Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20461 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 11/10/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 11/10/2016), n.20461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29820/2011 proposto da:

M.N., (OMISSIS), M.S. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO N 7, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA MARCONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

NADIA PROSPERI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

e contro

RENAN SRL, V.C., C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 659/2010 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 18/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Chiara Pesce per delega dall’Avvocato Prosperi per i

ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 26 aprile 2002, M.S., M.N. e R.D. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro – sezione distaccata di Fano, la Renan S.r.l. affinchè fosse accertata l’estinzione della servitù di passaggio gravante sul loro fondo, istando in via subordinata per la condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’aggravamento della servitù in conseguenza dell’attività edificatoria posta in essere dalla convenuta.

A tal fine deducevano che erano proprietari di un immobile sito in Cartoceto, distinto in Catasto al foglio (OMISSIS), part. n. (OMISSIS), loro pervenuto giusta atto di donazione e vendita del (OMISSIS) e che era gravato da servitù di passaggio, già gravante sul terreno, successivamente frazionato, riportato in Catasto al foglio (OMISSIS), mappale n. (OMISSIS) sub (OMISSIS), di proprietà della loro dante causa V.V..

Tale servitù era stata costituita con atto di divisione per notar C. del (OMISSIS) in favore del fondo sito in (OMISSIS) e riportato in catasto al foglio (OMISSIS), mappale n. (OMISSIS), sub (OMISSIS) appartenente a V.C..

Aggiungevano che il fondo dominante era stato alienato con atto del (OMISSIS) alla società convenuta che aveva acquistato da V.V., altro fondo confinante che però aveva comodo e libero accesso dalla (OMISSIS).

Per l’effetto doveva reputarsi venuta meno l’interclusione per il fondo dominante, e tenuto altresì conto del fatto che la società convenuta stava completando la costruzione di un fabbricato prevedente 16 unità abitative, concludevano affinchè fosse dichiarata l’estinzione dell’originaria servitù, ovvero, fosse accertato il danno conseguente all’aggravamento della servitù, che per effetto dell’attività edilizia, verrebbe ad avvantaggiare un numero elevato di unità immobiliari.

Si costituiva la convenuta la quale contestava la fondatezza della domanda, assumendo che vi erano comunque i presupposti per la costituzione ex novo di una servitù coattiva di passaggio in favore di due dei sedici nuovi appartamenti costruiti, deducendo altresì, per l’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, di avere diritto alla corresponsione a titolo di indennizzo di una somma pari all’incremento di valore dell’immobile degli attori in conseguenza del venire meno della servitù.

Disposta CTU, il Tribunale adito con la sentenza n. 172 del 23 ottobre 2006 accoglieva la domanda, dichiarando la servitù estinta.

Riteneva che la fattispecie estintiva di cui all’art. 1055 c.c., operasse anche nel caso in cui la servitù, sebbene di fonte convenzionale, aveva i presupposti di cui all’art. 1051 c.c., occorrendo quindi avere riguardo alla funzione che il diritto reale è diretto a soddisfare.

Poichè nella fattispecie la servitù era stata costituita con l’atto di divisione convenzionale tra i danti causa dei contendenti, ed al fine di assicurare al fondo, ora di proprietà della convenuta, la facoltà di accesso alla (OMISSIS), trattandosi di fondo intercluso, una volta venuta meno l’interclusione, per effetto dell’acquisto di un fondo confinante, e della realizzazione sulla complessiva area di sua proprietà di un nuovo corpo di fabbrica, munito di autonomo e comodo acceso alla via pubblica, andava dichiarata la cessazione della servitù. Nè poteva sostenersi che la servitù sarebbe tornata nell’esclusiva disponibilità di V.C., che si era reso acquirente di due appartamenti realizzati dalla convenuta, posto che non risultava espressamente formulata una domanda in tal senso, nè erano stati provati i presupposti che giustificavano la costituzione di una nuova servitù coattiva, ed essendo invece provato che anche gli appartamenti in oggetto avevano un accesso pedonale e carrabile comune con quello degli altri appartamenti. In ogni caso si trattava di un’interclusione prodotta dalla stessa condotta della convenuta e che quindi non giustificava la richiesta di servitù coattiva in danno del fondo degli attori.

Infine disattendeva la domanda riconvenzionale di pagamento di un’indennità in quanto l’art. 1055 c.c., prevede come unica conseguenza dell’estinzione della servitù, il diritto del titolare del fondo dominante ad ottenere la restituzione del compenso eventualmente versato per la costituzione della servitù.

