Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20447 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 30/07/2019), n.20447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9368-2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA

257, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LIMATOLA,

rappresentata e difesa dagli avvocati CLAUDIO DANIOLI, ANDREA

DELL’OMARINO, LORENZO CANTONE, ENZO PISA, OSVALDO CANTONE, GILDA

PISA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARTI 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 61/2017 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 21/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RIVERSO

ROBERTO.

Fatto

RITENUTO

CHE:

la Corte d’appello di Trento, con sentenza n. 61 del 2017, accoglieva il gravame dell’Inps ed affermava che P.M. dovesse essere iscritta alla Gestione commercianti in ragione della sua qualità di socia e di amministratore unico della Srl Immobiliare Vittoria; respingeva pertanto l’opposizione avverso l’avviso di addebito con cui l’Inps reclamava il pagamento dei contributi e delle sanzioni dovute per il periodo aprile 2008-dicembre 2015.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.M. sollevando quattro motivi di censura ai quali ha resistito l’Inps con controricorso.

E’ stata depositata proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- con il primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, nonchè omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo il giudice d’appello in alcun modo indagato e spiegato la ragione per cui il verbale di accertamento del 26 luglio 2013 potesse avere efficacia interruttiva della prescrizione, pur essendo dato pacifico e non contestato che lo stesso contenesse riferimenti a contribuzione ed a periodi contributivi del tutto diversi da quelli oggetto dell’avviso opposto;

1.1.- Il motivo è inammissibile atteso che la Corte d’appello ha affermato la sicura efficacia interruttiva del verbale di accertamento del 26/7/2013 e che la pretesa diversità degli importi fosse stata chiarita in giudizio – senza contestazione alcuna dell’opponente nè nel primo nè nel secondo grado – in quanto, a differenza del verbale di accertamento, nell’avviso di addebito erano stati richiesti solo i contributi fissi. Il motivo, perciò, anzitutto mira solamente ad ottenere un riesame di fatti già valutati dal giudice e non risponde al nuovo art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto non individua alcun fatto omesso decisivo e oggetto di discussione tra le parti. E’ pure evidente che la Corte d’appello ha valutato tutti i fatti ed ha ritenuto che il verbale di accertamento avesse efficacia interruttiva proprio perchè ha ritenuto che la differenza riscontrata sul piano degli importi non avesse alcun rilievo. Lo stesso motivo nulla dice in ordine alle differenze contributive, non essendo stato trascritto in ricorso nemmeno di che differenze si tratti. Per contro nulla dice la sentenza in relazione ai periodi contributivi; mentre il ricorso non documenta quando e dove nelle fasi pregresse fosse stata sollevata anche tale specifica questione. Inoltre la Corte d’appello ha affermato che la spiegazione dell’Inps non fosse stata mai contestata onde la stessa censura si rivela pure tardiva.

2. Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del L. 662 del 1996, art. 1, commi 202-203 (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4); violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 115 e 116 c.p.c.e art. 2697 c.c. sulla disponibilità e valutazione delle prove oltre che in tema di corretta ripartizione dell’onere della prova – illogicità della motivazione per travisamento dei fatti di causa – omesso esame su fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione al vaglio dell’attività svolta dall’Immobiliare P. ai fini della sussistenza dei presupposti di fatto previsti per legge per l’iscrizione alla c.d. Gestione Commercianti, nonchè in relazione alla conseguente irrilevanza della mera consistenza del patrimonio immobiliare della società. Lamenta in proposito la ricorrente che la Corte d’appello ha ritenuto di non aderire al consolidato orientamento della Corte di cassazione – circa l’irrilevanza ai fini dell’iscrizione previdenziale della mera attività di godimento di immobili – in considerazione della consistenza del patrimonio immobiliare della società costituito da una ventina di immobili tutti solo concessi in locazione. Rileva inoltre la ricorrente che il giudice di primo grado aveva invece affermato che l’Inps non avesse assolto l’onere della prova in relazione allo svolgimento di una concreta attività che fosse anche di intermediazione e/o comunque diversa da quella di mera riscossione di canoni o in merito a peculiari modalità di svolgimento dell’attività locatizia.

