Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20460 del 28/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 28/09/2020), n.20460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6411-2019 proposto da:

S.G., SC.AN., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato DOMENICO ROMITO;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTARE SDF A.A. E M.C., in persona

del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLO

CIPRIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato FLORA CAPUTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1873/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 23/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO

MAURO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Il Fallimento della società di fatto A.A. e M.C. ha agito dinanzi al Tribunale di Bari nei confronti di S.G. e Sc.An. in revocatoria fallimentare di una vendita immobiliare.

Il Tribunale ha accolto la domanda con sentenza appellata dai S.- Sc. e confermata dalla Corte d’appello di Bari.

Contro quest’ultima sentenza i S.- Sc. hanno proposto ricorso per cassazione per tre mezzi, che questa Corte ha respinto con sentenza del 23 gennaio 2019, numero 1873.

2. – I soccombenti S.- Sc. hanno contro tale sentenza proposto ricorso per revocazione che nell’intestazione richiama erroneamente l’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 391 bis c.p.c., trattandosi viceversa di revocazione proposta per essere incorsa la detta sentenza in un triplice errore di percezione del fatto processuale.

3. – Il Fallimento resiste con controricorso illustrato da memoria e formula domanda di danni per lite temeraria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. – Si sostiene nel ricorso per revocazione che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in errore di percezione della latitudine di tutti e tre i motivi di ricorso avverso la sentenza d’appello. In particolare:

-) essi S.- Sc. avevano denunciato in appello una duplice violazione, da parte del primo giudice, del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, violazione concernente, tra l’altro, la modifica, da parte del Fallimento, del fatto costitutivo posto a fondamento della domanda, dal momento che il Fallimento, il quale aveva inizialmente lamentato che gli acquirenti avessero corrisposto il solo importo di 160.000.000 di Lire, a fronte del prezzo pattuito in contratto per 210.000.000 di Lire, aveva poi soltanto in conclusionale del giudizio di primo grado sostenuto che il prezzo dichiarato era comunque sproporzionato per difetto rispetto al valore di mercato del bene determinato in corso di causa a mezzo di CTU; l’appello non si era pronunciato al riguardo; tale omessa pronuncia era stata fatta valere nel corpo del primo motivo di ricorso per cassazione; sostengono i ricorrenti nel ricorso per revocazione che la Corte di cassazione, nella sentenza qui impugnata, sarebbe incorsa in una svista, non avvedendosi che il motivo di ricorso in questione concerneva anche il profilo indicato.

-) essi S.- Sc. avevano censurato in appello il punto della sentenza del Tribunale relativo al prezzo pagato, che, anche se di 220.000.000 di Lire, sarebbe stato in ogni caso molto più basso del prezzo di mercato alla stregua di quanto risultante dalla CTU: e tale censura avevano spiegato sotto un triplice aspetto, sia quello della violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto l’onere probatorio della sproporzione del prezzo non poteva dirsi assolto solo con la CTU, sia quello della violazione dell’art. 329 c.p.c. in tema di acquiescenza della sentenza, sia quello dell’errata applicazione della L. fallimentare, art. 67, ed in particolare del criterio del quarto per la determinazione del notevole squilibrio tra valore e prezzo; l’appello non si era pronunciato “sulla censura relativa all’assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. in capo alla Curatela tramite la sola CTU, affermando che il prezzo pagato andava confermato in Euro 210.000,00 e che applicando i criteri stabiliti dalla giurisprudenza in ordine alla L. fallimentare, art. 67, comma 1, la somma doveva ritenersi incongrua”; sostengono i ricorrenti nel ricorso per revocazione che anche in questo caso la Corte di cassazione, nella sentenza qui impugnata, non si “esprimeva sulla censura di omessa pronuncia in ordine alla questione dell’assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. in capo alla Curatela con la sola CTU, nè in riferimento alla contestazione in ordine alla corretta applicazione della L. fallimentare, art. 67”; ciò con la precisazione che “tale omessa pronuncia… non appare frutto di una mera omissione… ma pare dipendere dal complesso del ragionamento falsato da un errore di percezione di fatto processuale”;

-) essi S.- Sc. avevano censurato la sentenza d’appello laddove aveva loro addebitato di non aver allegato e provato la inscientia decotionis, sia perchè alla vicenda doveva applicarsi l’art. 67, comma 2, e non il primo, sia perchè non era vero che essi non avessero allegato e provato tali circostanze; nel respingere tale motivo, nella sentenza qui impugnata, la Corte di cassazione si era limitata ad affermare che “la fattispecie di cui è causa è quella di cui alla L. fallimentare, art. 67, comma 2”, ritenendo così, si sostiene in ricorso, di “non doversi esprimere sul fatto che i ricorrenti non avevano allegato fatti a prova della loro inscientia decotionis”; si tratterebbe di “un vizio che legittima la revocazione stante l’errata valutazione degli atti processuali e comunque rilievi su cui il giudice non si è pronunciato ritenendo riassorbiti, anche implicitamente, da decisione su altri motivi”.

RITENUTO CHE:

5. – Il ricorso è inammissibile.

Non sussistono gli errori di percezione del fatto processuale denunciati con il ricorso per revocazione.

