenuti assertivi equivale a negarla a vantaggio esclusivo della garanzia individuale. E a soffrirne è la funzione giurisdizionale nel suo insieme, perchè indipendentemente dai mezzi di cui sia dotata in un determinato momento storico, essa al pari d’ogni altra funzione pubblica non fruisce di risorse materiali e umane illimitate e non ne consente, pertanto, la dissipazione.

7. – Per le ragioni fin qui svolte, si propone ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 3, l’emissione di ordinanza interlocutoria di rimessione della causa al Primo Presidente, affinchè ne valuti l’eventuale assegnazione alle S.U.”.

II. – La Corte condivide la relazione, rispetto alla quale la memoria di parte ricorrente non apporta elementi idonei a indurre una decisione di segno diverso.

In particolare, dall’esame diretto degli atti – cui questa Corte ha accesso trattandosi di verificare un fatto avente rilevanza processuale – si ricava che con l’ordinanza in data 21.1.2004 il Tribunale dispose un supplemento di indagini tecniche circa la tollerabilità o meno delle lamentate immissioni sonore proprio con riguardo al periodo estivo (corsivo contenuto nell’ordinanza stessa); con ciò affermando la necessità d’un accertamento da effettuare in periodo di sospensione feriale e, dunque, implicitamente ritenuto urgente dallo stesso giudice ai fini del R.D. n. 12 del 1941, art. 92 cpv., e della L. n. 742 del 1969, art. 3. Con il che è esclusa la nullità eccepita dalla parte ricorrente.

III. – La Corte condivide la relazione anche nella parte in cui propone la rimessione della questione interpretativa dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 alle S.U..

PQM

La Corte rimette la causa al Primo Presidente affinchè ne valuti l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Dezione Sesta – 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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