Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20438 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 17/10/2011), n.21438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19177-2009 proposto da:

L.F.C., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato BALSAMO PALMA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SERVIZINCOOP SOCIETA’ COOPERATIVA a R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE MEDAGLIE D’ORO 169, presso lo studio dell’avvocato MANNIAS

ITALA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DI

GIOVANNI ETTORE, DI GIOVANNI UMBERTO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 389/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/06/2009 R.G.N. 356/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

Udito l’Avvocato MANNIAS ITALA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Siracusa del 15-2-2005 L.F.C. esponeva di aver lavorato alle dipendenze della Servizincoop soc. coop. a r.l. dal 29-12-1995 al 30-6-2002, allorchè era stata licenziata, previo preavviso, per asserita scadenza del contratto di appalto delle pulizie con il CSA di Catania, già Provveditorato agli Studi, subentrato nel contratto di appalto stipulato tra la società e il Comune di Tremestieri Etneo, ai sensi del D.M. n. 184 del 1999.

In particolare assumeva che in data 13-6-2001 la società aveva inviato ai dipendenti addetti nelle scuole del detto comune preavviso di licenziamento per il 30-6-2001, data di scadenza del contratto di appalto. Successivamente, però, con lettera dell’1-10-2001, i dipendenti erano stati informati che in realtà, a seguito della proroga del contratto, il rapporto doveva ritenersi sospeso dal 1-7- 2001 al 16-9-2001 e ripreso con decorrenza 17-9-2001 sino al 31-10- 2001, venendo così annullata la precedente comunicazione ed assegnato un nuovo preavviso di licenziamento nel caso in cui alla data del 31-10-2001 non fosse intervenuta altra proroga.

La ricorrente aggiungeva, poi, che di fatto, essendovi stata la proroga in data 8-1-2002, aveva continuato a lavorare regolarmente sino al 30-6-2002, avendo nel frattempo ricevuto nuovamente, con lettera del 3-6-2002, il preavviso di licenziamento per la data dell’1-7-2002, atteso che il contratto di appalto sarebbe scaduto il 30-6-2002.

La L.F. impugnava quindi il licenziamento, assumendo che il contratto sarebbe stato prorogato anche per l’anno scolastico 2002/2003.

Accadeva, invece, che la società, nel settembre 2002, comunicava a tutti i dipendenti che li avrebbe riammessi in servizio solo se avessero presentato domanda per divenire soci della cooperativa.

Tanto premesso la ricorrente assumeva che il licenziamento era illegittimo in quanto:

non sussisteva il giustificato motivo addotto, essendo stato prorogato il contratto di appalto per l’anno scolastico successivo ed essendo il rapporto a tempo indeterminato;

il recesso era stato invece determinato da motivo illecito, a causa del rifiuto della ricorrente di sottoscrivere la domanda di ammissione a socia.

In secondo luogo la L.F. assumeva inoltre che nel corso del rapporto aveva svolto mansioni superiori, essendosi occupata, oltre che delle pulizie, anche dell’apertura e chiusura del plesso scolastico e dell’assistenza ai bambini nei locali adibiti al servizio mensa.

La ricorrente concludeva, quindi, per la declaratoria di nullità e/o illegittimità del licenziamento con la condanna della società alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno, nonchè per l’accertamento del diritto alla qualifica superiore di quarto livello del ccnl per le imprese di pulizia con la condanna della resistente al pagamento delle relative differenze paga, pari ad Euro 13.000, oltre accessori.

La società si costituiva eccependo la nullità del ricorso e la inammissibilità e improcedibilità della domanda, e, nel merito opponendo che il contratto di appalto era effettivamente cessato in data 30-6-2002 e che solo in data 15/16 settembre 2002 era stato stipulato con il C.S.A. di Catania un nuovo e diverso contratto di appalto.

Il Giudice adito, con sentenza del 28-11-2006 accoglieva parzialmente il ricorso dichiarando l’illegittimità del licenziamento impugnato, condannando la società alla immediata reintegra della ricorrente nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla data del 26-2-2003, oltre accessori, rigettando ogni altra domanda e condannando la resistente al pagamento delle spese.

