Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20451 del 28/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/08/2017, (ud. 31/05/2017, dep.28/08/2017),  n. 20451

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9722/2013 proposto da:

A.A. ((OMISSIS)) nella qualità di procuratrice speciale

di A.F. ((OMISSIS)) e di A.D. ((OMISSIS))

nonchè di A.C. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliate

in ROMA, VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio dell’avvocato ELISA

NERI, rappresentate e difese dall’avvocato GIUSEPPE NERI;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA “BIANCHI-MELACRINO-MORELLI” (p.iva (OMISSIS)) in

persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DEL LIDO 78 – OSTIA, presso lo studio

dell’avvocato RICCARDO MANCINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO SOFO giusta procura speciale Rep. n. (OMISSIS) in (OMISSIS)

per Notaio Dott. F.S.;

– controricorrente –

e contro

A.F., A.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 437/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 15/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.F. con ricorso del 9 dicembre 1988 chiedeva al Pretore di Reggio Calabria di pronunciare in suo favore provvedimento di riconoscimento dell’acquisto per usucapione speciale ex art. 1159 bis c.c., del terreno sito a (OMISSIS), riportato nel NCT del Comune di Reggio Calabria al foglio (OMISSIS) particella (OMISSIS) di natura seminativo arborato di terza classe in testa a C.L. Amministratore Ospedali Riuniti G. Malacrino e F. Bianchi, proprietario. Il Pretore con provvedimento del 15 dicembre 1988 ordinava l’affissione per novanta giorni della richiesta di riconoscimento della proprietà all’albo del Comune di Reggio Calabria e a quello della Pretura di Reggio Calabria, nonchè la pubblicazione per estratto nel giornale FALP.

Proponeva opposizione la USL n. (OMISSIS) di Reggio Calabria, eccependo l’incompetenza per valore del Giudice, l’infondatezza dell’azione proposta, l’illegittimità ed improcedibilità della domanda attrice per assenza dei presupposti pervisti dalla L. n. 346 del 1976.

Con sentenza del 1994 il Pretore dichiarava la sua incompetenza ed assegnava il termine di novanta gironi per la riassunzione del processo davanti al Tribunale.

Gli eredi di A.F. riassumevano il giudizio davanti al Tribunale di Reggio Calabria, chiedendo l’accoglimento dell’originario ricorso.

Si costituiva l’USL n. (OMISSIS) di Reggio Calabria, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata consulenza tecnica, il Tribunale di Reggio Calabria con sentenza n. 221 del 2001 accoglieva la domanda attorea e condannava l’Azienda Ospedaliera Bianchi, Melacrino, Morelli al pagamento delle spese di lite.

La Corte di Appello di Reggio Calabria pronunciandosi su appello proposto dall’Azienda Ospedaliera Bianchi, Melacrino, Morelli, presenti in giudizio i sigg. A., con sentenza n. 437 del 2012, dopo aver indicato nella parte motiva le ragioni per le quali riteneva fondato l’appello proposto dall’Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli statuiva in dispositivo il rigetto dell’appello. Secondo la Corte distrettuale, nel caso in esame non sussistevano i presupposti per l’applicazione della L. n. 346 del 1976, perchè nè dalla CTU espletata in primo grado, nè da quella espletata in grado di appello erano evincibili dati atti a classificare il fondo in controversia come rurale.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da A.A. nella qualità di procuratrice speciale di A.F. e di A.D., nonchè da A.C., con ricorso affidato a tre motivi. L’Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli ha resistito con controricorso. A.F. e A.D., in questa fase non hanno svolto alcuna attività giudiziale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso le sig.re A. denunciano la nullità della sentenza per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo. Violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Secondo le ricorrenti, la sentenza impugnata presenterebbe un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione posto che nella parte motiva della sentenza oggetto di gravame si indicano una serie di motivazioni in base alle quali secondo la Corte distrettuale, l’appello avrebbe dovuto essere accolto, nel dispositivo si dispone in modo chiaro ed incontrovertibile il rigetto dello stesso.

1.1.- Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che il contrasto tra motivazione e dispositivo che dà luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale. Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’error in iudicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 – ed è quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepita e rilevata ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza (Cass. n. 17392/04; conformi, Cass. nn. 10637/07, 10518/09 e 12622/10).