Avverso tale decisione proponeva appello la Renan, e nel corso del giudizio di appello spiegavano intervento V.C. e C.M., qualificandosi come successori a titolo particolare della società appellante, facendo in ogni caso proprie le difese della dante causa.

La Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 659 del 18/10/2010, in riforma della sentenza del Tribunale rigettava la domanda attorea.

In dettaglio, dopo avere dichiarato inammissibile l’intervento spiegato in sede di appello, in quanto non emergeva la prova di un trasferimento del diritto di servitù in favore degli interventori e contestualmente alla stipula degli atti di acquisto delle unità immobiliari da parte del V. e della C., mancando quindi la dimostrazione di un acquisto in via esclusiva del relativo diritto, disattendeva altresì il motivo di appello con il quale si sosteneva la nullità dell’atto di citazione introduttivo del giudizio per la genericità del suo contenuto, dovendosi invece ritenere che lo stesso aveva compiutamente individuato sia il petitum che la causa petendi.

Nel merito, osservava che effettivamente alla data di costituzione della servitù, avvenuta con l’atto di divisione della comunione ereditaria di V.G., il fondo poi pervenuto all’appellante era intercluso.

Evidenziava poi che doveva ritenersi condivisibile il principio di diritto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per il quale la previsione di cui all’art. 1055 c.c., opera anche in presenza di servitù costituite in via convenzionale, ove però siano funzionalmente dirette a superare l’interclusione del fondo.

Tuttavia tale regola non opera nel caso in cui dal negozio costituivo emerga in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di assoggettare la servitù al regime di quelle volontarie.

Nel caso di specie, la divisione intervenuta tra le parti aveva previsto il pagamento di un compenso per la costituzione delle varie servitù di passaggio. Inoltre l’assenza di ogni riferimento diretto o indiretto ai presupposti di fatto che rendevano la servitù necessaria per legge, faceva propendere per la volontà delle parti stesse di prevedere la servitù costituita come avente natura esclusivamente volontaria (non potendosi attribuire rilievo in tal senso al mero inciso per accedere a (OMISSIS)”).

Poichè la previsione di cui all’art. 1054 c.c., riconosce il diritto alla servitù a titolo gratuito, la previsione del compenso imponeva di ritenere che si trattasse di una servitù volontaria, il che escludeva la possibilità di ravvisare la fattispecie estintiva di cui all’art. 1055 c.c..

Per la cassazione di tale pronunzia hanno proposto ricorso M.S. e M.N. sulla base di cinque motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e precisamente nella parte in cui si è esclusa la rilevanza della previsione secondo cui la servitù costituita con l’atto di divisone era finalizzata “per accedere alla (OMISSIS)”. In particolare, la Corte distrettuale, pur avendo dato atto della effettiva situazione di interclusione in cui versava il fondo della società convenuta alla data della divisione, ha immotivatamente privato di rilievo il detto inciso.

Con il secondo motivo si denunzia la motivazione contraddittoria della sentenza su di un punto decisivo della controversia. In particolare, pur essendosi richiamato il principio di diritto di cui alla sentenza della Corte n. 11755 del 1992, ed in base al quale deve presumersi che in presenza dei requisiti di cui all’art. 1054 c.c., la servitù, sebbene convenzionalmente pattuita, abbia natura sostanzialmente coattiva, salvo che emerga in concreto ed inequivocabilmente l’intenzione delle parti di assoggettare la servitù al regime di quelle convenzionali, avrebbe poi contraddittoriamente affermato che doveva escludersi la natura coattiva, in assenza di ogni riferimento, diretto o indiretto, ai presupposti di fatto che rendevano la servitù necessaria per legge.

Con il terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., ed in particolare dell’art. 1363 cc., per la violazione della regola di interpretazione del contatto che impone la valutazione complessiva delle clausole contrattuali.

Infatti, il giudice di merito avrebbe considerato elemento dirimente al fine di considerare la servitù come esclusivamente volontaria, il fatto che fosse stata prevista la corresponsione di un compenso, omettendo di attribuire adeguata rilevanza al riferimento alla finalità della servitù di consentire l’accesso ala (OMISSIS), ed al fatto che le parti avevano dichiarato di aver preso visione delle planimetrie dalle quali emergeva la chiara interclusione del fondo dominante.

Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione sempre all’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto dalla sentenza non emerge la ragione per la quale, in presenza di una pluralità di clausole contrattuali, la Corte distrettuale ha ritenuto di attribuire esclusiva rilevanza alla sola previsione della corresponsione di un compenso. Infine, con il quinto motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1053, 1054 e 1055 c.c., in quanto sarebbe stata considerata la previsione di un compenso quale unico elemento costitutivo di una servitù di passaggio volontario, pur in presenza di tutti gli elementi di cui all’art. 1054 c.c..

