Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20445 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 06/10/2011), n.20445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

S.A.I.F. SOCIETA’ DI ANALISI ED INVESTIMENTI FINANZIARI SPA IN

FALLIMENTO in persona del Curatore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA V.LE DEL VIGNOLA 5, presso lo studio

dell’avvocato RANUZZI LIVIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

LACARRA MARCO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 28/2005 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 23/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 23.5.2005 la 13A sezione della di Bari, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio finanziario, confermando la sentenza impugnata, rilevando che il contratto stipulato in data 14.12.1993 tra SAIF s.p.a. ed Edilizia Napoli Nord s.r.l. aveva effetto risolutorio del precedente contratto stipulato per atto pubblico in data 23.12.1992 tra le stesse parti con il quale la SAIF s.r.l. – successivamente dichiarata fallita in data 25.11.1996 dal Tribunale di Bari – aveva acquistato da Edilizia Napoli Nord s.r.l. un fabbricato in costruzione per il prezzo di L. 14.047.803.346 oltre Iva al 4%.

I Giudici di appello rilevavano che l’atto di risoluzione era intervenuto nell’ambito della soluzione transattiva concordata tra le parti in ordine alla controversia insorta sulla esecuzione dell’appalto di lavori commissionato dalla acquirente alla venditrice. Pertanto con il contratto del 14.12.1993 si procedeva al ritrasferire l’immobile al medesimo prezzo corrisposto (nonchè alla corresponsione a SAIF di un indennizzo di L. 2 miliardi a tacitazione di pretese risarcitorie) ed al rimborso da parte di Edilizia Napoli Nord della IVA pagata da SAIF, con contestuale emissione da parte della stessa Edilizia Napoli Nord di nota di credito n. (OMISSIS) – con aliquota IVA al 4% – a compensazione della fattura emessa in occasione del primo contratto.

La identità del contenuto dei due contratti e la motivazione relativa alla volontà manifestata dalle parti di risolvere stragiudizialmente la controversia tra le stesse insorta, legittimava la operazione eseguita che doveva ricondursi sotto la disciplina del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, non potendo dar luogo il secondo atto ad una nuova operazione economica a fini fiscali come riteneva l’Ufficio finanziario che qualificava il secondo atto come retrovendita.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo un unico motivo. Resiste con controricorso il Fallimento SAiF s.p.a.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I Giudici di appello hanno fondato la propria decisione qualificando il contratto stipulato dalle parti in data 14.12.1993 come atto di muto dissenso volto allo scioglimento del precedente atto pubblico in data 23.12.1992. A tale conclusione sono pervenuti all’esito della interpretazione del contenuto dei due atti negoziali nonchè dei rapporti intercorsi tra le parti nel periodo di tempo tra la stipula del primo e del secondo contratto. Quanto al primo aspetto i Giudici di merito hanno rilevato che le disposizioni e clausole pattizie di entrambi i contratti erano da ritenersi identiche e contrarie, sicchè il secondo contratto veniva ad elidere gli effetti del primo. Quanto al secondo aspetto i Giudici rilevavano che la società prima acquirente aveva commissionato all’alienate l’appalto dei lavori di ultimazione dell’immobile compravenduto, nonchè aveva conferito alla stessa mandato a vendere le singole unità immobiliari. Essendo insorta tra le parti controversia in ordine all’esatto adempimento dei rapporti obbligatori, le parti erano pervenute alla definizione delle reciproche pretese, ripristinando lo “status quo ante” mediante la risoluzione di comune accordo tutti rapporti negoziali intercorsi tra di esse (contratto di compravendita -con restituzione del medesimo importo corrisposto a titolo di prezzo ed emissione, restituzione all’originario acquirente dell’IVA applicata al 4% e contestuale emissione di nota credito di pari importo; contratto di appalto -con corresponsione a SAIF di un indennizzo a tacitazione di ogni pretesa di natura risarcitoria;

contratto di mandato a vendere), dovendo sussumersi tale accordo nella figura dell’accordo transattivo. Inoltre elemento decisivo a sostegno della qualificazione del secondo atto come negozio risolutorio veniva attribuito dai Giudici di merito alla circostanza che i secondo contratto era intervenuto entro l’anno dalla stipula del primo, elemento questo espressamente considerato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3 per il riconoscimento di diritto alla detrazione – restituzione della imposta versata per la operazione eseguita e successivamente venuta meno “in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti”.