La Servizincoop a r.l. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto integrale delle domande di controparte.

La L.F. si costituiva resistendo e proponendo appello incidentale per ottenere il riconoscimento dell’inquadramento superiore richiesto con le relative differenze retributive.

La Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 10-6-2009, accogliendo l’appello principale e rigettando quello incidentale, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, respingeva tutte le domande proposte dalla L.F. e compensava le spese di entrambi i gradi.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che effettivamente il contratto di appalto ebbe a cessare il 30-6-2002 e che nessun appalto vi era stato nel periodo dall’I-7-2002 al 15-9-2002, essendo poi intervenuto un nuovo appalto dal 16-9-2002 al 30-6-2003, di guisa che evidente era la sussistenza del giustificato motivo all’epoca del licenziamento, la quale non poteva venir meno per effetto della sopravvenienza del nuovo appalto dal 16-9-2002.

La Corte di merito evidenziava, inoltre, che, nel frattempo, in ossequio alla L. n. 142 del 2001, la cooperativa (di produzione e lavoro) aveva stabilito, con apposito regolamento, che avrebbe eseguito i lavori in appalto e realizzato lo scopo sociale soltanto a mezzo di soci lavoratori.

Infine, con riferimento al preteso inquadramento superiore, la Corte d’Appello rilevava che in ordine alle mansioni diverse da quelle di pulizia, comunque svolte non per disposizione del datore di lavoro ma su richiesta del personale insegnante estraneo al rapporto, neppure era stata fornita la prova dello svolgimento in modo prevalente.

Per la cassazione di tale sentenza la L.F. ha proposto ricorso con quattro motivi.

La Servizincoop soc. coop. a r.l. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 e della L. n. 300 del 1970, art. 18 lamenta che la Corte d’Appello avrebbe ritenuto “sufficiente, al fine di considerare giustificato il licenziamento intimato …, la previsione contrattuale del termine di scadenza dell’appalto di servizi, cui la lavoratrice era addetta”, in sostanza, “omettendo di prendere in considerazione elementi indispensabili per accertare la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quali la soppressione del posto di lavoro, la impossibilità di utilizzare la lavoratrice in azienda, la eventuale assunzione di altri soggetti in un termine congruo per svolgere le medesime mansioni”.

In particolare la ricorrente deduce che “la Servizincoop, del resto, non ha contestato la circostanza dedotta dalla lavoratrice, secondo la quale, alla riapertura delle scuole” la stessa società “ha continuato ad essere l’impresa appaltatrice del servizio di pulizie delle scuole di Tremestieri Etneo, consentendo ai dipendenti di riprendere a lavorare purchè accettassero di divenire soci”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando “insufficiente, apparente e contraddittoria motivazione su) fatto che il contratto di appalto, in esecuzione del quale si svolgeva il rapporto di lavoro, ebbe a scadere in data 30-6-2002 e che nessun appalto sussisteva nel periodo dall’I-7-2002 al 15-9-2002”, lamenta che la Corte territoriale, “dopo aver definito sterile la polemica fra le parti in ordine al fatto che, con la scrittura del 16-9-2002, il CSA di Catania e la Servizincoop abbiano posto in essere una proroga del precedente contratto di appalto o stipulato un nuovo contratto”, ha considerato “sussistente il giustificato motivo di licenziamento, dando per scontato” che si fosse trattato della “sopravvenienza di un nuovo appalto”, nonostante che il Ministero dell’istruzione con circolare n. 371 del 13-6-2002 avesse invitato i dirigenti del CSA a continuare ad avvalersi dei contratti di appalto in essere, con la garanzia del mantenimento dell’occupazione esistente, e nonostante il tenore letterale del contratto stesso.

La ricorrente deduce, quindi, che “così come era avvenuto per gli anni precedenti” durante il periodo di sospensione delle attività scolastiche anche il servizio di pulizia era sospeso, ma ciò non poteva giustificare il licenziamento essendo prevedibile che la impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa era solo temporanea.

