Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20439 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/07/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 19/07/2021), n.20439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9986 del ruolo generale dell’anno 2014,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia:

– ricorrente –

contro

B.D.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata in data 12 novembre 2013, n.

216.64.13;

udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 14 aprile 2021

dal consigliere Angelina Maria Perrino;

sentita la Procura generale, in persona del sostituto procuratore

generale De Augustinis Umberto, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dalla sentenza impugnata che in esito a una verifica fiscale svolta nei confronti di un fornitore, al quale l’Agenzia aveva contestato l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, scattò un accertamento induttivo nei riguardi di B.D., imprenditore individuale, in relazione ad alcune di quelle operazioni, in cui egli figurava come acquirente e per le quali fu recuperata l’iva, perché ritenuta indebitamente detratta.

In particolare, si prosegue in sentenza, alla verifica fiscale nei confronti del fornitore fecero seguito l’invio di un questionario a B., la successiva acquisizione di documentazione e poi l’avviso di accertamento, col quale l’Agenzia formulò una serie di rilievi, concernenti anche rapporti intrattenuti da B. con ulteriori fornitori, pure ritenuti fittiziamente interposti, in seno a una frode carosello, volti al recupero di maggiore materia imponibile ai fini dell’irpef, dell’irap, dei contributi previdenziali e dell’iva.

Il contribuente impugnò l’avviso, senza successo in primo grado. Di contro, la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello di B., in quanto ha ritenuto violato il contraddittorio procedimentale, sia perché non è stato redatto il processo verbale di chiusura delle operazioni, sia perché il contribuente non è stato informato delle conclusioni raggiunte dall’Ufficio anche in relazione ai rapporti intrattenuti con i fornitori, e comunque perché non è stato rispettato il termine dilatorio previsto dallo statuto dei diritti del contribuente, art. 12, comma 7.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, che affida a un unico motivo, cui non v’e’ replica.

In esito alla trattazione in Camera di consiglio, il giudizio è stato rimesso alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.

Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 c.p.c..

Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (art. 70 c.p.c., e art. 76 ord. giud.) – in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del D.L. n. 137 del 2020, citato art. 23, comma 8-bis, opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà – e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.

2. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia lamenta la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in combinazione con il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, perché il giudice d’appello avrebbe applicato la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, fuori dai suo ambito, sia in ragione della natura induttiva dell’accertamento svolto nei confronti di B., sia per il fatto che la verifica fiscale è avvenuta non già in relazione a lui, ma nei confronti di un suo fornitore. E a tanto aggiunge che comunque non v’e’ stata alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente, che ha, invece, avuto la possibilità d’interloquire con l’Ufficio a seguito della presentazione di un’istanza di adesione.

3. – Il ricorso è fondato.

4. – Occorre premettere che, nella vicenda in giudizio, l’accertamento non è stato preceduto da un accesso, ispezione o verifica nei confronti di B.D., ma si è tradotto in un accertamento cd. a tavolino, preceduto dall’invio di un questionario, e fondatosi anche sugli esiti di una verifica avvenuta nei confronti di un terzo.

4.1. – Ne deriva, quanto alle imposte dirette e all’irap, l’infondatezza della denunciata violazione trattandosi di ambito in cui non è previsto un obbligo generalizzato di preventivo contraddittorio, ossia al di fuori dalle ipotesi specificamente previste, non essendo annoverabile tra esse il disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (v. da ultimo Cass. n. 34209 del 20/12/2019, secondo la quale “in tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce per l’Ufficio una mera facoltà, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non un obbligo, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti”).

5. – Parimenti infondata è la doglianza quanto all’iva.

Questa Corte ha già stabilito che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, secondo cui l’avviso di accertamento non può essere emanato prima del decorso di sessanta giorni dalla consegna del “pvc”, non è applicabile qualora l’atto impositivo sia stato emesso sulla base di elementi derivanti da indagini nei confronti di terzi contribuenti: e ciò perché è il terzo che ha subito l’accesso ad essere legittimato ad eccepire la violazione della norma, in sede di ricorso contro l’atto a lui notificato (cfr., in particolare, Cass. 26 settembre 2012, n. 16354; 13 novembre 2013, n. 25515; 11 aprile 2018, n. 8890).

D’altronde, il medesimo D.P.R., art. 52, comma 6, prevede che debba essere redatto processo verbale “di ogni accesso” (vedi, al riguardo, Cass. 11 settembre 2013, n. 20770).

5.1. – E’ ben vero, tuttavia, che, con riguardo ai tributi armonizzati, e quindi all’iva, l’obbligo del contraddittorio preventivo discende direttamente dalla disciplina unionale, alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, sicché l’Amministrazione, ove adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari, è tenuta a mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (già Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, in C-349/07, Soprope’, punto 37; ex multis sentenza 22 ottobre 2013, in C276/12, Sabou, punto 38; sentenza 17 dicembre 2015, in C419/14, WebMindLicenses, punto 84).

La giurisprudenza unionale, peraltro, ha chiarito che qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione – in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze (come pure precisato, per il nostro ordinamento, da Cass. n. 701 del 15/01/2019) – comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (cd. prova di resistenza), ossia se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte di Giustizia, sentenze 1 ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware, in C-141/08, punto 94; 10 settembre 2013, M.G. e N. R., in C-383/13, punto 38; 26 settembre 2013, Texdata Software, in C-418/11, punto 84; 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, in C-129/13 e C-130/13, punti 79 e 79).

