Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20442 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 06/10/2011), n.20442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore centrale pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

CEIPET SARDA SOC.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 33/2005 della COMM. TRIB. REG. di CAGLIARI,

depositata il 24/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria regionale di Cagliari sez. 6^ con sentenza in data 24.5.2005 n. 33 rigettava l’appello proposto dall’Ufficio Cagliari (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di prime cure n. 242/1/2001 che aveva annullato gli avvisi di rettifica delle dichiarazioni IVA relative agli anni 1995, 1996 e 1997 emessi dall’Ufficio nei confronti di CEiPET Sarda s.r.l. aventi ad oggetto il recupero ad imposta crediti non riconosciuti ed interessi, rispettivamente per L. 196.33.000, L. 484.316.000 e L. 1.531.722.00 (di cui L. 1.028.768.000 per sanzione pecuniaria unica irrogata ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 e D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 24 e 28) non avendo provveduto la società, nei termini di legge, alla registrazione delle fatture di acquisto, portando quindi in detrazione IVA non registrata.

I Giudici territoriali rilevavano che dal verbale della Guardia di Finanza in data 26.6.1998 risultava che la società, pur avendo tenuto regolarmente le scritture contabile mediante registrazione su supporto magnetico, che era stato immediatamente stampato su richiesta degli accertatori, aveva omesso di trascrivere tali registrazioni nei registri cartacei dal 30.1.1994 sul libro giornale, dal 27.10.1995 sul registro IVA acquisti e dal 1.11.1995 su registro IVA vendite. Tale mancanza, tuttavia, integrava una mera infrazione “formale” essendo stata verificata, all’esito della ispezione, la regolarità e veridicità dei dati contabili, ed essendo risultata regolarmente assolta la imposta relative alle fatture registrate sul supporto informatico: la omessa trascrizione nei registri non aveva, pertanto, determinato alcun danno o pericolo di danno per l’Erario.

Sulla base quindi di una interpretazione evolutiva della normativa tributaria, dalla quale emergeva che il sistema sanzionatorio (D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 5, 6 e 9) era orientato verso la punibilità degli illeciti arrecanti un effettivo nocumento patrimoniale all’Erario, e che la tendenza legislativa era diretta all’ampliamento della utilizzazione dei sistemi informatici in materia tributaria – avuto in particolare riguardo al D.L. 10 giugno 1994, n. 357, art. 7, comma 4 ter conv. in L. 8 agosto 1994, n. 489, che a certe condizioni, ulteriormente estese dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 3, comma 4, considerava espressamente regolare la tenuta dei registri con sistemi meccanografici “anche in difetto di trascrizione sui supporti cartacei”-, i Giudici di appello ritenevano infondata la tesi difensiva dell’appellante che ancorava la detraibilità della imposta e la conseguente applicazione della sanzione pecuniaria alla mera violazione di natura formale della omessa trascrizione dei dati correttamente registrati su supporto informatico.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato in data 4.7.2006 con il quale deduce il vizio di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, art. 25, art. 28, comma 2, art. 39, art. 54, comma 2, art. 55 e del D.L. n. 357 del 1994, art. 7, comma 4 ter conv. in L. n. 489 del 1994.

Non ha resistito la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata fonda il proprio “decisum” sulle seguenti argomentazioni che convergono in un’unica ratio decidendi.

Dalla ispezione fiscale è risultato che i dati inseriti nel sistema informatico aziendale erano corretti e veritieri.

La esattezza dei dati rilevati dal sistema informatico, riportati nelle dichiarazioni annuali IVA, non ha determinato alcun pregiudizio patrimoniale all’Erario, avendo la società correttamente assolto l’imposta e portato in detrazione l’IVA corrispondente a spese inerenti effettivamente sostenute.

La omessa tempestiva trascrizione di tali dati nei registri cartacei (nel registro acquisti D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25) ha, pertanto, integrato una violazione di natura meramente formale, dovendo ritenersi insussistente altresì un illecito di mero pericolo in quanto la società ha ottemperato immediatamente alla stampa dei dati informatici, non frapponendo alcun ostacolo all’attività accertatrice.