Ora, nella specie, il contenuto della decisione è chiaramente enucleabile dalla motivazione, ove è ben specificato che: (pag. 13 &. 3) “(…) l’appello va conseguentemente accolto con integrale riforma della sentenza impugnata e rigetto della domanda di usucapione speciale proposta dagli eredi di A.F.. E, tale conclusione, come è anche confermato dalle ricorrenti, è la naturale conseguenza di tutto il ragionamento svolto dalla Corte distrettuale nella sentenza impugnata e diretto ad escludere, in modo inequivocabile, che, nel caso in esame, sussistessero i presupposti essenziali per dichiarare, a vantaggio di A.F., l’avvenuta usucapione del terreno di cui si dice. La conclusione appena indicata viene ulteriormente confermata e rafforzata, posto che, nella stessa pagina 13, &. 5, viene specificato che “(…) all’accoglimento dell’appello segue la condanna dell’appellata al pagamento delle spese processuali dei due gradi del giudizio che vanno rifuse all’appellante (…)”.

Nessun dubbio, dunque, è ragionevole nutrire sul decisum e sul fatto che solo per mera disattenzione nel redigere la sentenza esso non sia stato riprodotto tal quale nel dispositivo e sia stato detto “rigetta” anzichè “accoglie”, l’appello.

2.- Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia sulla domanda di declaratoria di usucapione ordinaria ex art. 1158 c.c.. Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare e delibare la domanda di usucapione ordinaria riproposta con la comparsa depositata il 5 gennaio 2007 prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni.

2.1- Il motivo è fondato.

E’ orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che “l’interesse ad impugnare sussiste solo in presenza della soccombenza pratica, intesa come situazione di fatto nella quale la sentenza di primo grado abbia tolto o negato alla parte un bene della vita accordandolo all’avversario, ed abbia quindi concretamente determinato per la stessa una condizione di sfavore, a vantaggio della controparte. Una situazione di soccombenza in primo grado che sia invece soltanto teorica – ravvisabile quando la parte, pur vittoriosa, abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, od anche abbia visto accolte le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate – non fa sorgere l’interesse ad appellare, e non legittima un’impugnazione, nè principale, nè incidentale, ma impone alla parte, vittoriosa nel merito, soltanto l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande e ad eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la presunzione di rinuncia, e, quindi, la decadenza di cui all’art. 346 c.p.c.” (sul punto Cass. civ. Sez. Unite, 2405-2007, n. 12067; Cass. civ. Sez. Unite, 02-07-2004, n. 12138; Cass. civ. Sez. Seconda, 06-05-2005, n. 9400).

E, come è stato, opportunamente, precisato da questa stessa Corte la parte interamente vittoriosa ha l’onere di riproporre espressamente nel giudizio di appello le domande, che risultino superate od assorbite, e tale riproposizione può considerarsi tempestiva solo se fatta al più tardi al momento della precisazione delle conclusioni (cfr. tra le molte in tal senso: Cass. n. 1161 del 2003; Cass. a 10884 del 1995; Cass. n. 2267 del 1984).

Ora, nel caso in esame, come risulta dagli atti, in particolare dalla comparsa depositata in data 5 gennaio 2007 prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni (fissata per il 18 gennaio 2007), i sigg. A. hanno riproposto, in via subordinata, la domanda di riconoscimento dell’avvenuta usucapione ordinaria. Dovendosi ritenere tempestiva la riproposizione della domanda di che trattasi, la Corte distrettuale avrebbe dovuto, e non sembra lo abbia fatto, esaminare e delibare, anche, questa ulteriore domanda una volta che ha ritenuto infondata la domanda di usucapione speciale ai sensi dell’art. 1159 bis c.c., per carenza dei presupposti specifici di tale fattispecie.

3.- Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del disposto di cui all’art. 1159 bis c.c. e L. n. 346 del 1976, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere l’insussistenza dei presupposti per la definizione del terreno oggetto di causa come rurale, perchè non avrebbe tenuto conto: a) che la norma di cui alla L. n. 346 del 1976, art. 2, si applica anche ai fondi di rustici non classificati montani quando il loro reddito domenicale iscritto in catasto non supera complessivamente Lire 350.000 e il terreno oggetto di usucapione aveva una rendita di Lire 282.175,48; b) che ai fini della sussistenza o meno dei requisiti della ruralità si debba fare riferimento alla destinazione concreta del fondo e non certo a quella prevista dal PRG. Per altro, la Corte di Appello se da un verso ha asserito che il terreno non poteva essere qualificato quale rurale, atteso che risultava inserito in PRG, in zona F, e dall’altro riconosce che l’entrata in vigore del PRG era di epoca successiva a quella in cui erano già maturati i termini per il riconoscimento dell’usucapione speciale ex art. 1159 bis c.c.. Piuttosto, dall’esame delle prove testimoniali acquisite in atti, incontestabilmente, si era potuto chiarire ed accertare che il sig. A. utilizzava il fondo oggetto di causa per scopi agricoli e per il pascolo di animali, almeno dal 1959.