5.1. – Quanto al primo motivo, difatti, è agevole osservare come questa Corte, nella sentenza impugnata, si sia esattamente rappresentata l’estensione del primo motivo con il quale – così la censura è riassunta a pagina 3 della sentenza menzionata – si era osservato “che soltanto nella memoria conclusionale in primo grado il curatore fallimentare aveva esposto che il prezzo della cessione immobiliare era proporzionato rispetto al valore accertato dal CTU, mentre nella citazione aveva invece dichiarato e il prezzo di 210.000.000 di Lire, indicato nell’atto, era ai limiti del valore di mercato e che il prezzo e effettivamente pagato ammontava a sole Lire 160.000.000”. Dopodichè, può per completezza accennarsi, la detta sentenza ha altresì pronunciato sulla censura ritenendo che le deduzioni contenute nell’originaria citazione introduttiva del giudizio di primo grado dovessero essere considerati “equivalenti al riferimento alla sproporzione tra le prestazioni, per cui quanto esposto dalla Curatela nella comparsa conclusionale in primo grado circa la sproporzione tra il prezzo e il valore dell’immobile indicato dal CTU non è volto ad introdurre una domanda nuova”, i.e. non comporta una modificazione dei fatti costitutivi della domanda medesima.

5.2. – Quanto al secondo motivo, poi, l’inammissibilità discende anzitutto dall’ovvio rilievo che esso è espressamente diretto a censurare un preteso errore di giudizio, giacchè, secondo i ricorrenti, la Corte non si “esprimeva sulla censura di omessa pronuncia in ordine alla questione dell’assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. in capo alla Curatela con la sola CTU, nè in riferimento alla contestazione in ordine alla corretta applicazione della L. fallimentare, art. 67”. Ciò detto, del tutto destituita di fondamento è poi la precisazione sopra trascritta secondo cui “tale omessa pronuncia… non appare frutto di una mera omissione… ma pare dipendere dal complesso del ragionamento falsato da un errore di percezione di fatto processuale”: ed invero, il secondo motivo di ricorso per cassazione, a pagina 4 della sentenza impugnata, è così riassunto: “Con il secondo motivo è denunziato alla violazione dell’art. 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, e 5, avendo la Corte d’appello deciso incorrendo in ultrapetizione nel determinare il prezzo della vendita in Lire 210.000.000, e della L. fallimentare, art. 67 e dell’art. 2697 c.c., per avere essa pronunciato sulla base di una acritica accettazione della CTU, ritenendo che la sproporzione superiore ad un quarto fosse stata erroneamente calcolata in percentuale riguardo al prezzo e non al valore del bene, senza tener conto del reale stato dell’immobile ceduto e della mancanza del certificato di agibilità”. E’ dunque palese che la Corte di cassazione si è rappresentata il contenuto del motivo in relazione ai suoi tre profili cui si sono riferiti i ricorrenti.

5.3. – Eguali considerazioni valgono per il terzo motivo di revocazione. Il terzo motivo dell’originario ricorso per cassazione è difatti così riassunto a pagina 4 della sentenza impugnata “Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’applicazione della L. fallimentare, art. 67, in relazione al profilo soggettivo, e della violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 112cp.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4, e 5, avendo la Corte territoriale, sull’erroneo presupposto della sproporzione tra prezzo e valore dell’immobile tale da applicare la L. fallimentare, art. 67, comma 1, e non il comma 2, ritenuto che fosse onere degli acquirenti di mostrare la inscientia decoctionis, senza tener conto delle difese espresse fin dal primo grado”. Anche in questo caso, dunque, la sentenza impugnata si è rappresentata il doppio profilo concentrato nel motivo, sia dal versante dell’individuazione della norma applicabile, sia dal versante della valutazione della sostanza delle difese svolte dagli originari convenuti.

6. – La domanda di danni per lite temeraria spiegata dal Fallimento va senz’altro accolta.

La finalità del ricorso consiste, con tutta evidenza, nel rimettere in discussione il giudizio espresso da questa Corte in ordine alla fondatezza ed ammissibilità dei tre motivi dell’originario ricorso per cassazione: il che ha condotto i ricorrenti ad affermare che la sentenza impugnata per revocazione si caratterizzerebbe per “l’errata valutazione degli atti processuali”. Ma è cosa nota che l’errore revocatorio, che deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive e, meno che mai, della ricognizione dell’attività ermeneutica svolta (Cass., Sez. Un., 10 agosto 2000, n. 561; Cass. 1 marzo 2005, n. 4295; Cass. 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. Un., 7 marzo 2016, n. 4413), non può perciò mai consistere in un’inesatta valutazione delle risultanze processuali (integrando essa, semmai, un vizio motivazionale), giacchè la valutazione implica di per sè una ponderazione tra più possibili letture, e dunque esclude in radice la configurabilità dell’errore in discorso.

Orbene, un ricorso che prospetti contro l’evidenza la sussistenza di un errore revocatorio dipendente dall’avere la Corte di cassazione erroneamente ricostruito il fatto processuale, non rappresentandosi la proposizione di motivi, che, invece, la Corte ha con tutta evidenza avuto ben presenti, si colloca ben al di sotto del minimo di diligenza ed accuratezza nella proposizione dell’impugnazione, determinando così il sorgere del requisito della colpa grave per l’integrazione della responsabilità ex art. 96 c.p.c. (ex multis Cass. 21 gennaio 2018, n. 2040, in tema di revocazione, nonchè Cass. 15 novembre 2018, n. 29462).

Si stima equo liquidare l’importo dovuto nel doppio delle spese di lite (Cass. 4 luglio 2019, n. 17902; Cass. 30 novembre 2012, n. 21570).

7. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del Fallimento Sdf A.A. e M.C., delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, oltre al risarcimento dei danni per lite temeraria liquidati in Euro 10.000,00, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2020

 

 

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