Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20440 del 06/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 06/10/2011), n.20440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

M.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 79/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SASSARI, depositata il 27/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2011 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero della Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza della CTR della Sardegna sez. staccata di Sassari in data 27.5.205 n. 79 con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso in appello proposto dall’Ufficio di Nuoro della Agenzia delle Entrate avverso il capo della sentenza della CTP di Nuoro n. 233/2/2000 concernente la riduzione “In ossequio al principio di legalità introdotto dal D.Lgs. n. 472 del /1997, art. 3” ed in applicazione del combinato disposto il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 1 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5 dell’importo delle sanzioni pecuniarie liquidate nelle sette cartelle esattoriali impugnate dal contribuente M.M. emesse dall’Ufficio II.DD. di Nuoro per omessa presentazione delle dichiarazioni di redditi ai fini IRPEF per gli anni 1991-1993, 1LOR e CSSN per gli anni 1992-1993.

La sentenza della CTR rigettati i motivi di appello con i quali si deduceva vizio di ultrapetizione in ordine alla applicazione della riduzione delle sanzioni pecuniarie, nonchè la erronea applicazione dello jus superveniens (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3) ai rapporti tributari esauriti, accoglieva il motivo, formulato in via gradata, con il quale veniva dedotto l’erroneo calcolo di rideterminazione dell’importo delle sanzioni da parte del Giudice di prime cure, ed in parziale riforma della sentenza di primo grado ricalcolava tale importo in L. 137.292.300.

Le parti ricorrenti affidano il ricorso ad un unico articolato motivo con il quale deducono violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 3 e 21 e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè vizio di motivazione per illogicità.

Non si è costituito l’intimato al quale il ricorso è stato notificato ai sensi dell’art. 149 c.p.c. presso i domiciliatario, dott. T.G.P., ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 con relata di notifica dalla quale risulta “irreperibilità del destinatario” ed annotazione aggiunta, anch’essa sottoscritta dall’Ufficiale giudiziario in pari data 30.5.2006, recante la seguente dicitura “rifiutato perchè non più domiciliato presso Dott. T.”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni pregiudiziali preliminari.

1.1 La notifica del ricorso per cassazione nel domicilio eletto, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. b) dalla parte intimata – rimasta contumace nel giudizio di appello – presso il procuratore costituito in primo grado, è conforme al disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2 secondo cui tale elezione, ove non revocata o variata nelle forme prescritte dal comma 1 della medesima disposizione, deve ritenersi efficace anche nei successivi gradi di giudizio, prevalendo la norma dettata per il giudizio tributario – per il criterio di specialità – sulla norma dell’art. 330 c.p.c. che regola il giudizio civile – come costantemente interpretata da questa Corte. escludendo la persistenza della elezione di domicilio effettuata in primo grado, in caso di contumacia della parte in grado di appello – (cfr. Corte cass. Sez. lav. 17.5.2002; Corte cass. 5^ sez. 6.2.2009 n. 2882; id. 2.7.2009 n. 15523; id. 24.9.2010 n. 20200). Deve dunque darsi seguito alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “nel contenzioso tributario, alla luce della disciplina del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, l’elezione di domicilio, una volta effettuata dal contribuente, conserva efficacia anche nei successivi gradi di giudizio. Da ciò consegue la ritualilà della notificazione del ricorso per cassazione effettuata presso il domicilio eletto nel ricorso proposto innanzi al giudice di primo grado, e ciò anche nell’ipotesi in cui il contribuente sia rimasto contumace nel giudizio di secondo grado” (Corte cass. 5^ sez. 6.2.2009 n. 2882).

Ne consegue che in difetto di prova della revoca e modifica da parte del contribuente della elezione di domicilio presso l’incaricato della assistenza tecnica D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 12, comma 1 (nominato in primo grado, come è dato evincere dalla intestazione della sentenza di appello), deve considerarsi ritualmente perfezionata la notifica del ricorso per cassazione eseguita al difensore domiciliatario, essendo irrilevante a tal fine il rifiuto opposto dal destinatario alla ricezione della copia dell’atto (art. 141 c.p.c., comma 3 in riferimento all’art. 138 c.p.c., comma 2).