3.1. – Il motivo è infondato.

Va qui premesso che in tema di usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, l’art. 1159 bis c.c., richiede, che il fondo rustico ricada in un comune classificato montano. Con l’ulteriore specificazione operata dalla L. n. 346 del 1976 dalla L.n. 97 del 1994, secondo la quale la disposizione di cui all’art. 1159 bis c.c., si applica anche ai fondi rustici con annessi fabbricati, situati in territori non classificati montani, quando il loro reddito dominicale iscritto in catasto non supera complessivamente le lire trecentocinquantamila. Va, altresì, osservato, confermando il principio espresso da questa Corte, in altra occasione (Cass. n. 8778 del 2010): per l’applicazione dell’usucapione speciale di cui all’art. 1159 bis c.c. – introdotta dalla L. n. 346 del 1976, con la finalità di incoraggiare lo sviluppo e salvaguardare il lavoro agricolo – non è sufficiente che il fondo sia iscritto nel catasto rustico, ma è necessario che esso, quanto meno all’atto dell’inizio della possessio ad usucapionem, sia destinato in concreto all’attività agraria, atteso che tale usucapione può avere ad oggetto soltanto un fondo rustico inteso come entità agricola ben individuata ed organizzata, che sia destinata ed ordinata a una propria vicenda produttiva. Ne consegue che l’art. 1159 bis c.c., non è applicabile, nè in via analogica, trattandosi di norma eccezionale rispetto a quella di cui all’art. 1158 c.c., nè in base ad un’interpretazione estensiva, tenuto conto delle finalità perseguite dal legislatore, qualora il possesso protratto venga dedotto ai fini dell’acquisizione di limitate superfici, ancorchè facenti parti di maggiori fondi coltivati o coltivabili siti in zone montane, che non siano di per sè idonee a costituire un’autonoma unità produttiva.

Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, ha escluso la sussistenza dei presupposti dell’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale perchè la parte interessata non aveva dimostrato la localizzazione e la destinazione del fondo utili ai fini della determinazione della sua natura, soprattutto, a fronte delle contestazioni già mosse in primo grado dall’Azienda Ospedaliera. E di più, la Corte ha avuto modo di specificare che al riguardo non era determinate “(…) la foto aerea “volo 1978″ (…), posto che tale foto non valeva a comprovare la natura del fondo all’atto dell’inizio del possesso, e che, comunque, la mera presenza di macchie di verde non era necessariamente indice della destinazione del fondo alla coltivazione (…)”. E la stessa Corte distrettuale aggiunge “(…) non può sottacersi che le dichiarazioni degli informatori sono del tutto generiche e che le circostanze che si vorrebbero provare in questa sede non si appalesavano idonee a dimostrare che il fondo in questione costituisse un’entità agricola ben individuata destinata e preordinata alla svolgimento di una attività produttiva (…)” Si tratta come è evidente di una motivazione bene articolata, fondata su dati processuali e, soprattutto, coerente con i principi espressi da questa Corte e già indicati.

3.2. – Appare opportuno, altresì, specificare che la doglianza concernente la mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile posto che la motivazione in rodine alle ragioni di rigetto (pag. 12 della sentenza) esclude la configurabilità, sotto questo profilo, di un vizio deducibile ai sensi del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (alla cui normativa il presente ricorso sarebbe soggetto per ratio temporis). E, comunque, anche in riferimento al precedente testo di tale norma era pacifico l’onere del ricorrente che deduceva il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio di indicare (trascrivendolo, nell’osservanza del principio di autosufficienza) a pena di inammissibilità, i capi di prova, nonchè i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare (Cass. n. 17915 e 9748 del 2010). Onere che nella specie non sembra sia stato assolto.

In definitiva va accolto il secondo motivo di ricorso e rigettati gli altri, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Reggio Calabria, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2017

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