Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2045 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2022, (ud. 28/04/2021, dep. 25/01/2022), n.2045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G.M. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14470/2017 R.G. proposto da:

Stanleybet Malta Limited, in persona del legale rappresentante pro

tempore, e Stanley International Betting Limited, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in

Roma, via Vincenzo Bellini n. 24, presso lo studio degli avv.ti

Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova e Fabio Ferraro, che le

rappresentano e difendono, unitamente all’avv. Daniela Agnello,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

– Sez. staccata di Latina n. 8160/19/16, depositata il 9 dicembre

2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 aprile

2021 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 8160/19/16 del 09/12/2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio – Sez. staccata di Latina (di seguito CTR) ha accolto l’impugnazione proposta dall’agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina n. 445/01/14, che aveva accolto il ricorso di Stanleybet Malta Limited e di Stanleybet International Betting Limited (di seguito, anche cumulativamente, Stanleybet) nei confronti di un avviso di accertamento notificato alle società contribuenti quali coobbligate in solido di A.D., concernente l’evasione dell’imposta unica sulla raccolta delle scommesse sportive di cui al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, relativa all’anno d’imposta 2007.

1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, l’avviso di accertamento era stato emesso a seguito di un controllo effettuato nei confronti del centro trasmissione dati (CTD) gestito da A.D. e concernente le giocate raccolte per conto del bookmaker Stanleybet, con conseguente determinazione della imposta unica con riferimento all’anno 2007.

1.2. La CTR accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane evidenziando che: a) non vi era spazio per la rimessione della questione concernente la validità della disciplina nazionale alla Corte di giustizia, atteso che la disciplina non era in contrasto né con l’ordinamento comunitario, né con la giurisprudenza della Corte di giustizia; b) erano infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla società contribuente; c) tenuto conto della disciplina interna applicabile, così come interpretata dalla L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, sussistevano i presupposti di legge (soggettivo, oggettivo e territoriale) per riconoscere, in capo a Stanleybet, la sussistenza dell’obbligo di pagamento dell’imposta unica.

2. Avverso la sentenza della CTR Stanleybet proponeva ricorso per cassazione, affidato a nove motivi e depositava memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

3. L’Agenzia delle dogane resisteva con controricorso e depositava, anch’essa, memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente disattesa l’istanza di trattazione della presente controversia in pubblica udienza.

1.1. In adesione all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione. del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass. S.U. n. 14437 del 05/06/2018), e non si veda in ipotes di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass. S.U. n. 8093 del 23/04/2020).

1.2. In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.

1.3. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti, da un lato, dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e, dall’altro, da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa a Stanleybet Malta Limited); e i principi stabiliti da quelle Corti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito.

1.4. Così ampie e convergenti affermazioni inducono, quindi, a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. n. 26480 del 20/11/2020).

1.5. Ne’ la giurisprudenza penale di questa Corte, allegata all’istanza di rimessione alla pubblica udienza, è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

1.6. Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive, che pure si manifestano nell’istanza e sono state ribadite nella memoria illustrativa, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU, e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assolato e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. n. 80 dell’11/03/2011).

1.7. Ad ogni modo, queste esigenze sono anche in concreto presidiate, perché le parti hanno illustrato le proprie rispettive posizioni in esito alle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia depositando osservazioni scritte.

2. Il ricorso di Stanleybet è affidato a nove motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto il CTD soggetto passivo del tributo.

2.2. Con il secondo motivo si contesta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ritenere integrato il profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica sulle scommesse.

2.3. Con il terzo motivo si contesta la violazione e/o la falsa applicazione della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ravvisare in capo al CTD il presupposto territoriale del tributo.

2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi di cui all’art. 3 Cost., sotto molteplici profili, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.5. Con il quinto motivo si contesta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 53 Cost., e del principio di capacità contributiva con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3″ al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3, ed alla L. n. 220 del 2020, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione del principio dell’equo processo di cui alla Convenzione Europea di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), art. 6, e dell’art. 117 Cost., comma 1, nonché della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.7. Con il settimo motivo si contesta violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 56 e ss. TFUE, e dei principi del diritto della UE di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, nonché del principio del legittimo affidamento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.8. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 112c.p.c. e dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 35, comma 3, e art. 36, comma 2, nn. 2 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere la CTR esaminato la doglianza incidentale relativa alla eccepita violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 7 e 12, nonché degli artt. 24 e 97 Cost., e del principio di necessità del contraddittorio endoprocedimentale in ragione della mancata notifica del processo verbale di constatazione al soggetto responsabile in solido.