2. La Agenzia delle Entrate censura la sentenza di appello, denunciando vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1343 c.c., dell’art. 1470 c.c. e segg., dell’art. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1453 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 26 nonchè vizio di motivazione, in quanto i Giudici di merito che avrebbero desunto l’effetto risolutorio del secondo contratto da una vicenda inerente un altro e distinto rapporto contrattuale intercorso tra e parti (appalto lavori), in ordine al quale soltanto era insorta controversia e dunque sussisteva la esigenza della stipula di un atto transattivo: con la conseguenza che dovevano essere tenute distinte le cause negoziali relative alla transazione, avente ad oggetto il rapporto di appalto, ed alla retrovendita immobiliare che configurava, pertanto, un nuovo negozio traslativo ed andava quindi assoggettata ad IVA all’aliquota del 9% vigente al tempo della stipula. Pur senza negare che la retrocessione della proprietà dell’immobile era stata determinata dalla risoluzione del contratto di appalto, tuttavia ciò configurava soltanto il motivo ma non la causa giustificativa del nuovo atto.

Inoltre la autonomia del successivo negozio di vendita derivava necessariamente dal fatto che il primo contratto aveva ormai prodotto i propri effetti traslativi e pertanto non poteva configurarsi un negozio risolutorio di un contratto già eseguito.

3. Controdeduce il Fallimento SA1F s.p.a. aderendo alle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e rilevando che indipendentemente dalla qualificazione del secondo contratto come atto transattivo, era innegabile che la originaria operazione eseguita dalle parti (trasferimento della proprietà immobiliare) era venuta meno, entro l’anno, per volontà delle parti contraenti, con la conseguenza che dovevano comunque ritenersi integrati i presupposti che legittimavano il recupero dell’IVA assolta in occasione della stipula del contratto risolto per mutuo dissenso.

4. Il ricorso deve essere rigettato m relazione ad entrambe le censure prospettate con l’unico complesso motivo.

Occorre premettere che la qualificazione del contratto è una operazione ermeneutica volta ad identificare il modello legale astratto di contratto all’interno del quale sussumere il contratto in concreto stipulato, a fine di assoggettare quest’ultimo alla disciplina dettata dal primo. Tale operazione strutturalmente si articola in tre fasi, la prima delle quali consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti, la seconda nella individuazione della fattispecie legale e l’ultima consiste nel giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto in concreto accertati (cfr. Corte cass. 3^ sez. 16.6.1997 n. 5387: Corte cass. 3^ sez. 5.7.2004 n. 12289).

La prima fase si risolve in un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. Le successive consistono nella ricerca del paradigma legale da applicare alla fattispecie (id est della norma o del complesso normativo in base al quale si intende regolare il rapporto dedotto in giudizio) e nella qualificazione che procede secondo il modello della sussunzione – cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma – per verificare la corrispondenza degli elementi di fatto accertati a quelli individuanti la fattispecie normativa. Queste fasi comportano applicazione di norme giuridiche ed il giudice non è vincolato dal “nomen juris” adoperato dalle parti, ma può correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde alla sostanza del contratto come da esse voluto. La ricostruzione data dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità allorquando si risolva nella richiesta di una nuova valutazione dell’attività negoziale oppure nella contrapposizione di un’interpretazione della medesima a quella del giudice di merito (cfr. Corte cass. 2^ sez. 3.11.2004 n. 21064;

Corte cass. 3^ sez. 22.6.2005 n. 13399).

Tanto premesso, con riferimento alla asserita violazione delle norme codicistiche indicate in rubrica, palesemente privo di pregio è l’assunto della ricorrente secondo cui la risoluzione con efficacia ex tunc opera esclusivamente quale rimedio ai vizi funzionali della causa e cioè alle situazioni patologiche connesse alla esecuzione del contratto, essendo appena il caso di rilevare che la figura del mutuo dissenso (o mutuo consenso o risoluzione convenzionale o accordo risolutorio: cfr. artt. 1321 e 1372 c.c.) costituisce espressione della autonomia negoziale dei privati che bene sono libere di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dalla esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute impeditivi o modificativi della attuazione dell’originario regolamento di interessi: come infatti ribadito dalle pronunce di questa Corte la risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce un caso di ritrattazione bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio uguale e contrario a quello da risolvere” (cfr. Corte cass. 3^ sez. 10.3.1966 n. 683; id.

2^ sez. 30.8.2005 n. 17503; id. 3^ sez. 10.7.2008 n. 18859).