Dalla semplice omessa tenuta dei registri cartacei non può derivare il disconoscimento del diritto alla detraibilità dell’imposta previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 in quanto il Legislatore, prendendo atto della modifica delle realtà aziendali sempre più informatizzate, ha inteso ricollegare al termine “registrazione” modalità attuative differenziate secondo il tipo di supporto cartaceo o meccanico utilizzato, come è dato evincere dal lessico “trascrizione” utilizzato nella norma di cui al D.L. n. 357 del 1994, art. 7, comma 4 ter che consente di distinguere tale attività di mera trascrizione nei registri cartacei da quella di “iscrizione” dei dati relativi alle fatture mediante inserimento nell’archivio informatico. Inoltre dalla complessiva interpretazione del sistema sanzionatorio introdotto dai D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997 si evince che il Legislatore ha inteso perseguire in modo rigoroso le violazioni di carattere sostanziale (che incidono sulla determinazione e la entità dell’imposta), non potendo trattarsi una violazione meramente formale – quale emerge dalle circostanze di fatto accertate – alla stessa stregua di condotte specificamente evasive.

2. La Agenzia delle Entrate contesta la “interpretazione evolutiva” fornita dai Giudici di appello in quanto contrastante con la interpretazione delle disposizioni tributarie fornita dalla giurisprudenza della Corte di legittimità. In particolare la ricorrente – contesta che la natura formale o sostanziale della violazione possa essere desunta ex post in base alle circostanze di fatto in concreto accertate – rileva che gli obblighi di registrazione sono funzionali all’attività di controllo e di rettifica delle dichiarazioni che deve essere attuata ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 mediante il mero confronto tra i dati indicati nella dichiarazione e quelli risultanti dai registri di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 23, 24 e 25;

– che gli obblighi di registrazione mirano anche allo scopo di impedire possibili alterazioni delle scritture contabili, pericolo tanto più attuale nel caso di utilizzo di sistemi informatici essendo i dati in essi inseriti agevolmente modificabili in ogni tempo: la disciplina introdotta dal D.L. n. 357 del 1994 non costituisce deroga alle norme sulla iscrizione dei dati contabili nei registri cartacei, ma si limita soltanto – così come la successiva disciplina introdotta dalla L. n. 342 del 2000 – a disporre un differimento temporale dell’obbligo di registrazione.

3. La questione in diritto sottoposta all’esame della Corte concerne la rilevanza che la omessa trascrizione nel registro IVA degli acquisiti (D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25, comma 1 e ex art. 39) dei dati conservati in un archivio informatico (ai sensi del D.L. n. 357 del 1994, art. 7, comma 4 conv. in L. n. 489 del 1994) relativi a fatture per acquisiti di beni e servizi inerenti l’esercizio della impresa, assume ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione di imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 nonchè ai fini della applicazione delle sanzioni pecuniarie D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 5, comma 4 ed D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12.

Tanto premesso la questione va risolta alla stregua del precedente di questa Corte, al quale il Collegio intende conformarsi, secondo cui “il D.L. n. 357 del 1994, art. 7, comma 4 ter -nella versione anteriore alla riforma introdotta dalla L. n. 342 del 2000- prevede che “a tutti gli effetti di legge la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativa all’esercizio corrente, quando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza”. Da tale norma, volta a disciplinare la regolare tenuta della contabilità di impresa, consegue che la regola è la tenuta dei registri contabili su supporti cartacei, e che invece – a tutti gli effetti di legge – è considerata regolare anche la tenuta di essi con sistemi meccanografici, in assenza di trascrizione su supporto cartaceo, ma solo a certe specifiche condizioni: deve trattarsi di dati relativi all’esercizio corrente e, in sede di controlli da parte dell’Ufficio finanziario, i registri su supporti magnetici devono risultare aggiornati e debbono essere immediatamente stampati su richiesta degli organi competenti.

Pertanto ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione non è irrilevante la scelta della modalità di registrazione (meccanografica o cartacea) dei dati, in quanto la scelta della registrazione meccanografica prevede sempre e comunque la trascrizione su supporto cartaceo, mentre la parificazione degli effetti dalla registrazione meccanografica non trascritta a quelli della registrazione cartacea è espressamente limitata nel tempo (ai dati riferiti all’esercizio di competenza in corso) e condizionata alla stampa immediata dei dati inseriti nell’archivio, non essendo pertanto neppure necessaria alcuna espressa previsione normativa per escludere il diritto alla detrazione in relazione a dati emergenti da registi la cui tenuta, sulla base di quanto sopra esposto, non può essere considerata regolare”, (cfr. Corte cass. 5^ sez. 10.11.2010 n. 22851).