Il parametro di riferimento a tal fine e’, dunque, costituito dal principio di effettività – per il quale le modalità procedurali interne “non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione” – che, tuttavia, come anche recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia, “non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso” (sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C-430/19, punti 35 e 37). Non ha invece incidenza, quantomeno nel nostro ordinamento, il principio di equivalenza attesa l’inesistenza di regole procedurali specificamente dettate per l’imposizione in materia di iva.

5.2. – Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno poi utilmente precisato che il requisito in questione va inteso “nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali” ossia che “non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma e’, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato…, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto” (recentemente v. anche Cass. n. 20036 del 27/07/2018; Cass. n. 218 del 08/01/2019).

6. – Ciò vale, invero, anche nell’ipotesi in cui la lesione si sia realizzata rispetto ad accertamenti compiuti nei confronti di terzi per non essere stato il contribuente ascoltato riguardo ad essi.

Va sottolineato, sul punto, che le modalità di realizzazione del contraddittorio non sono a forma vincolata, essendo sufficiente (e necessario) che si realizzi in modo effettivo quali siano gli strumenti in concreto adottati, siano essi il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come, ad esempio, l’inoltro di questionari, il riconoscimento dell’accesso agli atti ovvero l’espletamento di altre attività che risultino funzionali a detto obbiettivo.

Le forme in concreto adottate – in assenza, come su osservato, di una disciplina che ne declini in modo specifico le conseguenze per l’inosservanza – assolvono una funzione solo strumentale rispetto all’obbiettivo di assicurare il contraddittorio, sicché esse, quale sia lo specifico ambito sostanziale su cui è lamentata l’intervenuta lesione del diritto di difesa, sono tutte ancorate al principio di effettività e, quindi, alla cd. prova di resistenza.

6.3. – Significativa sul punto è la giurisprudenza della Corte di giustizia con riguardo all’esercizio del diritto di accesso, che, con riguardo ai procedimenti tributari, è consentito nel nostro ordinamento nei limiti e alle condizioni previste dalla L. n. 241 del 1990, art. 24, comma 1, lett. b), e comma 2, ferma la generale previsione di cui al successivo comma 7, secondo il quale “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.

Sulla questione la Corte di giustizia ha rilevato che “Benché le autorità tributarie nazionali non siano soggette ad un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispongono né di comunicare d’ufficio i documenti e le informazioni a sostegno della decisione prevista, ciò non toglie che, nei procedimenti amministrativi relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile dell’IVA, un soggetto dell’ordinamento deve avere la possibilità di ricevere in comunicazione, su sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione dalla pubblica autorità al fine di adottare la sua decisione, a meno che non vi siano obiettivi di interesse generale che giustifichino la restrizione dell’accesso a dette informazioni e a detti documenti” (v. sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C-430/19, punto 31; in precedenza v. già sentenza del 9 novembre 2017, Ispas, C-298/16, punti 32 e 39).

Ha, tuttavia, posto in risalto che una eventuale violazione non è idonea, di per sé sola, a determinare l’ineludibile annullamento della decisione adottata poiché “il principio di effettività… non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi” potendo ciò derivare “soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso” (citata sentenza SC C.F. SRL, punti 35 e 37).

6.4. E’ opportuno precisare – da ultimo – che non è significativa, in senso contrario a fondare una più circoscritta nozione di effettività, la decisione della Corte di giustizia 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary Kft, in C-189/18, che si basa su presupposti in fatto e diritto affatto diversi da quelli qui in rilievo.

L’affermazione della Corte, difatti, si inseriva in un contesto in cui lo stesso diritto di difesa era negato dalla disciplina nazionale in discussione, intesa a tutelare, ma con una latitudine estrema, le esigenze di certezza del diritto.

La normativa ivi in giudizio (e la relativa prassi amministrativa), infatti, da un lato, vincolava l’Amministrazione finanziaria alle constatazioni di fatto e alle qualificazioni giuridiche già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo; dall’altro, esonerava la stessa dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova a suo carico, inclusi quelli tratti dai procedimenti connessi a causa del carattere definitivo delle decisioni così adottate; escludeva, infine, la possibilità per il giudice di riesaminare e mettere in discussione le prove e gli accertamenti già eseguiti.

Da ciò, dunque, la necessità per la Corte di Giustizia di stabilire con nettezza, senza accennare al temperamento della prova di resistenza (in realtà neppure pertinente alla problematica in esame), che l’Amministrazione finanziaria non può essere esonerata dall’obbligo di far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, compresi quelli provenienti dai procedimenti connessi avviati nei confronti dei suoi fornitori, nonché che il soggetto passivo non può essere privato del diritto di rimettere in discussione utilmente le constatazioni di fatto e le qualificazioni giuridiche compiute dall’Amministrazione nell’ambito dei procedimenti collegati.

La vicenda, quindi, involgeva profili e connotazioni attinenti alla stessa esistenza del diritto di difesa e non alle conseguenze della sua violazione, da cui l’estraneità delle relative questioni.

6.5. Venendo alla vicenda in giudizio, seppure debba essere dato atto che è mancato un diretto contraddittorio nella fase procedimentale in ordine ai dati ricavati dalla verifica svolta nei confronti del terzo e dagli elementi concernenti gli ulteriori fornitori di B. indicati in ricorso, non emerge che le complessive deduzioni nei gradi di merito, per come riportate nella sentenza impugnata, fossero idonee al superamento della prova di resistenza.

In altri termini, non è dato escludere che la lamentata violazione sia stata dedotta da B. dedotta solo in sé e per sé, neppure deducendo ulteriori elementi suscettibili di una diversa, anche solo potenziale, considerazione del merito dell’accertamento.

Da ciò dunque, l’accoglimento della censura.

7. – Il ricorso va quindi accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, affinché riesamini la vicenda, attenendosi ai principi indicati.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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