Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20442 del 30/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 30/07/2019), n.20442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20254-2017 proposto da:

D.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRATELLI RUSPOLI 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCO

GLANDARELLI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANGELO IATI’,

FULVIO ROCCO MANCINI;

– ricorrente –

contro

B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA 121,

presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PANUCCIO, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

contro

D.N., D.M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 401/2016 della CORTE REGGIO CALABRIA,

depositata il 08/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera partecipata del

17/01/2019 dal Consigliere Dott.ssa PELLECCHIA ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 1990, D.M.L. conveniva in giudizio B.G., al fine di sentir dichiarare la detenzione senza titolo, da parte della convenuta, dell’immobile di sua proprietà, ovvero per sentirla condannare all’immediato rilascio dello stesso ed al risarcimento per illegittima detenzione.

Parte attrice, premettendo di essere proprietaria del predetto immobile per averlo acquistato da suo padre, D.W., in forza di un atto pubblico regolarmente registrato e trascritto, deduceva di aver promosso, nell’ottobre 1989, azione di sfratto del suindicato immobile nei confronti della B. quale vedova di B.D., che lo deteneva in virtù di scrittura privata di locazione, con scadenza il 30.09.89, stipulata con M.R. – madre di D.W. – in cambio di lavori di ristrutturazione da eseguirsi nello stesso. Nell’occasione, B.G. si costituiva innanzi al Pretore assumendosi proprietaria dell’immobile in questione in virtù di una scrittura privata di compravendita del 07.09.81 (non autenticata ed allora non ancora registrata, in quanto successivamente registrata nel 1992). 11 Pretore, senza adottare il provvedimento di rilascio, rimetteva le parti innanzi al competente Tribunale. Il procedimento si estingueva poichè nessuna delle parti lo riassumeva nei termini stabiliti. D.M.L. incardinava nuovo giudizio, quello in questione, eccependo la falsità dell’atto in base al quale B. si assumeva proprietaria dell’immobile, insistendo sulla condanna della stessa all’immediato rilascio dello stesso, essendo inutilmente decorso il pattuito termine del 30.09.89, contrattualmente previsto per la sua riconsegna.

Costituendosi in giudizio, B.G. insisteva sulla legittimità e sulla validità della scrittura privata, chiedendo in via riconvenzionale che venisse dichiarata la nullità, invalidità e/o inefficacia dell’atto pubblico di compravendita tra D.M.L. e D.W. perchè proveniente a non dominio, non essendo quest’ultimo proprietario dell’immobile in questione.

Il Tribunale di Reggio Calabria con sentenza n. 207 del 12/19.07.06, accoglieva la domanda di parte attrice e rigettava la riconvenzionale. Condannava la convenuta a restituire l’immobile in questione e al pagamento in favore dell’attrice dei canoni di locazione dal primo ottobre 1989 al rilascio dell’immobile da liquidare in separato giudizio.

2. Avverso tale sentenza, B.G. proponeva appello.

La Corte di Appello di Reggio Calabria con sentenza n. 401 del 8/11/2016, dopo avere rigettato gli altri cinque motivi di appello, per quanto ancora interessa accoglieva il motivo indicato come n. 4 dalla B. e, assumendo che con esso la B. aveva contestato “la decisione del Tribunale di condannar(la) – in assenza di qualsivoglia richiesta di parte attrice -… al pagamento dei canoni di locazione dal 01.10.89 sino al rilascio dell’immobile, da liquidarsi in separato giudizio”, motivava l’accoglimento osservandom che: “infatti la domanda di parte attrice tendente al risarcimento dei danni per illegittima detenzione dell’immobile dal 01.10.89 al rilascio, sebbene avesse dovuto essere dimostrata e quantificata in corso di causa, in realtà non ha avuto alcun supporto probatorio, per cui il Tribunale avrebbe dovuto semplicemente rigettarla, senza esprimere alcuna condanna al pagamento dei non richiesti canoni di locazione”.

3. D.M.L. propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo articolato in più censure.

3.1. B.G. si costituisce depositando un atto denominato “memoria” recante la data 22 agosto 2018.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di non condividere la proposta del relatore.

6. La ricorrente si duole della violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo espone una prima censura in cui denuncia un vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale.

Di fronte ad un motivo di appello della B., quello esposto nell’atto di appello con il numero 5), che prospettava un vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, in quanto il primo giudice aveva “condannato la medesima al pagamento in favore dell’attrice dei canoni di locazione, dal primo ottobre 1989 al rilascio dell’immobile da liquidare in separato giudizio..” ed aveva giustificato la doglianza rilevando che “tale richiesta di condanna non è stata difatti mai formulata dalla sig.ra D.M.L…”, la corte territoriale avrebbe errato, perchè, invece di limitarsi a provvedere sul vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva condannato la convenuta al pagamento in favore dell’attrice dei canoni di locazione dal primo ottobre 1989 al rilascio dell’immobile da liquidare in separato giudizio.