L’argomento dei Giudici di appello fondato sulla sull’assenza di un pregiudizio all’Erario – essendo stata regolarmente assolta l’imposta relativa alle fatture non trascritte – e sulla veridicità dei dati conservati nell’archivio informatico ed utilizzati ai fini della detrazione IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 finisce per risolversi nella ammissibilità di un doppio sistema di registrazione, che deve invece ritenersi escluso proprio in considerazione della limitata portata precettiva del D.L. n. 357 del 1994, art. 7, comma 4 ter conv. in L. n. 489 del 1994, ed anche della successiva L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 3, comma 4 – che non trova, peraltro, applicazione alla fattispecie concreta: tali norme, infatti, non prevedono la istituzione di un registro – informatico – alternativo a quello cartaceo, ma si limitano a consentire un differimento temporale nella registrazione cartacea, rispettivamente, dei dati “relativi all’esercizio corrente” (che devono pertanto essere trascritti nel registro D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 entro la chiusura annuale dell’esercizio di competenza) e, dei dati “relativi all’esercizio per il quale non siano scaduti i termini di presentazione delle relative dichiarazioni annuali” (che devono pertanto essere trascritti nel registro D.P.R. n. 633 del 1972, art. 25 entro il periodo tra il primo febbraio ed il 15 marzo dell’anno successivo a quello d’imposta cui le spese sono imputate – cfr.

D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 2 nel testo vigente al tempo).

Inoltre si viene in tal modo ad operare una non consentita scissione tra il riconoscimento del diritto alla detrazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e modalità di esercizio dello stesso, ritenendo che il primo può essere azionato e fatto valere indipendentemente dalle forme e modalità che ne regolano l’esercizio (ed infatti il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 2, n. 3 – nel testo in vigore al tempo – disponeva che nella dichiarazione annuale dovesse essere riportato l’ammontare degli importi per i quali è ammessa la detrazione, “risultante dalle fatture e dalle bolle le doganali registrate nell’anno precedente a norma dell’art. 25, distinto secondo l’aliquota applicabile…”).

Va osservato in contrario che se, da un lato, al contribuente obbligato alla tenuta delle scritture contabili non è consentito “provare circostanze omesse nelle scritture stesse o in contrasto con le loro risultanze” (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, u.c.), dall’altro lato, le modalità di esercizio del dritto alla detrazione, prescritte dalla legge, debbono intendersi conformative del diritto stesso, nel senso che la detrazione spetta soltanto se siano state osservate le prescrizioni normative dettate in funzione dell’accertamento della pretesa.

Nella specie il diritto alla detrazione di imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge al momento in cui la imposta diviene esigibile (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1), ma ciò non priva di rilevanza le modalità di esercizio in cui tale pretesa può essere fatta valere dal contribuente, nè comporta altresì l’irrevocabile riconoscimento del diritto stesso che bene può essere contestato nell'”an” e nel “quantum” dall’Amministrazione finanziaria, in sede di controllo della dichiarazione annuale (che a norma dell’art. 28, comma 2, n. 3) D.P.R. n. 633 del 1972 – nel testo vigente pro tempore – doveva riportare l’ammontare della detrazione “risultante dalle fatture e dalle bollette doganali registrate nell’anno precedente a norma dell’art. 25…”) e di liquidazione finale della imposta dovuta a conguaglio, anche in relazione alla mera verifica della difformità dei dati indicati nella dichiarazione annuale rispetto a quelli risultanti dai registri IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2). Trova dunque conferma che, in caso di mancata trascrizione nel registro D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 – entro il termine di chiusura dell’esercizio di competenza, D.L. n. 357 del 1994, ex art. 7, comma 4 ter ovvero entro il termine ultimo di presentazione della dichiarazione annuale IVA, ai sensi della L. n. 342 del 2000, art. 3, comma 4 – dei dati relativi alle fatture di acquisto di beni e servizi inerenti, annotati su supporti informatici, la dichiarazione annuale IVA, in cui i corrispondenti importi siano stati portati in detrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex artt. 19 e 27 in quanto non conforme ai dati annotati sul registro D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 25 deve essere considerata infedele, con conseguente disconoscimento dei crediti portati in detrazione e legittimo recupero della corrispondente imposta.