Infine la ricorrente lamenta la illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di merito “presume che il contenuto della circolare ministeriale sia rimasto sconosciuto alla Servizincoop “fino a quando si verificarono i contatti con il CSA per la stipula dell’accordo con vigenza 16-9-2002″, in assenza di qualsiasi deduzione della Servizincoop sul punto e senza che la Corte abbia compiuto alcun accertamento sull’epoca in cui questo possa essere avvenuto, non esistendo in particolare alcun elemento che faccia escludere la conoscenza della stessa nella immediatezza della sua emanazione, come è plausibile per un soggetto sicuramente interessato”.

Con il terzo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 142 del 2001, della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 e degli artt. 1175 e 1375 c.c., in sostanza lamenta che la Corte territoriale ha applicato erroneamente la L. del 2001 “nel ritenere che essa imponesse alla Cooperativa il necessario utilizzo di soci lavoratori” ed ha errato anche “nel ritenere che la scelta di far lavorare solo quei dipendenti che avessero accettato di divenire soci della cooperativa” rientrasse nella libera determinazione dell’imprenditore e non fosse soggetta al sindacato giudiziale, in ordine alla verifica del giustificato motivo oggettivo del licenziamento.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2103 c.c. dell’art. 36 Cost. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato l’appello incidentale inteso ad ottenere l’inquadramento nel livello 4^ del ccnl delle imprese di pulizia con la condanna della Servizincoop al pagamento delle relative differenze retributive.

In particolare, premesso che la statuizione della sentenza di primo grado circa la ammissione ex 421 c.p.c. della documentazione prodotta dalla L.F. all’udienza di discussione non era stata oggetto di impugnazione, la ricorrente deduce che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. allorchè ha omesso di prendere in considerazione i documenti indicati.

La ricorrente lamenta inoltre che la Corte di merito avrebbe omesso i giudizio di attendibilità dei testi alla luce dei rilievi svolti nell’appello incidentale e, peraltro non avrebbe chiarito affatto perchè ha ritenuto che fossero le insegnanti a richiedere collaborazione al personale della Servizincoop. Infine la ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 2103 c.c. nel ritenere che la ricorrente dovesse provare la prevalenza delle mansioni di assistenza ai bambini, rispetto a quelle di pulizia dei locali scolastici.

Orbene, premesso che nella fattispecie va applicato l’art. 366 bis c.p.c., ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2010 n. 7119, Cass. 16-12-2009 n. 26364), osserva il Collegio che il ricorso risulta inammissibile per mancanza dei requisiti imposti dalla detta norma processuale.

L’art. 366 bis c.p.c., infatti, “nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 ovvero del motivo previsto da numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4- 2009 n. 8463) e “deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v.

Cass. 30-9-2008 n. 24339), Pertanto, come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui nuovamente enunciato ex art. 384 c.p.c., “è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte” (v. Cass. S.U. 26-3- 2007 n. 7258, Cass. 7-11-2007 n. 23153), non potendo, peraltro, il quesito stesso desumersi dal contenuto del motivo, “poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste proprio nell’imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglio esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità” (v. Cass. 24-7-2008 n. 2040, cfr. Cass. S.U. 10-9- 2009 n. 19444).

Nell’ipotesi, poi, prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come pure è stato precisato e va qui nuovamente enunciato, “l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione” e “la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (v. Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008 4309). Tale sintesi deve essere “evidente ed autonoma” – v. Cass. 30- 12-2009 n. 27680, Cass. 7-4-2008 n. 8897, Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603, Cass. 18-7-2007 n. 16002 – e non può essere ricavata implicitamente dall’esposizione complessiva del motivo stesso.

Orbene, nella fattispecie, la società ricorrente, che pur ha ampiamente illustrato i motivi di ricorso, non ha formulato alcun quesito di diritto e, con riferimento al secondo motivo e, in parte, al quarto motivo, neppure ha espresso in qualche modo una sintesi evidente ed autonoma dei vizi di motivazione denunciati (peraltro tali ultime censure risultano anche prive di autosufficienza, in quanto non risulta riportato il contenuto integrale dei documenti richiamati che sarebbero stati trascurati dalla Corte di merito).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente le spese liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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