3.- Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione del L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202-203; violazione falsa applicazione delle norme degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. sulla disponibilità e valutazione delle prove oltre che in tema di corretta ripartizione dell’onere della prova – illogicità della motivazione per travisamento dei fatti di causa-omesso esame su fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione alla sussistenza in capo alla signora P. dei presupposti di fatto previsti per legge per l’iscrizione alla cosiddetta gestione commercianti per i) solo fatto che della deteneva azioni sociali nella società commerciale svolgente solo attività di godimento di immobili con riscossione di canoni di locazioni, senza tuttavia svolgere un’effettiva prestazione lavorativa di carattere autonomo, in modo personale, abituale, soprattutto prevalente;

4. Col quarto motivo si solleva violazione e falsa applicazione del L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 202-203 e D.L. n. 384, del 1992, art. 3 bis, convertito in L. n. 438 del 1992; omesso esame su un fatto decisivo (oltre che non contestato) per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e attinente la qualità di nuda proprietaria delle quote sociali, e non di socia a tutti gli effetti, della signora P. sia ai fini dell’insorgenza dell’obbligo sia ai fini della quantificazione dell’ammontare dei contributi dovuti alla cd. Gestione Commercianti.

5.- I motivi, i quali, per la connessione delle censure, possono essere affrontati unitariamente, sono infondati.

5.1. Va osservato che secondo la Corte d’appello, anzitutto, la consistenza del patrimonio immobiliare amministrato dalla società, costituito da una ventina di immobili concessi in locazione, implicasse un’organizzazione dell’attività imprenditoriale, la quale, perciò non si risolveva nella mera attività di locazione, di riscossione dei canoni e nel mero godimento degli stessi: l’elevato numero di immobili concessi in locazione e la conseguente complessa attività gestionale rendeva invece verosimile la necessità di disporre di una organizzazione (elemento peculiare dell’attività di impresa in ossequio all’art. 2082 c.c.).

5.2. Rilevava altresì la Corte nel che nel caso in esame si trattava di una società di capitali la quale, in ragione dell’oggetto sociale, poteva svolgere anche attività di costruzione e di compravendita di immobili. Spiegava in proposito la Corte territoriale che quando si sia scelto di costituire un tipo di società obbligatorio per l’esercizio dell’impresa commerciale, ove l’oggetto sociale dichiarato consiste in una delle attività economiche che caratterizzano l’impresa commerciale, si deve necessariamente presupporre che vi sia esercizio di attività di impresa e che si esuli dall’attività di mero godimento a nulla rilevando la parziale inesecuzione dello scopo sociale dell’attività.

5.3. Nel caso di specie comunque, secondo la stessa Corte, l’attività di impresa in concreto svolta corrispondeva all’oggetto sociale della società ed alla forma societaria prescelta, in quanto il consistente patrimonio immobiliare implicava un’attività continuativa di gestione dei beni, di rapporti contrattuali con le parti, fornitori, manutentori, amministratori di condominio eccetera. Quindi anche un’organizzazione dell’attività imprenditoriale come descritta dall’art. 2082 c.c. che non si risolveva dunque nella mera riscossione del canone; come nei diversi casi esaminati dalla giurisprudenza della Cassazione richiamati nella pronuncia.

6.- Per quanto riguardava poi il requisito della partecipazione personale della P. alla lavorazione, con carattere di abitualità e prevalenza, la Corte d’appello di Trento rilevava che alla P., socia e consigliere del consiglio di amministrazione della società immobiliare, erano stati attribuiti “tutti i più ampi poteri per sottoscrivere contratti di locazione in comodato aventi ad oggetto beni immobili…. e per la gestione dei medesimi contratti”. Le dichiarazioni rese dalla stessa P. in sede ispettiva comprovavano che ella si occupasse “di curare i contatti con i poteniali acquirenti/venditori e soprattutto negli ultimi tempi con i conduttori e potemliali conduttori,.. firmo i contratti relativi all’attività della società…. Se ci sono problemi di manutenzione gli inquilini… per i problemi relativi agli appartamenti si rivolgono a me”. Accertava altresì la Corte che tali dichiarazioni fossero state confermate anche dai soci usufruttuari dalle quali si desumeva che la P. lavorasse prevalentemente ed abitualmente per detta società.