Inconsistente è altresì la obiezione secondo cui il contratto da risolvere per mutuo consenso aveva già prodotto i propri effetti, trattandosi di contratto ad efficacia reale.

La risoluzione convenzionale integra, infatti, un contratto autonomo con il quale le stesse parti o i loro eredi ne estinguono uno precedente, liberandosi dal relativo vincolo e “la sua peculiarità è di presupporre un contratto precedente fra le medesime parti e di produrre effetti estintivi delle posizioni giuridiche create da esso17 (cfr. Corte cass. 3^ sez. 27.11.2006).

L’effetto ripristinatorio è, peraltro, espressamente previsto (art. 1458 c.c.) per il caso di risoluzione per inadempimento anche dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali, non essendo dato pertanto riscontrare impedimenti ad un accordo risolutorio con effetto retroattivo di un contratto ad efficacia reale, fatto salvo l’onere della forma “ad substantiam”: “la forma scritta costituisce requisito necessario dei contratti risolutori del diritto di proprietà sui beni immobili, dovendo dai medesimi trarsi con sufficiente certezza tutti gli elementi del negozio cui le parti abbiano inteso dare vita, quali l’indicazione del bene ritrasferito e dei prezzo, nonchè la manifestazione della effettiva volontà di operare il nuovo trapasso del bene” (cfr. con riferimento a contratto di compravendita immobiliare: Corte cass, 3^ sez.. 18.2.1980 n. 1186;

id. 2^ sez. 14.2.1981; id. 2^ sez. 14.7.1989 n. 3288; id. 2^ sez. 7.3.1997 n. 2040; id. 2^ sez. 15.5.1998 n. 4906 “nel caso di contratto di trasferimento della proprietà immobiliare, per la cui validità la legge richiede la forma scritta ad substantiam, anche il suo scioglimento per mutuo consenso deve risultare da atto scritto poichè per effetto di esso si opera un nuovo trasferimento della proprietà al precedente proprietario (v. sent. 20.12.1988 n. 6959.

28.8.1990 n. 8878)…”: cfr. con riferimento al contratto di vendita di cosa futura Corte cass. 2^ sez.. 6.11.1991 n. 11840 che desume l’obbligo della forma scritta dell’accordo risolutorio dalla efficacia definitiva e non meramente obbligatoria della vendita).

Del pari manifestamente infondato è il denunciato vizio di sussunzione della fattispecie concreta nello schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3 nonchè la censura per vizio motivazionale.

La norma invocata attribuisce al cedente (nella specie alla Edilizia Napoli Nord s.r.l.) di portare in detrazione l’imposta – previa registrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 – in ogni caso in cui “un’operazione per la quale sia stata emessa fattura……viene meno in tutto od in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, o per mancato pagamento…'” (comma 2). Qualora tali eventi si verifichino “in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti la neutralità fiscale può essere fatta valere esclusivamente entro l’anno dalla operazione imponibile (comma 3). Orbene gli elementi normativi della fattispecie possono quindi individuarsi:

a) nella realizzazione di una operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che deve essere “vera e reale e non già del tutto inesistente”, come deve argomentarsi dalla disposizione di chiusura del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7 che individua il presupposto impositivo, in caso di operazione inesistente, e dunque in assenza di un fatto imponibile definito nel suo effettivo contenuto economico D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 6, nel mero elemento cartolare della fattura (cfr. Corte cass. 5^ sez. 10.6.2005 n. 12353);

b) nella realizzazione di una causa di scioglimento del contratto (cui consegue i venir meno della “operazione imponibili”: nella specie cessione di bene immobile), non occorrendo uno specifico accertamento negoziale o giudiziale della intervenuta risoluzione (Corte cass. 3^ sez. 21.1.2010 n. 987). Deve sussistere quindi un titolo idoneo a realizzare gli effetti risolutori del precedente contratto (Corte cass. 1^ sez. 23.4.1993 n. 4767 ove si esclude che un “accordo” comportante variazioni dell’imponibile o dell’imposta riguardo ad una precedente operazione regolarmente assoggettata ad IVA non può essere desunto dal mero fatto che una delle parti del rapporto di cessione ha emesso, senza neppure indicarne la causa, alcune “note di accredito”): con la conseguenza che raccordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam” è soggetto alla stessa forma stabilita per la sua conclusione e r anzidetto requisito formale può ritenersi sussistente solo in presenza di un documento che contenga in modo diretto la dichiarazione della volontà negoziale e che venga redatto al fine specifico di manifestare tale volontà (Corte cass. 2^ sez. 7.3.1997 n. 2040; id. 3^ sez. 27.11.2006 n. 25126; id. 2^ sez. 6.4.2009 n. 8234):