Si sarebbe poi trascurato il fatto che l’onerosità è un carattere normale delle servitù coattive, e che l’eventuale esclusione del pagamento dell’indennità non esclude l’invocabilità della previsione di cui all’art. 1055 c.c..

Inoltre, quanto alla previsione di gratuità della servitù di cui all’art. 1054 c.c., la stessa è legata alla presunzione che le parti abbiano tenuto conto, al momento della determinazione del corrispettivo dell’alienazione, dell’obbligo di dover prestare il consenso alla servitù, ma ciò non è incompatibile con la volontà delle parti di prevedere che la servitù sia legata al versamento di un corrispettivo.

Inoltre la Corte distrettuale avrebbe errato nel momento in cui ha distinto lessicalmente il termine “compenso”, come riferibile alle sole servitù convenzionali, dal termine “indennità”, da relazionare invece alle servitù coattive, trascurando che è lo stesso art. 1055 c.c., a servirsi dei due termini in maniera indifferenziata, e ciò ancorchè la previsione normativa si occupi specificamente delle servitù coattive.

2. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto mirano nel complesso a confutare la correttezza della decisione della Corte distrettuale che è pervenuta ad affermare che la servitù di cui all’atto di divisione del (OMISSIS) avesse natura esclusivamente volontaria, violando, da un lato, le regole di ermeneutica contrattuale, e fornendo, dall’altro, una motivazione insufficiente e contraddittoria, avendo dato esclusiva rilevanza, anche in chiave interpretativa della volontà delle parti, al dato rappresentato dalla previsione di un compenso, pur in presenza di una situazione fattuale riconducibile alla ipotesi astratta di cui all’art. 1054 c.c..

I motivi sono fondati.

Orbene reputa il Collegio che debba darsi continuità al più recente orientamento di questa Corte, la quale superando una precedente opinione, ha ritenuto compatibile la previsione invocata da parte dei ricorrenti, e precisamente l’art. 1055 c.c., anche laddove la servitù abbia formalmente natura negoziale, allorquando però sia stata costituita al ricorrere dei presupposti che avrebbero legittimato la costituzione della medesima servitù in via coattiva.

In tal senso, e con specifico riferimento, proprio ad una situazione di interclusione scaturente da un atto di alienazione ovvero di divisione, si veda, Cass. 10 febbraio 2014 n. 2922, la cui massima recita: “Per il disposto dell’art. 1054 c.c., il quale riconosce al proprietario del fondo rimasto intercluso in conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di divisione il diritto di ottenere coattivamente dall’altro contraente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità, deve presumersi che la servitù di passaggio costituita con lo stesso atto di alienazione o di divisione, o anche con atto successivo che all’interclusione sia oggettivamente preordinato, abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità alla medesima, in caso di cessazione dell’interclusione, della causa estintiva di cui all’art. 1055 c.c., salvo che dal negozio costitutivo non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di assoggettarsi al regime delle servitù volontarie”.

Nella motivazione si è precisato che solo laddove dal negozio costitutivo emerga in concreto ed inequivocabilmente l’intento delle parti di assoggettare la servitù al regime delle servitù volontarie (Cass. 29/10/1992 n. 11755; Cass. 21/12/2012 n. 23839; Cass. 28/2/2013 n. 5053), è possibile escludere la fattispecie estintiva di cui all’art. 1055 c.c.

Infatti, si è osservato che le servitù coattive, pur trovando nella legge il loro presupposto, ai sensi dell’art. 1032 c.c., comma 1, (che prevede che la servitù coattiva, in mancanza di contratto è costituita con sentenza), vengono ad esistenza per il tramite di un titolo che può anche essere negoziale e che, con effetti costitutivi, ne determina la creazione; in altri termini il negozio giuridico di indole privatistica è idoneo ad integrare il titolo, oltre che delle servitù volontarie anche, delle servitù coattive. Nè appare necessario che dal negozio medesimo risulti evidenziato l’intento delle parti di fronteggiare quell’esigenza in adempimento del correlativo obbligo legale, in quanto, in caso di servitù di passaggio in favore di fondo rimasto intercluso a seguito di atto di divisione, la divisione (o le convenzioni ad essi esplicitamente connesse) si rivela, di per sè sola, idonea a far presumere l’esistenza della determinazione delle parti di porre in essere una servitù coattiva di passo (come desumibile dallo stesso art. 1054 c.c., che attribuisce al contraente che rimane intercluso il diritto di ottenere dall’altro contraente e gratuitamente il passaggio) e, di conseguenza, una siffatta servitù è da considerare coattiva ove non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di assoggettarla al regime delle servitù volontarie (cfr. Cass. n. 11755/1992 cit. e ivi i precedenti richiamati).