La Corte d’Appello invece di limitarsi a confermare, ove accertata, la fondatezza del rilievo sollevata dalla B., e cioè che nessuna domanda con quel contenuto era stata proposta dalla D. e quindi limitarsi ad accogliere la doglianza ha affermato che “la domanda di parte attrice tendente al risarcimento dei danni per illegittima detenzione dell’immobile (…) in realtà non ha avuto alcun supporto probatorio” (cfr. ricorso pag. 9). Secondo la ricorrente, la Corte, da una parte avrebbe riconosciuto che una domanda di risarcimento dei danni risultava proposta e, dall’altra, avrebbe rilevato che l’attrice non aveva raggiunto la prova nè sull’an nè sul quantum.

Il motivo di ricorso è fondato nella parte in cui lamenta il vizio dell’ultrapetizione. Tale vizio è sussistente

Occorre premettere che la condanna disposta dal Tribunale, come la Corte rileva dalla lettura della sentenza (presente nel fascicolo di parte ricorrente di primo grado e riprodotta in uno al ricorso quanto al dispositivo), non era affatto una condanna generica, ma una condanna generica con indicazione del criterio di liquidazione del danno.

Il Tribunale peraltro, come si legge nel verbale delle conclusioni precisate all’udienza dell’11 dicembre 2002 (riportate dalla ricorrente nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6), era stato investito alternativamente o della richiesta di condanna “nella misura che sarà dimostrata in separato giudizio ovvero liquidata da codesto giudice in via equitativa”.

Il primo giudice scelse, invece, una sorta di “via di mezzo” facendo luogo alla condanna generica, ma con impropria individuazione del criterio di liquidazione. Sotto tale profilo il giudice del merito di primo grado era effettivamente incorso nel vizio di ultrapetizione come denunciato dalla parte convenuta con il suo quarto motivo di appello.

Pertanto, sul punto, la censura svolta nel motivo di appello contrassegnato come 5) era fondata e la Corte calabrese avrebbe dovuto accoglierlo e limitare però la condanna al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.

Infatti la domanda di condanna specifica al risarcimento, del danno può essere limitata, successivamente, in corso di giudizio alla richiesta di condanna generica e di rinvio della liquidazione in separato giudizio quando sussista il consenso espresso o tacito della controparte ravvisabile anche nella mancata opposizione alla limitazione della domanda. Peraltro l’anzidetta limitazione non può essere formulata per la prima volta con la comparsa conclusionale, che ha soltanto la funzione di illustrare le conclusioni già precisate; nè rispetto alle inammissibili domande formulate con la citata comparsa può ipotizzarsi una tacita accettazione del contraddittorio ad opera della controparte la quale abbia omesso di replicare alla comparsa conclusionale avversaria (Cass. 14121/2004; Cass. 897/1996).

Quest’ultima – come emerge dal citato verbale – non l’aveva contestata e, quindi, su di essa il tribunale doveva decidere per accettazione del contraddittorio.

Ne segue allora che la corte territoriale, applicando l’orientamento del 1996, si sarebbe dovuta limitare ad annullare la statuizione di primo grado limitatamente alla indicazione del criterio di liquidazione come commisurato ai canoni locativi, in quanto su di esso vi era stata ultrapetizione.

7. Pertanto la Corte accoglie il ricorso quanto alla prima censura, restando assorbito per il resto il motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

La ragione del rinvio discende dalla circostanza che la lettura del motivo di appello n. 5) evidenzia che l’appellante aveva svolto anche una seconda censura, con la quale aveva lamentato che non era possibile ricostruire l’iter logico seguito dal primo giudice e tale censura andava riferita anche alla stessa configurabilità della condanna generica richiesta in via alternativa ed accolta quanto all’au debeatur, sebbene si trattasse di censura motivata “perchè non era emersa la sussistenza di un contratto di locazione tra le parti in causa, nè l’ammontare di un eventuale canone di locazione”. In tal modo il motivo di appello si doleva anche della mancanza di motivazione sulla condanna generica e il giudice di rinvio, nel provvedere su di esso dovrà riesaminare tale questione, che rimase assorbita. Ne segue che, riesaminandola dovrà provvedere a motivare sull’au della condanna generica, limitata dall’accoglimento della prima censura del motivo di ricorso per cassazione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019

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