c) nella identità delle parti dell’accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale (Corte cass. 5^ sez. 12.2.2010 n. 3380);

d) nel regolare adempimento degli obblighi di registrazioni previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972: in tema di detrazioni IVA, la norma di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2 -a mente della quale le ragioni per cui un’operazione fatturata viene meno in tutto o in parte, ovvero sia ridotta nel suo ammontare imponibile, possono essere varie, e consistere, in particolare, non solo nella nullità, nell’annullamento, nella revoca, nella risoluzione, nella rescissione, ma anche in ragioni “simili”, quali il mancato pagamento o la concessione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente – va interpretata nel senso che ciò che rileva, per volontà legislativa, non è tanto la modalità secondo cui si manifesta la causa della variazione dell’imponibile IVA, quanto, piuttosto, che, tanto della variazione, quanto della sua causa, si effettui registrazione ai sensi degli artt. 23, 24 e 25 del citato D.P.R. (Corte cass. 5^sez. 6.7.2001 n. 9195. Sui rispettivi obblighi di registrazione gravanti sul cedente e sul cessionari cfr. Corte cass. 1 sez. 11.6.1993 n. 6552).

e) nel lasso temporale infrannuale entro il quale deve verificarsi la vicenda risolutoria nel caso in cui l’effetto risolutorio trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso: la prova relativa può legittimamente essere fornita soltanto attraverso l’indicazione di quei dati che risultino idonei a collegare le due operazioni – essendo lo scopo perseguito dalla legge quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile attraverso il principio di immodificabilità, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive varia/ioni dell’imponibile o dell’imposta, ex art. 26 citato – mercè dimostrazione, da parte del contribuente, dell’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un canto, e l’oggetto della registrazione della variazione, dall’altro, sì da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (Corte cass. 5^ sez. 6.7.2001 n. 9188).

Orbene i Giudici territoriali hanno correttamente ricondotto la fattispecie concreta nello schema normativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, commi 2 e 3, ravvisando la identità di contenuto dei due atti negoziali uguali e contrari (quanto all’oggetto – proprietà dell’immobile – ed alla prestazione avente ad oggetto il pagamento del prezzo, nonchè quanto alla forma), accertando la identità delle parti contraenti, la eseguita registrazione della variazione contabile ai fini della detrazione IVA da parte del cedente, la esatta corrispondenza dell’imposta versata e di quella recuperata (con applicazione della identica aliquota pari al 4%), la esistenza del presupposto temporale richiesto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3.

Hanno inoltre desunto l’effetto risolutorio del primo contratto dall’inserimento del contratto stipulato in data 14.12.1993 nell’ambito della composizione transattiva, con la quale le medesime parti hanno voluto definire tutti i rapporti pendenti, della più ampia vicenda negoziale intercorsa tra le parti che oltre al contratto di compravendita concerneva anche il contratto di appalto relativo alla esecuzione dei lavori di ultimazione dell’intero immobile ed il contratto di mandato a vendere le singole unità immobiliari.

Evidente è la confusione in cui incorre la Agenzia delle Entrate laddove ipotizza una mancanza originaria della causa negoziale dell’accordo risolutorio allegando che il contenzioso tra le parti concerneva esclusivamente il rapporto originato dal contratto di appalto, in tal modo non considerando che, tanto gli artt. 1321 e 1372 c.c. quanto il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3, prevedendo espressamente l’accordo delle parti quale negozio risolutorio idoneo a determinare il venir meno della “operazione imponibile”, prescindono del tutto da eventuali vizi genetici o funzionali della causa del contratto che le stesse intendono risolvere.

La critica motivazionale della ricorrente, pertanto, si risolve soltanto nel contrapporre una diversa ricostruzione giuridica dei fatti rispetto a quella effettuata dai Giudici di merito, senza individuare specificamente gli errori logici che inficiano la ratio decidendi della sentenza impugnata, con la conseguenza che l’accertamento della risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce apprezzamento di fatto del Giudice di merito, che rimane incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (Corte cass. 3^ sez. 27.11.2006 n. 25126).

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato ed in applicazione del principio di soccombenza la parte ricorrente va condannatala rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Suprema Corte di cassazione:

– rigetta i ricorso e condanna la Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 7.200,00 (di cui Euro 7.000,0 per onorari) oltre rimborso forfetario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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