2.9. Con il nono motivo si contesta violazione e/o falsa applicazione delle stesse disposizioni indicate con riferimento all’ottavo motivo per non avere la CTR esaminato la doglianza incidentale relativa all’eccepita violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, nonché dei principi ci chiarezza e trasparenza amministrativa in ragione del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

3. Il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il settimo motivo possono essere unitariamente esaminati per ragioni di connessione.

3.1. Le superiori questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30/03/2021, seguita da numerose altre (tra le tante, Cass. nn. 8907-8911, nn. 9079-9081, nn. 9144-9153 e n. 9516 del 19/01/2021, n. 9160, n. 9162, n. 9168, n. 9176, n. 9178, n. 9182, n. 9184 e nn. 9728-9735 del 21/01/2021, nn. 9528-9537 del 21/04/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ai sensi dell’art. 118, disp. att. c.p.c..

3.1.1. Merita di essere specificamente sottolineato, peraltro, che il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati con il presente ricorso.

3.2. La Corte costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza, correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio), ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio ed ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione.

3.2.1. A questo riguardo la Corte costituzionale ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole, atteso che l’attività consiste, infatti, nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale.

3.2.2. Entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.

3.2.3. In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

3.2.4. Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte (si veda anche Cass. n. 15731 del 27/07/2015), neppure attagliandosi al rapporto tra il bookmaker e ricevitore lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo, Cass. n. 26489, del 20/11/2020).

3.2.5. Ne’ viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria, che agisce per conto di terzi, e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva.

3.3. In forza di tale articolato percorso la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, restando esclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione in quel periodo dell’entità delle commissioni tra ricevitorie e bookmaker, di poter procedere alla traslazione dell’imposta.

3.3.1. Per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.

3.3.2. La superiore ragione di incostituzionalità non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma: in entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria.

3.3.3. La solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.

3.4. Va rilevato, inoltre, ai fini della territorialità dell’imposizione, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2015, cit.), attività, queste, tutte svolte in Italia.

3.5. Neppure è condivisibile l’interpretazione propugnata da Stanleybet della sentenza della Corte Cost. n. 27 del 2018, né è configurabile, alla stregua dei principi da essa affermati, una irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza cli concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato(, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione del movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge.

3.5.1. Il profilo di censura, del resto, postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata.

3.5.2. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3, valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’Amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.

3.6. Un’attenzione specifica, inoltre, va rivolta agli argomenti difensivi prospettati in ricorso ed ulteriormente approfonditi in sede di memoria, relativi alle ritenute frizioni con il diritto unionale. In particolare, le ricorrenti hanno prospettato la violazione del diritto di non discriminazione, di parità di trattamento e del principio di affidamento.

3.6.1. In memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalle ricorrenti, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale le ricorrenti si sarebbero venute a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalle stesse subite nel tempo dall’autorità nazionale.

3.6.2. La linea difensiva seguita dalle ricorrenti, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti di Stanleybet, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento, determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione.

3.7. Le considerazioni difensive in esame non possono trovare accoglimento.

3.8. Va premesso che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata, sicché rileva l’art. 56 TFUE, e, sul punto, la Corte di giustizia 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmaker nazionali e bookmaker esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato merrbro interessato”.

3.8.1. In generale, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativ d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: di conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (CGUE 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; CGUE 8 settembre 2009, causa C-42/07).

3.8.2. Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “(…) l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

3.8.3. La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (CGUE, in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, CGUE 10 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

3.8.4. La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmaker nazionali e bookmaker esteri, anzi, come ha pure sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27 del 2018), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i:duali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuti la necessaria concessione (…)”.

3.8.5. Va evidenziato, a tal proposito, che la Corte di giustizia, se, con il punto 17, in relazione al bookmaker, stabilisce in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, con il punto 24 specifica, in concreto, che, “(…) la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, conclude con il punto 24, “(…) rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”;

3.8.6. Quanto al centro trasmissione dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), ma ciò non toglie (punto 28) che la situazione del centro trasmissione dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro.

3.8.7. La diversità della situazione, pertanto, è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero. Nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “(…) un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (CGUE 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit): e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64), come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria.

3.9. Le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflitti va, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi l’assenza, come SJ evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione.

3.9.1. Stanleybet, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, I presupposto impositivo dell’imposta in esame.

3.10. La giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen. 25439 del 10/09/2020), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui alla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma 4 bis, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che parte ricorrente era stata “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni (…) e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite a sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”.