Tali condivisibili principi hanno poi trovato ulteriore e più recente conferma in Cassazione 23 settembre 2015 n. 18770, la quale ha appunto ribadito che, se è vero che le servitù volontarie sono convenzionali, nel senso che trovano la loro fonte nel contratto o nel testamento, non è esatta la proposizione inversa, cioè che tutte le servitù convenzionali si identificano con le servitù volontarie, giacchè anche le servitù coattive possono essere costituite mediante contratto e non cessano, solo per questo, di essere coattive e di essere soggette al relativo regime giuridico. In tale ipotesi, le dette servitù sono pur sempre suscettibili di estinguersi ai sensi dell’art. 1055 c.c., per il venire meno dello stato di fatto che ne aveva reso necessaria, ex lege, la costituzione. (Cass. 6 marzo 1969 n. 732), a nulla rilevando, peraltro, che le parti non abbiano previsto la corresponsione di un’indennità al proprietario del fondo servente, atteso che l’onerosità costituisce un carattere normale delle servitù coattive, ma non un elemento essenziale (Cass. 17 dicembre 1970 n. 2701).

La sentenza gravata, pur mostrando formalmente di voler dare seguito a tali principi, è però pervenuta ad una soluzione che ne tradisce in concreto la applicazione.

La Corte distrettuale ha, infatti, in premessa riconosciuto come dimostrata la condizione di interclusione del fondo dominante alla data della divisione, ritenendo quindi che sussistessero appieno i requisiti fattuali cui la disposizione dell’art. 1054 c.c., ricollega il diritto alla servitù in favore del titolare del fondo intercluso.

Tuttavia, in presenza di un costante orientamento di questa Corte per il quale, al ricorrere di tali presupposti, l’esclusione della natura sostanzialmente coattiva della servitù, presuppone la ricerca di una concreta ed inequivoca volontà delle parti di assoggettarla al diverso regime delle servitù convenzionali, ha valorizzato il solo elemento della previsione nella divisione di un compenso in favore di titolari dei fondi gravati della servitù.

In tale ottica risulta del tutto omessa la valutazione degli altri elementi, puntualmente richiamati dalla difesa dei ricorrenti, che invece potevano deporre per la riconducibilità della fattispecie alla previsione astratta di cui all’art. 1054 c.c., quali l’obiettiva situazione di interclusione, peraltro ben nota alle parti, oltre che in virtù del richiamo alle planimetrie che le parti espressamente dichiaravano di avere preso in visione all’atto della divisione, anche in ragione del richiamo alla finalità delle servitù che era appunto di assicurare l’accesso alla (OMISSIS), che manifesta quale fosse lo scopo che le parti si prefiggevano.

La decisione impugnata ha invero del tutto immotivatamente svalutato, anche in chiave di interpretazione del contratto, gli altri elementi che dallo stesso emergevano, pervenendo ad applicare un principio di diritto del tutto difforme da quello espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, di tal che, l’affermazione della natura convenzionale della servitù, lungi dal costituire l’effetto di una ricerca di una concreta ed inequivoca volontà delle parti (dovendo quindi di norma correlarsi ad elementi di carattere pregante in tal senso) risulta in sostanza correlata al solo fatto che le parti avessero previsto il pagamento di un compenso.

A tal fine, oltre a doversi concordare con la difesa dei ricorrenti circa l’impossibilità di poter ritenere effettivamente corrispondente ad una diversa qualificazione giuridica della servitù l’utilizzo dei termini “corrispettivo” ed “indennità”, posto che gli stessi risultano indifferentemente utilizzati dallo stesso legislatore nella previsione di cui all’art. 1055 c.c., che risulta chiaramente riferito alla disciplina delle servitù coattive, omette di considerare che, se di norma la servitù di passaggio scaturente da un atto di alienazione ovvero di divisione è gratuita (e ciò rileva evidentemente nelle ipotesi in cui la richiesta di servitù sia avanzata in epoca successiva all’atto di alienazione o di divisione), nulla impedisce alle parti di poter prevedere, nell’ambito della loro autonomia negoziale, anche la previsione di un corrispettivo, volto ad assicurare, nell’ottica della divisione, il rispetto della parità economica delle quote, senza che per ciò solo, venga snaturata la natura giuridica della servitù, quale conseguenza della situazione determinatasi in conseguenza della divisione.

Per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Ancona, che si atterrà nella decisione ai suesposti principi.

3. A seguito del rinvio conseguente all’accoglimento del ricorso, la Corte di Appello provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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