Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20445 del 28/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/08/2017, (ud. 12/04/2017, dep.28/08/2017),  n. 20445

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27542/2013 proposto da:

L.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE OSTIENSE 228, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO PREITE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.S., T.V., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA SISTINA 42, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

VENTURIELLO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1408/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

L.E., riassunto il giudizio dopo dichiarazione di incompetenza del giudice di pace di Roma, ha convenuto innanzi al tribunale di Roma G.N., T.S. e T.V., proprietario il primo e conduttori in locazione gli altri di un locale in (OMISSIS), ad uso falegnameria, sottostante l’appartamento di proprietà dell’attrice; espletata c.t.u., il tribunale ha con sentenza depositata il 25/05/2006 dichiarato cessata la materia del contendere in ordine a domanda di inibitoria di immissioni di polveri, vapori e rumori – essendo state nelle more adottate misure di contenimento in base a ordinanze cautelari – condannando i soli conduttori al risarcimento dei danni per Euro 10.000 oltre accessori;

la corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dai signori T. nel contraddittorio della sola signora L., ha riformato con sentenza depositata il 13/03/2013 la decisione del tribunale, rigettando la domanda risarcitoria, affermando che il danno da immissioni sarebbe risarcibile solo ove ne sia derivata comprovata lesione della salute, non essendo risarcibile la minore godibilità della vita, nonchè – quanto al profilo probatorio – espressamente “dissente(ndo) dall’indirizzo giurisprudenziale recepito dal primo giudice, secondo cui quando venga accertata la non tollerabilità delle immissioni la prova del danno deve considerarsi in re ipsa” e rilevando che l’attrice avrebbe dovuto produrre “idonea documentazione sanitaria… e… chiedere l’espletamento di una c.t.u. medico-legale”;

avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione L.E., affidandolo a un motivo, cui hanno resistito S. e T.V. con controricorso illustrato da memoria;

Ritenuto che:

sia manifestamente fondato l’unico motivo di ricorso, con cui la signora L. ha lamentato violazione di legge in relazione agli artt. 2 e 32 Cost. e artt. 844,2043 e 2067 cod. civ., deducendo che la corte d’appello si sarebbe posta in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la prova della lesione di un diritto costituzionalmente garantito è anche prova del danno, da ritenersi in re ipsa, o almeno tale prova – in mancanza di accertamento medico-legale – possa essere agevolata mediante presunzioni, che – secondo la signora L. – avrebbero nel caso di specie potuto fondarsi sulla situazione lavorativa documentata della stessa, impegnata in lavoro con turni notturni;

al di là di remoti precedenti citati dalla corte d’appello e rimontanti a epoca in cui nè la materia del danno alla salute nè quella dei rimedi in tema di immissioni avevano conosciuto l’attuale sistemazione sorretta dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, vada data continuità al principio da reputarsi oramai sufficientemente consolidato nella giurisprudenza di questa corte (Cass. Sez. U. 01/02/2017, n. 2611, in relazione alla trattazione anche di una questione di giurisdizione; ma v. anche ad es. Cass. 19/12/2014, n. 26899 e 16/10/2015, n. 20927), secondo il quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all’interno di un’abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (vedi Cass. 16/10/2015, n. 20927);

ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni o sulla base delle nozioni di comune esperienza;

vada dunque cassata l’impugnata sentenza; peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto per essere il thema decidendum limitato al profilo giuridico del criterio probatorio, adottato dal giudice di primo grado e negato dalla corte d’appello, possa questa corte esimersi dal rinvio e pronunciare nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., rigettando l’appello dei signori T. (infondato dunque nei suoi tre motivi: il primo già disatteso sull’inesistenza delle immissioni, e non attinto dal ricorso in cassazione; il secondo sulla valutazione delle immissioni e del danno, e oggetto dunque delle statuizioni di cui innanzi; il terzo in materia di sospensiva, e quindi superato) e accogliendo la domanda della signora L. in coerenza – anche quanto alle spese – con la sentenza emessa dal tribunale;

vadano compensate, stante il consolidarsi in epoca recente dell’indirizzo giurisprudenziale adottato, le spese processuali del grado di appello e del giudizio di legittimità.

PQM

 

La corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, pronunciando nel merito, in accoglimento della domanda attrice, condanna T.S. e T.V. al risarcimento del danno a favore di L.E., che liquida in Euro 10.000 oltre interessi nella misura legale dalla domanda, nonchè alla rifusione a favore della medesima delle spese processuali del primo grado, che liquida in Euro 2.300, di cui Euro 300 per esborsi e 690 per diritti, oltre accessori di legge; compensa le spese per il grado d’appello e il giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2017

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