Rilevava ancora l’assenza di alcuna delega formale in favore di altro soggetto; e che il ruolo della P. fosse assimilabile a quello di socia amministratore unico legale rappresentante. Affermava poi che ai fini dell’abitualità è sufficiente lo svolgimento di attività in modo continuo e stabile senza che sia necessaria la presenza quotidiana ed ininterrotta; e che il contratto di service con la Porfidi Vittoria Srl e lo svolgimento della quotidiana gestione amministrativa da parte di una impiegata, confermasse l’abituale partecipazione dell’opponente alla Immobiliare posto che detta “semplice impiegata”, in ragione della affermata quotidiana presenza della P. alla Porfidi, svolgesse necessariamente detto ruolo seguendo le direttive dell’amministratore. Osservava inoltre che non contasse al fine di escludere i requisiti di prevalenza e di abitualità, rispetto alla attività di socia e amministratore unico della Immobiliare, il fatto di essere socia ed amministratore unico della Porfidi srl; e che non valesse ad escludere la partecipazione personale dell’appellante al lavoro aziendale l’affidamento di attività strumentale ad un professionista; nè l’attività meramente esecutiva e contabile di cui al contratto di service in essere con la Porfidi srl.

Infine il fatto che la P. fosse nuda proprietaria delle quote sociali era circostanza irrilevante al fine di escludere la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione alla Gestione commercianti essendo essa socia della società Immobiliare ed avendone la responsabilità amministrativa quale membro del CdA munito di delega.

7.- In conclusione, secondo quanto emerge dalle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata è fondata su una esaustiva e legittima valutazione delle prove; ed appare conforme alle norme di legge ed alla giurisprudenza di questa Corte tanto in ordine alla natura dell’attività di impresa svolta dall’Immobiliare, tanto in relazione ai requisiti dettati dalla legge per l’iscrizione della ricorrente alla Gestione commercianti consistenti nella partecipazione personale con caratteri di abitualità e prevalenza allo svolgimento di una attività avente natura commerciale (ex plurimis, Cass. 10426/2018,19273/2018, 12981/2018). La stessa valutazione risulta dunque scevra da vizi logici e giuridici ed appare effettuata nel rispetto del principio dell’onere della prova. Essa si sottrae quindi alle censure articolate nel ricorso il quale, anzitutto, sotto le mentite spoglie di violazioni di legge, si limita a richiedere una mera diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito. (Sez. Un. 7 aprile 2014, nn. 8053, 8054). Inoltre neppure sussiste la denunciata carenza di motivazione, perchè l’impugnata sentenza ha svolto ampie ed approfondite argomentazioni motivo, pienamente idonee ad esplicitare il procedimento logico giuridico posto a sostegno di ogni punto qualificante della decisione.

D’altronde, non risultano indicate in ricorso, in maniera precisa e specifica, lacune od omissioni d’indagine che, se evitate, avrebbero condotto ad una diversa decisione.

Neppure è ammissibile, quale motivo di ricorso in sede di legittimità, la critica o la contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito, basate sull’assunto della correttezza dell’apprezzamento e dell’interpretazione di tali risultanze quale prospettata dalla stessa parte, siffatte deduzioni implicando esclusivamente un sindacato nel merito della causa non consentito nel giudizio di cassazione (Cass. 9097/2017, 24555/2016).

8.- Per le considerazioni che precedono il ricorso va quindi rigettato, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 3700, di cui Euro 3500 per spese processuali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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