Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2046 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. III, 29/01/2010, (ud. 19/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30217-2005 proposto da:

B.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA F.CESI 21, presso lo studio dell’avvocato TORRISI

MASSIMILIANO, rappresentato e difeso dall’avvocato ASSENZA GIORGIO

per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.U., (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1093/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

Sezione Agraria, emessa il 8/11/2004; depositata il 23/11/2004;

R.G.N. 1081/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/11/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 17 aprile 2001 R.U. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Ragusa, sez. specializzata agraria, B.G. al fine di ottenerne la condanna al pagamento della somma di L. 28.000.000, costituente la quota di sua spettanza del ricavato del prodotto delle serre, gestite da entrambe le parti, in virtù di un contratto di compartecipazione agraria.

Il convenuto, costituitosi in giudizio, contestava la domanda.

Con sentenza del 6 marzo 2003 il giudice adito condannava il B. a pagare al R. la somma di Euro 12.397,21, oltre interessi legali.

Proposto gravame, la Corte d’appello di Catania, in data 23 novembre 2004 lo respingeva.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione B. G., formulando tre motivi.

L’intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante denuncia nullità del procedimento, per error in procedendo, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 412 bis, 416 e 420 cod. proc. civ.. Evidenzia che il giudice di merito non ha rilevato l’improcedibilità della domanda, nè, sospeso il giudizio, fissato alle parti un termine per promuovere il tentativo di conciliazione, così facendo malgoverno delle norme innanzi richiamate.

1.2 Col secondo mezzo si duole che la Corte territoriale abbia affermato che l’eccezione di improcedibilità non poteva essere riproposta nei successivi gradi del giudizio. Evidenzia che, in ogni caso, l’art. 345 cod. proc. civ. ammette espressamente la proponibilità in appello di eccezioni nuove rilevabili d’ufficio.

1.3 Col terzo motivo l’impugnante contesta l’affermazione del giudice del gravame secondo cui, a seguito del deferimento e della prestazione del giuramento decisorio, i poteri istruttori del giudice non potevano essere utilizzati per sopperire alle carenze probatorie dovute all’inerzia della parte, senza considerare che risultava versato in atti il contratto di compartecipazione agraria e che una più prudente valutazione delle risultanze istruttorie avrebbe dovuto indurlo a fare uso dei suoi poteri officiosi.

2 Il primo motivo di ricorso è fondato.

Ha affermato la Corte territoriale che, in base al disposto dell’art. 112 bis cod. proc. civ., applicabile alle controversie agrarie in virtù del rinvio operato dalla L. n. 203 del 1982, art. 47 l’improcedibilità della domanda, derivante dal mancato esperimento del tentativo di conciliazione, deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva, di cui all’art. 416 cod. proc. civ., mentre il giudice può rilevarla d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 420 cod. proc. civ.. Ora, posto che nella fattispecie il convenuto aveva eccepito l’improcedibilità della domanda solo con l’atto di appello, l’eccezione non poteva essere accolta.

2.1 Il collegio ritiene di doversi discostare dalla esegesi dei testi normativi di riferimento seguita dal giudice di merito per le ragioni che seguono.

Va anzitutto evidenziato che già, prima della riforma operata dal D.Lgs. n. 80 del 1998, il tentativo di conciliazione per le controversie agrarie, da esperirsi dinanzi all’Ispettorato provinciale agrario (IPA) e non dinanzi all’Ispettorato provinciale del lavoro, era stato previsto dalla L. n. 203 del 1982, art. 46, come adempimento obbligatorio, mentre in materia lavoristica l’art. 410 cod. proc. civ. lo connotava in termini di pura facoltatività.

Ora, siffatta diversità di disciplina tra l’uno e l’altro tentativo di conciliazione permane nell’attuale assetto normativo.

E invero, in base al disposto della L. n. 203 del 1982, art. 46 “chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a una controversia in materia di contratti agrari è tenuto a darne preventivamente comunicazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’altra parte e all’Ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per territorio …”; mentre l’art. 410 cod. proc. civ., pur avendo lo stesso incipit, non contiene tuttavia la locuzione “preventivamente”. A ciò aggiungasi che l’art. 412 bis cod. proc. civ. stabilisce espressamente che “l’espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda” (comma 1) e che il giudice, ove rilevi che esso non è stato promosso, “sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuover(lo) … ” (comma 3).

Come dunque si può dedurre dal raffronto tra le due discipline, il tentativo di conciliazione in materia agraria deve essere sempre “preventivo”, cioè attivato prima dell’inizio di qualsiasi controversia, atteso che la norma, “inderogabile e imperativa”, non consente che il filtro dallo stesso costituito possa essere posto in essere successivamente alla domanda giudiziale; laddove l’esperimento del tentativo di conciliazione nel processo del lavoro può essere, invece, promosso in corso di causa, previa sospensione del giudizio per il termine di giorni sessanta (con conseguente necessità di riassunzione, a pena di estinzione).

In tale prospettiva questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in materia agraria, il requisito della necessità del preventivo esperimento del tentativo individua, nell’assetto della L. n. 203 del 1982, art. 46 una condizione di “proponibilità”, la cui mancanza, rilevabile anche d’ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità della domanda; mentre, in materia lavoristica, esso integra una condizione di “procedibilità”, il cui mancato esperimento determina, come è stato rilevato dalla giurisprudenza di merito, una “improcedibilità sui generis”, avuto riguardo al regime della sua rilevabilità e all’iter che consegue a tale rilievo (Cass. civ. sez. 3, 15 luglio 2008, n. 19436).

Deve pertanto ritenersi che l’art. 412 bis cod. proc. civ. integri una disciplina peculiare del processo del lavoro, inapplicabile al processo agrario che, del resto, ha una sua precisa e difforme regolamentazione positiva nella L. n. 203 del 1982, art. 46.

Nè può dirsi, sotto il profilo della successione delle leggi nel tempo (art. 15 preleggi), che la novella del 1998 abbia abrogato la normativa prevista dalla L. n. 203 del 1982, art. 46 e la conseguente obbligatorietà del tentativo di conciliazione, non essendovi incompatibilità tra le nuove disposizioni (art. 410 cod. proc. civ. e segg.) e la precedente norma (art. 46), attesa la sostanziale autonomia delle due discipline e la circostanza che la nuova legge non ha regolato interamente la materia già disciplinata dalla legge anteriore.

In definitiva, quindi, considerato che nella fattispecie pacificamente il tentativo di conciliazione è stato omesso, in accoglimento del primo motivo di ricorso, nel quale restano assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio e la domanda proposta da R.U. nei confronti di B. G. deve essere dichiarata improponibile.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata e dichiara improponibile la domanda proposta da R.U. nei confronti di B.G..

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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