Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20449 del 02/08/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20449 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: RUBINO LINA

ORDINANZA
sul ricorso 17559-2017 proposto da:
LOMBARDO ANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
MACEDONIA, 10, presso lo studio dell’avvocato ROSARIA
SPINELLO, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO
RIZZO;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 02/08/2018

avverso la sentenza n. 947/2016 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 13/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

1. Lombardo Anna ha proposto ricorso per cassazione articolato
in due motivi contro il Ministero della Salute, avverso la sentenza
n. 947\2016 della Corte di Appello di Catania.
2. Il Ministero della Salute resiste con controricorso.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi
dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016,
convertito, con modificazioni, dalla 1. n. n. 197 del 2016, è stata
formulata dal relatore designato proposta di definizione del
ricorso con declaratoria di inammissibilità dello stesso. Il decreto
di fissazione dell’adunanza camerale e la proposta sono stati
notificati agli avvocati delle parti.
4. La ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:
1. Il Collegio condivide le valutazioni contenute nella proposta del
relatore nel senso della inammissibilità del ricorso.
2. La Lombardo, anche quale erede del defunto marito Parisi
Paolo, conveniva in giudizio il Ministero della Salute chiedendone
la condanna al risarcimento danni per la contrazione da parte del
marito di cirrosi epatica HCV, nel 1988, a seguito di una
trasfusione di sangue, infezione dalla quale era poi conseguita la
morte del Parisi.

Ric. 2017 n. 17559 sez. M3 – ud. 19-06-2018
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Rilevato che:

La domanda risarcitoria veniva dichiarata prescritta in primo
grado, con pronuncia confermata in appello, avendo accertato la
corte che nel momento della proposizione della domanda
giudiziale fossero trascorsi oltre cinque anni dalla proposizione

1992.
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la
violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5
c.p.c. Al di là della non corretta formulazione del motivo, essendo
le ipotesi di violazione dell’art. 112 c.p.c. riconducibili alla ipotesi
di cui all’art. 360 n. 4 c.p.c., la censura attribuisce alla decisione
un contenuto che non le è proprio, e quindi non coglie la ratio

decidendi : lamenta che non sarebbe stato ritenuto applicabile in
suo favore il più lungo termine prescrizionale connesso
all’omicidio colposo, perché la corte avrebbe erroneamente
ritenuto che la stessa non avesse agito iure proprio.
In realtà la motivazione sul punto dice una cosa diversa, ovvero
che si sarebbe potuto applicare il più lungo termine prescrizionale
previsto per l’omicidio colposo solo se la ricorrente avesse agito,

iure proprio, indicando specificatamente che intendeva agire per i
danni derivanti da omicidio, e non genericamente per i danni
derivanti dalla emotrasfusioni o dalle lesioni colpose provocate al
proprio congiunto.
Il motivo, poiché non coglie la ratio decidendi ed è affetto da
difetto di autosufficienza, è inammissibile. In ogni caso,

Ric. 2017 n. 17559 sez. M3 – ud. 19-06-2018
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della domanda volta ad ottenere l’indennizzo ex lege n. 201 del

l’allegazione di aver agito anche iure proprio è in contrasto con le
stesse allegazioni contenute in ricorso.
Con il secondo motivo, la ricorrente si duole che la corte,
nonostante la complessità delle varie questioni dibattute, non

La censura è inammissibile per la parte in cui lamenta la mancata
compensazione delle spese dei gradi di merito, ai sensi dell’art. 92
cod. proc. civ., dal momento che, in tema di spese processuali, la
facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare
ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua
facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle
spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di
una compensazione, non può essere censurata in cassazione,
neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U.
n. 14989/05 e numerose altre). Trattasi di principio applicabile
anche dopo le modifiche dell’art. 92, comma secondo, cod. proc.
civ., perché l’obbligo di motivazione imposto da questa norma
riguarda l’ipotesi in cui la compensazione sia disposta, ma non
anche l’ipotesi in cui si segua il principio della soccombenza (che
l’art. 91 cod. proc. civ. pone come regola in tema di riparto delle
spese di lite, essendo la compensazione dell’art. 92, comma
secondo, cod. proc. civ. prevista come eccezione). Poiché nella
specie il giudice ha osservato l’art. 91 cod. proc. civ., è
inammissibile la censura che si basa su norma non applicata, e
soltanto discrezionalmente applicabile.

Ric. 2017 n. 17559 sez. M3 – ud. 19-06-2018
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abbia ritenuto di compensare le spese di giudizio tra le parti.

Il ricorso va dichiarato complessivamente inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al
dispositivo.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è

gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale,
a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R.
n. 115 del 2002.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della
ricorrente le spese di lite sostenute dal controricorrente e le liquida
in complessivi euro 3000,00 per compensi, oltre 200,00 per
esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 19
giugno 2018

Il Presidente
Adelaide Amendola

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