Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20461 del 02/08/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 20461 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DI PAOLANTONIO ANNALISA

ORDINANZA

sul ricorso 17518-2013 proposto da:
PELLEGRINO ANGELO PLLNGL50G24B7150, CARRILLO RAFFAELE
nato a CAPUA il 02/04/1973, BOSSA GIULIA
BSSGLI45B42B715Z, CARRILLO MARIA nato a CAPUA il
02/05/1972, CARRILLO DAVIDE nato a CAPUA il
02/08/1983, in proprio e nella qualità di eredi di
CARRILLO PASQUALE, tutti elettivamente domiciliati in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio
2018
1270

dell’avvocato GREZ GIAN MARCO, rappresentati e difesi
dall’avvocato ANTONIO SASSO, giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELL’

ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F.

Data pubblicazione: 02/08/2018

80415740580, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA
DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrentle –

AGENZIA DEL TERRITORIO C.F. 80416110585;
– intimata –

avverso la sentenza n. 6986/2012 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/04/2013 R.G.N.
10147/2010.
r

nonchè contro

R.G 17518/2013

RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere che aveva parzialmente accolto le domande, ha respinto i ricorsi proposti
da Angelo Pellegrino e dagli eredi di Pasquale Carrillo i quali, nel convenire in giudizio
l’Agenzia del Territorio e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, avevano chiesto il
risarcimento dei danni derivati dalla ritardata assunzione, disposta nel maggio 2002
anziché a decorrere dall’approvazione delle graduatorie del concorso speciale di idoneità

2. la Corte territoriale ha premesso che i ricorrenti avevano prestato servizio presso la
Conservatoria dei registri immobiliari dal gennaio 1978 fino al 31 ottobre 1990, in forza
di contratti di appalto rinnovati annualmente, e, dopo avere diffidato Vamministrazione
nel febbraio del 1990, avevano agito dinanzi al giudice amministrativo, che con sentenze
di eguale tenore, nn. 522 e 523 del 6 aprile 1999, aveva ritenuto illegittimo il
comportamento tenuto dal Ministero e ordinato a quest’ultimo di delibare, ora per allora,
i requisiti di ammissione;
3. la sentenza non era stata spontaneamente eseguita, sicché i ricorrenti avevano
promosso giudizio di ottemperanza all’esito del quale, previo superamento della
selezione, avevano sottoscritto il contratto di lavoro nel maggio 2002;
4. il giudice di appello, ritenuto inammissibile il motivo con il quale era stata riproposta
l’eccezione di difetto di giurisdizione ed esclusa la legittimazione passiva dell’Agenzia, ha
rilevato che la domanda di risarcimento dei danni era stata proposta ai sensi dell’art.
2043 cod. civ., sicché era onere degli attori dimostrare, oltre al pregiudizio subito, la
colpa dell’amministrazione, che non poteva essere desunta solo dal mero dato obiettivo
dell’illegittimità dell’azione amministrativa;
5. ha escluso che nella fattispecie il Ministero avesse agito colpevolmente giacché, a
fronte del dato normativo e della procedura concorsuale speciale espletata nell’anno
1982, i ricorrenti solo nel febbraio del 1990 si erano attivati;
6. la Corte territoriale ha aggiunto: che il TAR aveva respinto le domande; che «le
argomentazioni, invero opinabili, svolte dal C.d.S. con le decisioni di aprile 1999 ben
potevano giustificare resistenze da parte della convenuta amministrazione ministeriale,
superabili dunque soltanto con apposito giudizio di ottemperanza»; che, tenuto conto dei
tempi tecnici occorrenti ai fini dell’espletamento di ordinari concorsi pubblici, neppure
appariva colpevole il tempo impiegato dall’amministrazione sino alla stipula dei contratti
sottoscritti nel maggio 2002;
7. infine il giudice di appello ha sottolineato la genericità delle allegazioni e delle
doglianze espresse dagli attori, i quali si erano limitati a fondare la domanda risarcitoria
sul giudicato amministrativo, senza alcuna specifica allegazione circa la sussistenza

bandito con d.m. 11 maggio 1982;

dell’elemento psichico richiesto ai fini dell’affermazione della responsabilità extra
contrattuale, esonerando in tal modo il resistente da puntuali controdeduzioni e difese
sul punto;
8. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Angelo Pellegrino e gli eredi
di Pasquale Carrillo sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis 1 cod.
proc. civ., ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

