Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20453 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 11/10/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 11/10/2016), n.20453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5067/2012 proposto da:

F.E. (OMISSIS), FO.ED. (OMISSIS), FO.RO.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI FORTE

TIBURTINO 160, presso lo studio dell’avvocato ANNUNZIATO SAMMARCO,

che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

G.G., L.G., P.A., CONDOMINIO di

(OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1903/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato ANNUNZIATO SAMMARCO, difensore del ricorrente, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso e delle difese esposte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I signori F.E. ed Fo.Ed. e R. ricorrono contro i signori G.G., L.G., P.A. e contro il Condominio dello stabile di via (OMISSIS), per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Roma che ha annullato, con rimessione delle parti in primo grado, la sentenza del tribunale di Roma che – rigettata la domanda principale degli odierni intimati, tendente a far accertare la proprietà condominiale di talune parti del detto stabile (indicate a pag. 2 della sentenza gravata, nella narrativa del processo, come “un pozzo idrico e la rampa di accesso al magazzino situato al piano seminterrato del detto plesso condominiale”) – aveva dichiarato, in accoglimento della domanda riconvenzionale dei signori F. e Fo., che questi ultimi avevano acquistato detti beni per usucapione.

La Corte d’appello di Roma ha annullato la sentenza di primo grado per aver pronunciato su una domanda di usucapione di beni in proprietà comune dei condomini dello stabile senza che fosse stato integrato il litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i condomini.

Il ricorso per cassazione si articola su tre motivi.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., nonchè il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa affermando la nullità della sentenza di primo grado per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini in base alla mera presunzione, non supportata da alcun concreto riscontro, dell’esistenza di altri condomini, oltre quelli già presenti in causa.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1158 c.c., e degli artt. 102 e 354 c.p.c., nonchè il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, in cui la corte d’appello sarebbe incorsa disponendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti diversi da quelli che concretamente avevano manifestato interesse verso il bene in contestazione.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa non rilevando il difetto di legittimazione attiva del Condominio per avere quest’ultimo agito, in persona del relativo amministratore, a tutela di beni non contemplati dall’art. 1117 c.c., e non asserviti all’uso delle singole unità immobiliari che compongono il fabbricato condominiale. Tali beni, secondo la prospettazione dei ricorrenti, sarebbero soggetti al regime di comunione ordinaria e non di proprietà condominiale, con la conseguenza che il Condominio non avrebbe titolo per partecipare ad un giudizio avente ad oggetto l’accertamento della relativa proprietà.

Nessuno degli intimati si è costituito in questa sede.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 20.4.16, per la quale i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo di ricorso si assume che la sentenza gravata avrebbe errato nel giudicare non integro il contraddittorio senza alcuna evidenza processuale dell’esistenza di altri condomini oltre quelli già presenti in causa.

Al riguardo i ricorrenti argomentano che il tribunale aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini ponendo l’incombente prima a carico degli originari convenuti, attori in riconvenzione (i quali avevano dichiarato di non essere in grado di provvedere perchè ignoravano l’identità di tutti i condomini e l’amministratore del condominio si era rifiutato di dar loro l’elenco dei partecipanti all’condominio) e poi a carico degli stessi originari attori (i quali non avevano neppur essi provveduto). Assumono quindi i ricorrenti che il fatto stesso che nessuna delle parti abbia provveduto all’integrazione dimostrerebbe che in concreto non ci sarebbero altri condomini nei cui confronti integrare il contraddittorio.

La censura è inammissibile perchè introduce per la prima volta in sede di legittimità una questione di fatto (l’insussistenza di altri condomini, oltre quelli già presenti in giudizio) non dedotta in sede di merito.

Al riguardo è sufficiente considerare che nella stessa narrativa del ricorso per cassazione si riferisce (pag. 4) che nell’udienza del giudizio di primo grado, celebratasi in data 1.2.94 e destinata alla verifica dell’integrazione del contraddittorio precedentemente disposto dal tribunale, il procuratore degli odierni ricorrenti “evidenziava l’impossibilità di procedere alla integrazione del contraddittorio in quanto i condomini destinatari della citazione erano rimasti ignoti e l’amministrazione condominiale si era rifiutata di fornire i nominativi”.

Nel giudizio di primo grado, quindi, gli odierni ricorrenti non affermarono che i condomini dello stabile erano già tutti presenti in giudizio, ma che i condomini nei cui confronti era stata disposta l’integrazione del contraddittorio “erano rimasti ignoti”; tanto che Il tribunale ritenne di potersi pronunciare sulla domanda riconvenzionale di usucapione degli odierni ricorrenti non perchè ritenne soddisfatta la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini ma sull’argomento che “l’omessa estensione del contraddittorio non è di ostacolo alla pronuncia, atteso che viene a spiegare gli effetti soltanto verso i condomini che abbiano partecipato al giudizio”.