1.2 Deve essere preliminarmente dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la CTR della Sardegna, introdotto con ricorso proposto dall’Ufficio II.DD. di Nuoro della Agenzia delle Entrate in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

2. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza impugnata, dopo aver rigettato il motivo di appello – con il quale l’Ufficio aveva dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver il Giudice di prime cure ridotto le sanzioni senza che fosse stata formulata espressa richiesta da parte de contribuente – ritenendo ricompresa tale domanda in quella di annullamento degli atti di liquidazione delle sanzioni pecuniarie, ha parzialmente confermato la pronuncia del primo giudice con la quale, previa dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi del contribuente “perchè proposti avverso atti le cartelle di pagamento impugnabili soltanto per vizi propri erano state applicate – sebbene erroneamente liquidate – le sanzioni nella misura più favorevole al contribuente prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997.

I Giudici territoriali hanno ritenuto applicabile alla fattispecie il principio del “favor rei” di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 rilevando che alla data 1.4.1998 di entrata in vigore dei predetti decreti legislativi “nei confronti del Sig. M. non risultava ancora pronunciata sentenza irrevocabile” ed hanno quindi accolto il gradato motivo di appello proposto dall’Ufficio, provvedendo alla correzione della errata liquidazione del complessivo importo dovuto a titolo di sanzioni.

4. Esame e valutazione dei motivi di ricorso.

La Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza di appello per violazione del giudicato interno ex art. 2909 c.c., violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 (l’errato riferimento in rubrica al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 3 trova correzione nello svolgimento dell’argomentazione giuridica a supporto del motivo) ed illogicità della motivazione, allegando che:

il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 limita l’applicazione del principio del favor rei ai soli casi in cui l’atto irrogativo della sanzione non sia divenuto definitivo – la sentenza della CTP in data 26.6.2000 n. 233 aveva dichiarato inammissibili i ricorsi proposti avverso le cartelle i pagamento in quanto con essi venivano denunciati dal contribuente vizi di merito degli avvisi di accertamento presupposti – con i quali erano state irrogate le sanzioni – divenuti definitivi per mancata impugnazione nel termine di decadenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21. – il predetto capo della sentenza di primo grado non era stato investito da appello e pertanto era passato in giudicato l’accertamento della definitività dei provvedimenti irrogativi delle sanzioni pecuniarie;

– erronea era l’affermazione della sentenza dei Giudici di appello laddove escludeva la intervenuta definitività dell’accertamento in quanto alla data di entrata in vigore della normativa più favorevole al reo “non risultava pronunciata sentenza irrevocabile”.

Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente attesa la stretta connessione logica, sono fondate.

Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3 – entrato in vigore in data 1.4.1998: art. 30 – dispone che “se la legge in vigore al momento in cui è stato commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.

Il provvedimento irrogativo di sanzione pecuniaria – tanto se emesso a seguito di processo verbale di constatazione, quanto se emesso contestualmente all’avviso di accertamento di ufficio od in rettifica – diviene definitivo a seguito di mancata opposizione nel termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1 ovvero, in caso di tempestiva impugnazione avanti il Giudice tributario, con il passaggio in giudicato della sentenza che rigetta la opposizione del contribuente.

Nella specie risulta dalla stessa sentenza di appello che il Giudice di primo grado, ritenendo fondata la difesa svolta dall’Ufficio in ordine alla eseguita notifica in data 5.11.1997 degli avvisi di accertamento, aveva dichiarato la inammissibilità dei ricorsi proposti dal contribuente avverso le cartelle di pagamento in quanto tali atti (autonomamente impugnabili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d) non erano stati impugnati per vizi propri (come dispone Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3), ritenendo quindi privo di fondamento il motivo di ricorso con il quale il contribuente aveva denunciato il vizio di nullità delle cartelle per omessa notifica degli avvisi di accertamento presupposti.