CONSIDERATO CHE

c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. – violazione e falsa applicazione
dell’art. 324 c.p.c. – violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c.» e rileva che,
contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale, il Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere nell’accogliere parzialmente la domanda aveva proceduto ad un’autonoma
valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità di cui all’art.
2043 cod. civ., rimarcando che l’amministrazione era rimasta silente di fronte all’istanza
del 5 febbraio 1990 e che l’illegittimità della condotta era stata accertata con sentenza
passata in giudicato;
1.1 aggiungono i ricorrenti che ha errato la Corte territoriale nell’escludere il vincolo
derivante dal precedente giudicato e nel sostenere che quest’ultimo, eventualmente,
coprirebbe il dedotto e il deducibile, posto che da un lato nulla impediva di esperire
l’azione risarcitoria, autonoma e distinta rispetto a quella di annullamento, dall’altro, pur
nella autonomia dei due giudizi, non poteva più essere rimesso in discussione
l’accertamento compiuto dal giudice amministrativo;
2. la seconda censura addebita alla sentenza impugnata la violazione delle norme
richiamate nel primo motivo nonché dell’art. 112 d.lgs. n. 104/2010 e dell’art. 115,
comma 2, cod. proc. civ. e rileva che la Corte territoriale, per escludere la configurabilità
di una condotta colposa, ha attribuito rilievo a circostanze inconferenti ed ha
inammissibilmente prospettato profili di opinabilità della decisione del Consiglio di Stato,
al fine di giustificare le resistenze opposte dal Ministero;
2.1. i ricorrenti evidenziano che l’avvenuta presentazione della istanza solo in data 5
febbraio 1990 poteva assumere rilievo ex art. 1227 cod. civ., ma non escludere in radice
la colpa dell’amministrazione;
2.2. aggiungono che il giudice di appello non poteva andare di diverso avviso rispetto a
quello amministrativo e giustificare l’inottemperanza dell’amministrazione sulla base di
una valutazione critica delle statuizioni contenute nel giudicato;
2.3. infine evidenziano che, in assenza di qualsivoglia allegazione da parte
dell’amministrazione appellante, la Corte territoriale non poteva fare ricorso al dato di
comune esperienza relativo ai tempi delle procedure concorsuali, tanto più che nel caso

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1. il primo motivo denuncia « error in iudicando in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3

di specie la selezione era riservata ai soli ricorrenti ed era consistita in un mero colloquio
volto ad accertarne l’inidoneità alle mansioni;
3. la terza critica denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione degli artt. 434 e 326 cod. proc. civ. nonché dell’art. 2909 cod. civ.
perché, contrariamente a quanto asserito nella sentenza impugnata, in sede di ricorso
introduttivo del giudizio di primo grado erano stati individuati specifici profili di
responsabilità dell’amministrazione, alla quale era stato addebitato di aver tenuto una
condotta colpevolmente inerte in una materia non connotata da discrezionalità, atteso il
carattere vincolato dell’ammissione alla procedura, dalla quale i ricorrenti erano stati
esclusi sebbene il titolo per la partecipazione fosse di facile accertamento e verifica;

3.1. il motivo aggiunge che a fronte di dette articolate argomentazioni il Ministero non
aveva allegato circostanze idonee a smentire quanto asserito in relazione alla sussistenza
di un comportamento colposo, essendosi limitato a sostenere che per costante indirizzo
giurisprudenziale il vincitore di un concorso ha diritto a percepire lo stipendio solo dal
giorno di inizio della effettiva prestazione, anche nelle ipotesi in cui venga disposta la
retroattività a fini giuridici della nomina;
3.2. sostengono, infine, i ricorrenti che l’atto d’appello doveva essere dichiarato
inammissibile per difetto della necessaria specificità in quanto il Tribunale aveva
puntualmente individuato “indici rilevatori” della condotta colposa dell’amministrazione in
relazione ai quali l’appellante nulla aveva dedotto, essendosi limitato a sostenere che non
era stato assolto l’onere della prova;
4. i motivi non possono essere scrutinati perché formulati senza il necessario rispetto
dell’onere, imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., di specifica indicazione dei
documenti e degli atti processuali posti a fondamento del ricorso;
4.1. le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo affermato che l’art. 366 n. 6 cod.
proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 40/2006 oltre a richiedere l’indicazione degli atti,
dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che
sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto e tale prescrizione,
da correlarsi con l’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, n. 4
cod. proc. civ., può essere soddisfatta, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi
di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante la produzione di
quest’ultimo, ma a condizione che nel ricorso si specifichi che il fascicolo sia stato
depositato e la sede in cui, in quel fascicolo, il documento è rinvenibile ( Cass. S.U. nn.
28547/2008, 7161/2010, 22726/2011);
4.2. l’obbligo di specifica indicazione deve essere assolto in modo puntuale, nel senso che
occorre una precisa «localizzazione» del documento o dell’atto all’interno dei fascicoli dei
precedenti gradi del giudizio ( cfr. fra le più recenti Cass. n. 5478/2018 e la
giurisprudenza ivi indicata), sicché non è sufficiente un generico richiamo al fascicolo di

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gi

parte o d’ufficio, occorrendo, invece, che alla Corte vengano fornite tutte le indicazioni
necessarie per l’immediato reperimento dell’atto;
4.3. a detto onere i ricorrenti non hanno adempiuto perché, pur avendo elencato in calce
ad ogni motivo gli atti e i documenti posti a fondamento della censura, quanto
all’allocazione degli stessi hanno fatto generico riferimento alle produzioni dei precedenti
gradi di giudizio;
4.4. si deve, poi, aggiungere che in nessuna parte del ricorso risulta trascritto il
contenuto dell’istanza del febbraio 1990, alla quale la Corte territoriale ha fatto esplicito
riferimento nell’escludere profili di colpa della condotta tenuta dall’Amministrazione;

ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da
dispositivo;
4.6. sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità liquidate in C 3.000,00 per competenze professionali,
oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1bis.
Così deciso nelle Adunanze camerali del 22 marzo e del 17 aprile 2018

Il Funzionario Giudizia

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4.5. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con conseguente condanna dei

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