Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2046 del 04/02/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2046 Anno 2015
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

Data pubblicazione: 04/02/2015

ORDINANZA
sul ricorso 9594-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), domiciliata elettivamente
in Roma, Via Po n. 25b, presso lo studio dell’Avv. Roberto Pessi, che
la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
COGNINI DORIANA (CGNDRN60H43I324U), elettivamente
domiciliata in Roma in via Italo Carlo Falbo n. 22, presso lo studio
dell’Avv. Angelo Colucci, rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo
Monaldi per procura rilasciata in calce al controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 123/2010 della Corte d’appello di Ancona,
depositata in data 6.04.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
1.12.14 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito l’Avv. Angelo Colucci.
Ritenuto in fatto e diritto
1.- Cognigni Doriana chiedeva al Giudice del lavoro di Macerata
che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di

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1/.

3. Poste Italiane s.p.a. c. Cognigni Doriana (r.g. 9594-11)

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assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo
2.11.98-31.01.99. Accolta la domanda, conseguiva la declaratoria
dell’instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la
condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate a
decorrere dalla costituzione in mora, detratto P aliunde percepturn con
compensazione delle spese di giudizio.
2.- Proposto appello da Poste Italiane e, in via incidentale, dalla
lavoratrice, con sentenza della Corte d’appello di Ancona del 6.04.10
l’impugnazione principale era rigettata, mentre in accoglimento
dell’incidentale la società era condannata alle spese del primo grado. La
Corte, considerato che il contratto era stipulato in forza dell’art. 8 del
CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per
esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda,
rilevava che detta causale era ammessa solo per le assunzioni disposte
fino al 30.4.98 — data fissata dalle parti collettive con accordo
integrativo 16.1.98 — di modo che il termine nel caso di specie era
illegittimamente apposto.
3.- Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione. Rispondeva
con controricorso Cognigni.
4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha
depositato relazione, che è stata notificata ai difensori costituiti assieme
all’avviso di convocazione dell’adunanza.
5.- I motivi della ricorrente possono essere così riassunti:
5.1.- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto
per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra
la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione indice di
disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo
che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia
non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di
interesse al ripristino del rapporto (primo motivo);
5.2.- violazione dell’art. 23 della 1. 28.2.87 n. 56, degli artt. 1362 e
segg. c.c. e 8 del cali 26.11.94 e degli accordi 25.9.97, 16.1.98 e 27.4.98,
nonché carenza di motivazione, contestandosi l’interpretazione data
alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, in particolare
evidenziandosi la contraddittorietà della sentenza impugnata quando
afferma che l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale
del contratto a termine, sarebbe soggetta ad un limite temporale di
efficacia (secondo motivo);
5.3.- violazione delle normativa in materia di risarcimento del
danno, non avendo le ricorrenti provato e quantificato il danno
conseguente alla nullità del termine, né costituito in mora il datore di
lavoro, atteso che le attrici avrebbero diritto a titolo risarcitorio alle
retribuzioni solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio; si
sostiene, inoltre, che erroneamente il giudice di merito non ha

3. Poste Italiane s.p.a. c. Cognigni Doriana (r.g. 9594-11)

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considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre
attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde percotum
da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento (terzo motivo,
erroneamente indicato come quarto);
5.4.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto di lavoro a tempo determinato
per nullità del termine, con applicazione diretta ai giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore (quarto motivo).
6.- Quanto al primo motivo (risoluzione per mutuo consenso) la
giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n.
23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto che “nel giudizio
instaurato per il riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto
di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima
apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è
necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso
dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché, alla
stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto
dalla parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad
ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata
del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le
cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto”.
La Corte d’appello ha rilevato che l’appellante, processualmente
a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la
prospettata valutazione, e ha ritenuto insufficiente a rappresentare la
disaffezione dei lavoratori la circostanza che gli stessi avessero atteso
un cospicuo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria
(essendo l’attesa ammissibile perché contenuta nei limiti prescrizionali).
A giustificazione di quest’attesa ha, inoltre, indicato alcune circostanza
di merito (incertezza della giurisprudenza e l’attesa di nuove ed ambite
successive chiamate), non contestate dalla ricorrente. Trattasi di
considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non
censurabili sul piano logico.
7.- Quanto al secondo motivo, la giurisprudenza ritiene che l’art.
23 della 1. 28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare — oltre le fattispecie tassativamente previste
dall’art. 1 della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29.1.83 n.
17, conv. dalla 1. 15.3.83 n. 79 — nuove ipotesi di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria
delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono
vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque

3. Poste Italiane s.p.a. c. Cog-nigni Doriana (r.g. 9594-11)

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omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che
in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova
ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del
25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di
merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso
25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza — dapprima fino al 31.1.98 e
poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 — della situazione di
fatto integrante delle esigene ecceionali menzionate dal detto accordo
integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione
l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad
assunzione di personale straordinario con contratto tempo
determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei
contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di
presupposto normativo.
In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto
un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato
accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità
di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e
successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a
termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse
scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., exp/urimis, Cass. 23.8.06
n. 18378). Dunque, i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di
fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti
nel complesso legislativo-negoziale costituito dall’art. 23 della legge
28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la
deroga alla legge n. 230 del 1962.
8.- Con il quarto motivo la ricorrente chiede l’applicazione
dell’art. 32, c. 5, della legge 4.11.10 n. 183 e la liquidazione indennitaria
del risarcimento del danno, evidenziando che il successivo c. 7 prevede
che detta disposizione trovi applicazione anche ai giudizi pendenti alla
data dell’entrata in vigore della legge.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che tale
disciplina, costituente nuova regolazione del rapporto controverso, sia
applicabile ai giudizi pendenti in grado di legittimità, a condizione che
la Corte sia al riguardo investita da un valido e pertinente motivo di
impugnazione (v. Cass. 28.01.11 n. 2112, 31.01.12 n. 1409 e 2.03.12 n.
3305), in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8.05.06
n. 10547 e 27.02.04 n. 4070). Tale condizione è nella specie realizzata,
atteso che l’applicazione della disciplina in questione è fatta oggetto di
uno specifico motivo, il quarto, con il quale, seppure in via subordinata
al rigetto del terzo, viene denunziata la difformità del decisurn dal nuovo
criterio di risarcimento del danno previsto dalla legge n. 183 del 2010.

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Per questi motivi
La Corte rigetta i motivi primo e secondo, accoglie il quarto e,
assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte
d’appello di Ancona in diversa composizione anche per la regolazione
delle spese.
Così deciso in Roma il 10 dicembre 2014
Il Presidente

9.- Tanto rilevato, deve considerarsi che la disposizione dell’art.
32 in questione (ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2011) al c. 5 prevede che
“nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice
condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo
un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di
2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della 1. 15.7.66 n. 604”.
Lo stesso art. 32 al successivo c. 6 prevede, inoltre, che “in presenza di
contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali,
stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche
a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a
termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo
dell’indennità fissata dal c. 5 è ridotto a metà”. La quantificazione del
risarcimento con questi criteri impone accertamenti di merito che
debbono essere rimessi al giudice di rinvio.
10.- In conclusione, rigettati i primi due motivi del ricorso ed
accolto il quarto, assorbito il terzo, deve essere cassata la sentenza
impugnata con rinvio al giudice indicato in dispositivo per l’adozione
dei provvedimenti sul risarcimento previsti dalla legge n. 183 del 2010.
Allo stesso giudice va rimessa la regolazione delle spese.

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