Tale statuizione -come risulta dalla stessa sentenza di appello – non è stata oggetto di impugnazione da parte del contribuente (rimasto contumace in secondo grado) e dunque deve ritenersi coperta da giudicato (rilevabile ex officio anche nel giudizio di legittimità:

Corte cass. 3^ sez. 19.12.2000 n. 15950; id. sez. lav. 24.5.2001 n. 7088; id. 3^ sez. 31.7.2002 n. 11367; id. 5^sez. 22.1.2007 n. 1284).

Ne segue che, investita la sentenza di primo grado dallo specifico motivo di appello dell’Ufficio con il quale si contestava la applicazione delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al contribuente per intervenuta definitività degli avvisi di accertamento, i Giudici territoriali avrebbero dovuto rilevare la evidente contraddittorietà logica in cui era incorso il primo giudice (accertando, da un lato, la intervenuta definitività degli avvisi di accertamento ed irrogativi di sanzioni, notificati il 5.11.1997, per omessa impugnazione entro il sessantesimo giorno dalla data di notifica – 4.1.1998 -, e ritenendo illogicamente, dall’altro, applicabile la normativa più favorevole al reo di cui ai D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997 entrata in vigore successivamente alla definitività degli atti irrogativi) e conseguentemente. tenuto conto del giudicato interno formatosi sulla statuizione di inammissibilità dei ricorsi introduttivi, fare corretta applicazione della norma di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 escludendo – in accoglimento del motivo di appello formulato dall’Ufficio finanziario – la estensione del principio del “favor rei” alla fattispecie esaminata ed annullando in parte qua la sentenza di primo grado.

Del tutto errata si palesa, pertanto, l’affermazione dei Giudici di appello secondo cui gli atti irrogativi di sanzione non potevano ritenersi definitivi in quanto non risultava ancora pronunciata sentenza irrevocabile nei confronti del contribuente, Se tale affermazione, infatti, non può che essere riferita all’unico giudizio proposto dal contribuente, avente ad oggetto la impugnazione delle cartelle di pagamento, ne consegue che i giudicato formatosi in tale giudizio non assume rilievo in ordine alla definitività degli atti presupposti, tenuto conto che la definitività degli atti irrogativi di sanzione sì era già cristallizzata (alla data del 4.1.1998) in data anteriore alla stessa notifica dei ricorsi introduttivi in primo grado (tali ricorsi, come è dato rilevare dalla sentenza di appello, risultano notificati il 23 e 24 dicembre 1999) e che la pronuncia di inammissibilità di detti ricorsi – non investita da mezzo di gravame – è stata adottata dalla CTP di Nuoro proprio sul presupposto della preesistente definitività dei provvedimenti sanzionatori.

Gli effetti dell’acquisto della stabilità dell’accertamento compiuto dall’ente impositore (nella specie avviso di accertamento ed irrogativo di sanzione pecuniaria) sono ricollegabili, infatti, esclusivamente all’inutile decorso del termine di impugnazione previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1 ovvero all’accertamento giudiziale, divenuto irrevocabile, della legittimità del provvedimento solo qualora l’atto sia stato ritualmente impugnato ai sensi della predetta norma, ma non anche quando la opposizione sia proposta (senza che ricorrano ipotesi di rimessione in termine) oltre il termine di decadenza, nel qual caso la inammissibilità del ricorso deriva proprio dalla inoppugnabilità ed insindacabilità dell’atto amministrativo presupposto determinatasi anteriormente alla stessa instaurazione del giudizio.

Il ricorso deve pertanto essere accolto e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., comma 3 in quanto la causa non poteva essere proposta.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, dichiarate compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze;

– accoglie il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate e per l’effetto cassa la sentenza impugnata senza rinvio in quanto la causa non poteva essere proposta;

– condanna la parte resistente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per onorari oltre le spese prenotate a debito, dichiarando compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2011

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