Se la omessa trascrizione nel registri IVA acquisiti dei dati conservati nell’archivio informatico determina la “perdita” dei diritto alla detrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, comma 1 e ex art. 28, comma 3, non per questo consegue che la imposta effettivamente versata dal contribuente per acquisti di beni e servizi inerenti l’esercizio della propria attività, debba rimanere a suo carico, ben potendo essere recuperata l’imposta non dovuta mediante richiesta di restituzione della somma percetta in eccedenza dalla Amministrazione finanziaria rimborso, secondo la disciplina dei rimborsi dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis applicabili anche al caso di specie. E’ stato esattamente rilevato, infatti, come in conseguenza della neutralità dell’IVA, quando esiste un obbligo di versamento dell’imposta, ma non un obbligo di pagamento, l’amministrazione finanziaria deve riversare la differenza tra il quantum versato e il “quantum” da pagare e la somma che viene trasferita dall’ufficio al contribuente non è un rimborso, ma una restituzione. In altri termini, il credito IVA, nascente dall’eccedenza di quanto legittimamente percetto dall’amministrazione finanziaria rispetto a quanto legittimamente da essa trattenibile, è, per il contribuente, un credito non da indebito e la sua soddisfazione da parte dell’amministrazione finanziaria avviene, non con un rimborso, ma con una restituzione alla quale, in mancanza di specifica disciplina, devono applicarsi le norme che regolano i rimborsi in materia di IVA e la norma residuale contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2 (cfr. Corte cass. 5^ sez. 20.8.2004 n. 16477; id. 23.7.2007 n. 16257; id. 26.7.2006 n. 17067; id. 19.10.2007 n. 21947).

La insussistenza del “diritto alla detrazione” D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, per difetto dei presupposti conformativi del diritto, non priva, pertanto, il contribuente del diritto alla restituzione (od al rimborso), in quanto alla identità del contenuto patrimoniale della pretesa corrispondono distinte situazioni giuridiche (entrambe di diritto soggettivo) facenti capo al medesimo contribuente, che trovano titolo nel versamento di imposta in eccedenza, ma le cui vicende attinenti alla sussistenza dei fatti costitutivi ed alle modalità di esercizio rimangono del tutto autonome ed indipendenti (cfr. Corte cass. 5^ sez. n. 16257/2007 secondo cui “un volta maturata tale preclusione (ndr. relativa al diritto alla detrazione), il contribuente può soltanto domandare il rimborso della maggiore imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza”).

Tanto premesso la questione relativa alla “restituzione” delle somme corrisposte a titolo IVA in eccedenza dalla società non è oggetto del presente giudizio di legittimità e dunque non sta a questa Corte accertare se la società sia legittimata ancora a presentare la relativa istanza nei termini di decadenza previsti dalla legge.

Orbene i Giudici di appello, dopo aver rilevato che la corretta tenuta di tutte le scritture contabili e la veridicità dei dati da queste risultanti rispondono anche ad esigenze di controllo…e che il D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 27 e 28…rimandano ai dati risultanti dall’art. 25 …per cui ne appare fuor dubbio l’obbligatoria corretta tenuta” non hanno poi fatto corretta applicazione delle norme di legge indicate, pervenendo a concludere che le violazioni contestate alla contribuente ……non possono essere considerate ostative al riconoscimento delle detrazioni in questione”.

Il motivo di ricorso, pertanto, si palesa fondato in relazione al denunciato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), dovendo in conseguenza essere cassata la sentenza impugnata relativamente alla statuizione in cui conferma la sentenza di prime cura disconoscendo la legittimità degli avvisi di rettifica emessi dalla Amministrazione finanziaria aventi ad oggetto il recupero di crediti di imposta indebitamente portati in detrazione.

La sentenza impugnata non va incontro, invece, a censure nella parte in cui, confermando la sentenza di prime cure, annulla il provvedimento irrogativo della sanzione pecuniaria.

I Giudici territoriali, hanno ampiamente motivato il carattere meramente formale della violazione commessa dalla società evidenziando che ai successivi controlli i dati inseriti nell’archivio informatico “sono risultati veritieri e rappresentativi della effettiva realtà dei fatti aziendali sottostanti …sulla base di essi la contribuente ha quantificato e versato la IVA dovuta, mai contestata”, e quindi rilevando che non è emerso alcun danno per l’Erario, “non avendo la contribuente …dichiarato una imposta inferiore a quella dovuta …”.

La motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui conferma l’annullamento del provvedimento irrogativo della sanzione pecuniaria, è conforme a diritto, avendo i Giudici fatto corretta applicazione – pur senza richiamare esplicitamente la norma – della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3 che non consente la irrogazione di sanzioni quando la condotta illecita “si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”.

Il ricorso va pertanto accolto nei limiti indicati in motivazione e la sentenza impugnata va in conseguenza cassata in relazione alla censura accolta.

Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio tra le parti.

PQM

La Suprema Corte di cassazione:

– accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta;

– dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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