3.10.1. Il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalle ricorrenti, tuttavia, non implica la sottrazione delle stesse dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”.

3.11. L’applicabilità della previsione normativa in esame esclude, altresì, che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale Stanleybet ha dovuto operare.

3.11.1. A parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che Stanleybet, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati.

3.12. Quanto all’asserita violazione del principio dell’affidamento, prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della legge del 2010 che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente” la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione, al di là dei profili di inammissibilità della censura con riferimento alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma, va rilevato, quanto alla posizione del bookmaker estero, che la stessa Corte costituzionale non ha posto in discissione il fatto che costui, anche privo di concessione, doveva essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento.

3.12.1. Ne’, a maggior ragione, si pone un profilo di limitazione dell’efficacia della sentenza della Corte di giustizia a partire dalla pubblicazione della sentenza.

3.13. Non si ravvisa, pertanto, la necessità alcuna di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa.

3.13.1. Le deduzioni di Stanleybet, infatti, si risolvono, da un lato, in una mera critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate; dall’altro, sembrano postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (CGUE in causa C375/17, cit., punto 67).

3.14. Le considerazioni sopra espresse conducono, pertanto, alla affermazione di sicura infondatezza dei motivi proposti e congiuntamente esaminati.

4. Il sesto motivo, che prospetta l’incompatibilità

dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU, è infondato.

4.1. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 CEDU, s’incentro sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicché occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176).

4.2. Nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacché, come si è anticipato, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010, la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3.

4.3. Va conseguentemente disattesa la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale, manifestamente infondata.

5. L’ottavo motivo, che prospetta omessa pronuncia in ordine al rilievo di invalidità dell’atto impositivo impugnato a causa della mancata notifica del processo verbale di constatazione redatto nei confronti del “ricevitore” (CTD), è infondato.

5.1. Innanzitutto, quanto al dedotto vizio di attività (omessa pronuncia) deve ribadirsi il consolidato principio di diritto che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (Cass. n. 29191 del 06/12/2017) e che “Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare.7 dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018).

5.2. Sotto quest’ultimo profilo, il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento, inaugurato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, secondo cui il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto; con la conseguenza che, ori dal terreno dei tributi armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale sussiste esclusivamente solo nelle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito (la giurisprudenza successiva a Cass. S.U. n. 24823 del 20:5, cit., che ha applicato il suddetto principio è copiosa: si veda, a titolo esemplificativo: Cass. n. 11560 dell’11/05/2018; Cass. n. 27818 del 04/12/2020; Cass. n. 1530 del 02/01/2021; Cass. n. 1445 del 25/01/2021).

5.3. L’imposta unica sulle scommesse non è un tributo armonizzato e il diritto nazionale per essa non prevede espressamente un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.

5.4. L’estraneità dell’imposta unica sulle scommesse al novero dei tributi armonizzati impone anche di disattendere l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia; né in senso contrario vale richiamare il fatto che la Corte di giustizia si è comunque occupata della tematica dei giochi d’azzardo in alcune occasioni, poiché ciò ha fatto soltanto al fine di verificare se determinati meccanismi impositivi degli Stati membri potessero ostacolare una delle libertà fondamentali garantite dai trattati U.E., vale a dire la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (CGUE in causa C-788/18, cit., punto 17 e ivi richiami ai precedenti), ma non per estendere alle imposte previste dalle legislazioni nazionali principi dettati per i tributi armonizzati.

6. Il nono motivo, con il quale si afferma che la CTR non avrebbe pronunciato in ordine al rilievo di invalidità dell’atto impositivo impugnato per vizio motivazionale, sia per mancata allegazione del processo verbale di constatazione sia per omessa indicazione dell’aliquota applicabile, è inammissibile.

6.1. A parte il fatto che non può configurarsi l’omessa pronuncia in ragione della evidente sussistenza di un a pronuncia implicita, così come affermato con il motivo che precede, va rilevato che Stanleybet omette ogni trascrizione, da un lato, del ricorso in primo grado e delle controdeduzioni in appello e, dall’altro, dell’avviso di accertamento impugnato, in patente violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

6.2. In questo modo, infatti, si impedisce alla Corte di verificare ex actis non solo l’eventuale novità della questione, ma di sindacare nel merito la fondatezza delle critiche sostanziali proposte.

7. In conclusione il ricorso va rigettato.

7.1. L’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

7.2. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato p2ri a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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