Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20437 del 19/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/07/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 19/07/2021), n.20437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22442/2015 R.G. proposto da:

Caseificio Molise Srl e B.G., rappresentati e difesi

dall’Avv. Raffaello Lupi, con domicilio eletto presso lo stesso in

Roma via Fregene n. 67, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise

n. 79/3/15, depositata in data 24 marzo 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio della pubblica

udienza del 14 aprile 2021, fissata ai sensi della L. n. 176 del

2020, art. 23, comma 8 bis, dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Lette le conclusioni formulate dal Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale De Augustinis Umberto, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Letta la memoria dell’Avv. Raffaello Lupi per i contribuenti, con cui

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, a seguito di indagine bancaria, emetteva nei confronti della società Caseificio Molise Srl, nonché di B.G., socio unico della Srl, avvisi di accertamento per l’anno 2005 per Iva, Ires e Iva (e per Irpef quanto al socio).

L’Ufficio, in particolare, rilevava che dal conto corrente intestato a C.R., nipote di B.G., emergevano consistenti movimentazioni; queste, peraltro, dalle dichiarazioni rese dall’interessato, erano interamente ascrivibili allo zio; le dichiarazioni venivano confermate dal B., che riconosceva la titolarità delle somme come riferibili all’attività di compravendita di prodotti caseari svolta con ditta individuale. L’Agenzia, attesa la sostanziale inattività della ditta individuale, carente di mezzi e strutture organizzative, riteneva la movimentazione bancaria, e le relative operazioni, riferite alla società Caseificio Molise Srl, di cui il B. era socio totalitario.

L’impugnazione proposta dai contribuenti era rigettata dalla CTP di Isernia. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

Caseificio Molise Srl e B.G. propongono ricorso per cassazione con due motivi, poi illustrato con memoria.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.

Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 c.p.c..

Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (art. 70 c.p.c. e art. 76 ord. giud.) in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del D.L. n. 137 del 2020, citato art. 23, comma 8-bis opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.

1.1. Sempre in via preliminare va dichiarato inammissibile il controricorso per essere stato notificato solo in data 4 novembre 2015 a fronte dell’avvenuto ricevimento del ricorso in data 18 settembre 2015 e, dunque, in violazione dei termini ex art. 370 c.p.c..

2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 per aver la CTR ritenuto legittimo l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio pur in assenza di attività ispettiva, né controllo sulla contabilità.

2.1. Il secondo motivo denuncia nuovamente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 per aver la CTR omesso di considerare i costi ai fini della rideterminazione induttiva del reddito d’impresa e per aver ritenuto la domanda non proposta in sede di gravame.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Occorre sottolineare che l’accertamento induttivo cd. puro ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, può legittimamente fondarsi sulle indagini bancarie dalle quali emerga, anche per l’entità del reddito evaso (nella specie l’ammontare delle movimentazioni rilevate era di Euro 1.069.135,17 a titolo di versamenti e di Euro 993.157,81 a titolo di prelevamenti), una situazione di totale inattendibilità della contabilità dell’impresa, senza che ne derivi l’ineludibile svolgimento di una attività ispettiva presso il contribuente.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), infatti, prevede che può essere operata rettifica (accertamento induttivo-analitico) “se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari di cui all’art. 32, comma 1, nn. 2) e 4) dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi del n. 3) dello stesso comma, dalle dichiarazioni di altri soggetti previste negli artt. 6 e 7, dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, inoltre, dopo aver disposto che “in deroga alle disposizioni del comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lett. d) del precedente comma”, così fondando la possibilità dell’accertamento induttivo extra-contabile, individua poi, nelle lettere successive le ipotesi in cui tale attività è consentita e in particolare, alla lett. d), “quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”.

Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili” (Cass. n. 33604 del 18/12/2019; Cass. n. 6861 del 08/03/2019) atteso che, nel primo caso, l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza non sono tali da consentire di prescindere dalle stesse, mentre nel secondo caso le omissioni o le false e inattendibili indicazioni sono così gravi da inficiare anche gli altri dati contabili.

Il dettato delle disposizioni sopra richiamate, peraltro, non esige che il riscontro di un tale presupposto debba necessariamente derivare da una ispezione o verifica presso il contribuente, ben potendo emergere anche da altri elementi, tra cui possono rientrare, come esplicitamente richiamato, anche le ispezioni presso altri soggetti, dichiarazioni di terzi, indagini bancarie.

