Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2044 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. III, 28/01/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 28/01/2021), n.2044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28135-2019 proposto da:

A.T., rappresentato e difeso dall’avv.to ANTONIO

ALMIENTO con studio in Oria, Vico Corte Santa Susanna 18

(almiento.antonio.coabrindisi.legalmail.it) ed elettivamente

domiciliato in Roma, piazza Cavour presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE LECCE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 879/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 20/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. DI FLORIO ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. A. alias A.T., proveniente dalla Nigeria Edo State, ricorre affidandosi a sei motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Lecce con la quale era stata respinta l’impugnazione avverso le pronuncia del Tribunale che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale, declinata nelle varie forme gradate, in ragione del diniego opposto dalla Commissione Territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di avere abbandonato il proprio paese di origine, giovanissimo nel 2014, a seguito della morte dei suoi genitori, assassinati da un gruppo cultista: egli temeva, infatti che, rimasto da solo, rischiava di subire la loro stessa sorte.

2. La parte intimata non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi di gravame; si duole, altresì, dell’apparenza della motivazione, con violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6.

1.1. Assume che la Corte territoriale aveva formulato una valutazione di inattendibilità del racconto apodittica, omettendo di adempiere al dovere di cooperazione istruttorio rispetto al quale avrebbe dovuto accertare la sussistenza del fumus persecutionis attraverso canali diplomatici ed informazioni “oggettive ed esterne” relative alla situazione del paese di provenienza.

1.2. Deduce, altresì, che la motivazione del provvedimento impugnato era stata estesa con un modello predefinito, frutto di tecnica “copia ed incolla”, priva di specifico riferimento alla condizione personale dedotta.

3. Con il terzo motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per inadempimento del dovere di acquisire informazioni aggiornate sul paese di origine con violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; deduce altresì il contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili.

4. Con il quarto motivo, si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 e dell’illegittimo diniego della protezione sussidiaria, cui assumeva di aver diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine: deduce, al riguardo, che la Corte non aveva valutato il danno grave al quale era esposto in caso di rientro in patria, non considerando che il rischio era ravvisabile anche nella condizione in cui, anche se le ragioni della fuga erano riconducibili ad una vicenda privata, lo Stato non era in grado di offrire adeguata protezione.

5. Con il quinto motivo lamenta ancora, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017, all’art. 110 Cost e 3CEDU: deduce che era stata negata la concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, pur versando in una condizione rispetto alla quale era vietata l’espulsione.

Aggiunge che era stata apoditticamente esclusa la sua vulnerabilità.

6. Con il sesto motivo, infine, prospetta la nullità del decreto e del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in quanto i giudici d’appello non avevano acquisito informazioni sulle condizioni del paese di origine; deduce, altresì, il contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e l’omessa, erronea ed insufficiente valutazione della situazione sanitaria interna, vista la dilagante epidemia di “febbre di lassa”.

7. I motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono strettamente connessi ed, alcuni, in parte sovrapponibili.

Il ricorrente, infatti, lamenta nella sostanza che la Corte territoriale:

a. aveva apoditticamente escluso la credibilità del suo racconto, con motivazione stereotipata e non riferita al caso concreto;

b. non aveva acquisito informazioni aggiornate sulle condizioni del paese di origine (EDO State) non avendo citato alcuna fonte informativa ufficiale aggiornata in relazione alla domanda di protezione sussidiaria;

c. non aveva considerato che la persecuzione ed il trattamento degradante che integra il danno grave può essere commesso anche da soggetti diversi dallo Stato per legittimare la concessione della protezione sussidiaria;

d. non aveva sufficientemente indagato sulla diffusione della “Febbre di Lassa” nella regione di provenienza, omettendo di acquisire dati aggiornati e fondati su fonti informative attendibili, riguardanti la diffusione dell’epidemia.

7.1. I primi cinque motivi, sintetizzati nei punti a), b) e c) sono inammissibili per le ragioni che seguono.

7.2. In punto di credibilità, infatti, la motivazione resa dalla Corte risulta fondata sull’osservanza della griglia valutativa prescritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed è al di sopra della sufficienza costituzionale: il racconto è stato valutato in modo globale e non atomistico (cfr. pag. 4 penultimo cpv della sentenza impugnata), ragione per cui la censura si traduce in una richiesta di rivalutazione di merito di questioni già esaminate e si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, ove sia sostenuta, come nel caso in esame, da argomentazioni logiche e coerenti, a nulla rilevando che il compendio istruttorio possa essere valutato anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, visto che, diversamente, il giudizio di legittimità si trasformerebbe, in un non consentito terzo grado di merito (cfr. ex multis Cass. 18721/2018; Cass. 7394 /2010; Cass. 13954/2007).

7.3. La stessa sorte deve essere riservata ai successivi quattro motivi: si osserva infatti che la Corte, nella valutazione della condizione sociopolitica dell’Edo State, regione che si trova nel sud della Nigeria, si è riferita a fonti ufficiali attendibili in quanto tratte dalle EASO Coi Meeting Report e dai report di Amnesty International del 2017 in osservanza del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 5, (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata); e, vale solo la pena di rilevare che il ricorrente non ha indicato quali diverse e più aggiornate fonti ufficiali la Corte avrebbe dovuto utilizzare per fornire sostegno all’assunto secondo il quale la condizione del paese di origine era diversa e ben più critica di quella descritta in sentenza, idonea a configurare una situazione tale da legittimare la concessione delle forma di protezione maggiore invocate (cfr., al riguardo, Cass. 4037/2020).

7.4. La complessiva censura, pertanto, si appalesa incongruente e come tale inammissibile.

8. Ma anche il sesto motivo, riferito all’omesso dovere di cooperazione istruttoria sulla condizione epidemica del paese di provenienza nel quale, in epoca di poco precedente alla proposizione dell’appello, si era diffusa la “febbre di lassa”, è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

8.1. Si osserva, infatti, quanto segue.

8.2. La questione è stata decisa dalla Corte territoriale sulla base del “documentato del Ministero dell’Interno prodotto” e delle dichiarazioni di un Ministro della Nigeria che in una intervista aveva dichiarato che i casi di malattia erano isolati e che il sistema sanitario si era organizzato per contrastare o limitare i contagi (cfr. pag. 10, secondo cpv della sentenza impugnata).

8.3. La critica a tale decisione, fondata sulla mancata acquisizione di fonti ufficiali aggiornate sulla specifica questione risulta, tuttavia, priva della trascrizione della corrispondente censura proposta dinanzi alla Corte territoriale che, secondo quanto riportato in ricorso, avrebbe rappresentato un fatto nuovo, sopraggiunto alla decisione di primo grado (cfr. Cass. 2784/2015; Cass. 18623/2016); risulta inoltre mancante di una specifica contestazione al “documentato del Ministero degli Interni” al quale la statuizione, in primis, mostra di riferirsi, rappresentando la principale ratio decidendi della pronuncia; risulta, infine, genericamente riferita “ai continui report settimanali a cura del NCDC – Centro del controllo delle epidemie, organi di informazione del governo federale nigeriano, allegati dalla difesa in corso di causa” dei quali non viene affatto specificato il contenuto, nè la sede processuale in cui essi potevano essere rinvenuti (cfr. Cass. 2784/2015).

8.4. La censura, pertanto, manca del tutto di autosufficienza e non consente alla Corte di apprezzare la fondatezza dell’errore denunciato. 9. In conclusione il ricorso è inammissibile.

10 La mancata difesa della parte intimata esime la Corte dalla decisione sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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