L’esistenza di altri condomini pretermessi costituisce dunque un fatto presupposto tanto dalla decisione di primo grado quanto dalla decisione di secondo grado, la cui contestazione non può essere dedotta in questa sede se non già prospettata in sede di merito; è fermo indirizzo di questa Corte, infatti, che il ricorrente che proponga in sede di legittimità una questione giuridica implicante un accertamento di fatto, che non risulti trattata nella sentenza impugnata o menzionata nelle conclusioni ivi trascritte, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito (tra le tante, da ultimo, sent. n. 8206/16).

Il secondo motivo di ricorso va disatteso, perchè l’assunto dei ricorrenti secondo cui non vi sarebbe ragione di sollecitare un soggetto “che è rimasto indifferente e disinteressato per oltre vent’anni… a difendere un diritto che evidentemente non ha interesse a reclamare” (così pag. 10 del ricorso) urta contro il disposto dell’art. 102 c.p.c., che prescrive che, quando una decisione non possa essere pronunciata che in confronto di più parti, queste debbano (agire o) essere convenute nello stesso processo, senza attribuire alcune rilievo alla circostanza se le stesse si siano mostrate interessate o disinteressate alla res litigiosa. Il motivo va quindi disatteso, essendosi la sentenza gravata conformata alla costante giurisprudenza della Corte alla cui stregua sussiste litisconsorzio necessario tra tutti i condomini se colui che è stato convenuto da alcuni di essi, attori in rivendica del diritto di comproprietà su un bene comune, chiede in via riconvenzionale l’accertamento del suo diritto di proprietà esclusiva sul medesimo bene, perchè l’eventuale accoglimento di questa domanda pregiudica i diritti dei condomini rimasti estranei al giudizio. (così, sentt. nn. 12439/00, 15547/05).

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 100 c.p.c., in cui la corte di appello sarebbe incorsa non rilevando la carenza di legittimazione attiva del Condominio. Si argomenta al riguardo che, trattandosi di beni non rientranti tra quelli di cui all’art. 1117 c.c., e non asserviti alle singole proprietà condominiali, l’amministratore del Condominio non sarebbe stato legittimato ad agire per l’accertamento della proprietà condominiale dei medesimi.

Il Collegio osserva che – premesso che la questione relativa alla riconducibilità dei beni in questione nel novero di quelli di cui all’art. 1117 c.c., non può essere scrutinata in questa sede, non risultando trattata nella sentenza impugnata e non avendo i ricorrenti indicato in quale atto del giudizio di merito la stessa sarebbe stata dedotta – va qui ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che, in tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro I singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio condominiale possono essere esperite dall’amministratore purchè il medesimo sia stato autorizzato dall’assemblea ai sensi dell’art. 1131 c.c., comma 1, (sentt. nn. 3044/09; 5147/03; 40/15) e sempre che si tratti da azioni volte alla difesa della proprietà comune e non alla sua estensione (cfr., per quest’ultima ipotesi, sent. n. 21826/13, che subordina la legittimazione dell’amministratore del condominio ad agire per l’usucapione di area adiacente al fabbricato condominiale al rilascio di un mandato speciale da ciascun condomino).

Nella specie, l’azione esercitata dall’amministratore del condominio, insieme con alcuni condomini, è volta alla difesa della proprietà condominiale di taluni beni occupati dagli originari convenuti (che a propria volta deducono di averli acquistati per usucapione) e pertanto, non deducendosi in ricorso che l’amministratore abbia agito senza l’autorizzazione dell’assemblea, il terzo motivo non può trovare accoglimento.

Il ricorso va quindi, in definitiva, rigettato.

Nella memoria ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti argomentano che la corte di appello ritenuto che la non integrità del contraddittorio le impedisse di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale di usucapione – avrebbe dovuto considerare tale domanda alla stregua di una mera eccezione, conseguentemente rigettando, alla luce della comprovata maturazione della detta usucapione, la domanda degli attori. Al riguardo il Collegio osserva che si tratta di un argomento non scrutinabile, in quanto, sostanziandosi nella denuncia di un vizio di omessa pronuncia su una eccezione, doveva essere dedotto nel ricorso per cassazione.

La memoria ex art. 378 c.p.c., infatti, non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poichè assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (cfr., tra le tante, Cass. 26670/14).

Non vi è luogo a regolazione di spese, non essendosi gli intimati costituititi in questa sede.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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