3.2. Sotto tale versante, poi, occorre rilevare che, nella vicenda in esame, la ricorrenza del suddetto presupposto fondante la procedura induttiva non è neppure stata posta in dubbio dai ricorrenti, che si sono limitati a sostenere la necessità di una ispezione presso la società contribuente e di una verifica della contabilità.

Una tale verifica, peraltro, è stata, con accertamento in fatto, espressamente ritenuta priva di rilievo da parte della CTR che, da un lato, ha affermato che “nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate ha rettificato le dichiarazioni dei redditi presentate dalla società e dal socio in base ad elementi di natura presuntiva ritenuti di tale gravità da far ritenere che, in realtà, le movimentazioni accertate sul conto intestate al nipote del B. fossero imputabili ad attività esercitate dalla società di cui il B. stesso è socio unico, legalmente amministrata dalla moglie. Gli elementi valutati a tal fine sono: 1) l’identica attività sostanzialmente svolta dalla ditta individuale del B. e dalla società “Caseificio Molise Srl” (anche se quest’ultima, come detto, produce i prodotti che commercializza); 2) l’inesistenza di una struttura imprenditoriale idonea in disponibilità della ditta individuale, priva di mezzi e personale; 3) l’incapacità del B. di fornire i nominativi dei clienti e dei fornitori; 4) il rapporto di coniugio con il legale rappresentante della società; 5) la proprietà dell’intero capitale sociale da parte del ricorrente. Nessuno dei ricorrenti ha eccepito la fondatezza dei fatti utilizzati dall’amministrazione finanziaria; resta incontrovertibilmente superato il dato che la ditta individuale del B. era ed è inattiva, che non aveva e non ha beni strumentali e personale adeguati a giustificare il volume di affari così consistente e che a tutt’oggi non è dato sapere chi fossero i clienti ed i fornitori di un’impresa inattiva. Sulla base di questi dati, l’Agenzia delle entrate ha provveduto a notificare l’avviso di accertamento”, mentre, dall’altro, ha posto in rilievo le dichiarazioni rese sia dal legale rappresentante della società (“attesta con parole proprie che l’effettivo beneficiario economico dell’attività della “Caseificio Molise Srl” e il proprio marito”) e dello stesso B. (“il quale insiste nel riferire tali attività ad una ditta che lui stesso non contesta essere inesistente”), sì da raggiungere la conclusione sull’evidente totale inattendibilità della documentazione contabile che “correttamente l’amministrazione ha imputato a ricavi i movimenti bancari… prescindendo dalla contabilità e dai bilanci di impresa a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2”.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

La censura, infatti, oltre a non aver riprodotto – come su rilevato – l’avviso di accertamento, non ha neppure adeguatamente riprodotto l’atto di appello in cui il motivo sarebbe stata proposto.

A fronte della espressa e chiara affermazione della CTR secondo la quale “sul punto va peraltro evidenziato che l’imputabilità a costi delle somme prelevate o comunque il riconoscimento dell’incidenza dei costi sui ricavi rettificati non sono stati oggetto di motivi di appello, nemmeno in via subordinata”, il contribuente si è limitato a riprodurre il seguente passo del proprio ricorso in appello: “tale conclusione, inoltre, nonostante l’opinione contrarla della CTP, sarebbe confermata dal mancato riconoscimento del costi in ipotesi di accertamento induttivo, espressamente previsto dalla Circolare n. 32/E del 2006 e ribadito anche di recente dalla Suprema Corte (da ultimo sent. 14206 del 3 agosto 2012 ove si precisa “(…) l’ufficio finanziario, quando accerta induttivamente i ricavi, è tenuto anche a determinare induttivamente i costi”)””.

Questa indicazione, del tutto estrapolata dal contesto in cui è stata formulata, oltre ad essere obbiettivamente poco chiara, non essendo comprensibile a quale “conclusione” il testo si riferisca e risultando il riferimento ai costi non autonomo ma solamente a rafforzamento della suddetta “conclusione”, non permette in sé neppure di apprezzare se essa integrasse una autonoma domanda ovvero un semplice passaggio argomentativo di altra e diversa censura.

4. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021

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