Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20435 del 28/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/09/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 28/09/2020), n.20435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19839-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 43,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO LOVISOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2011 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA,

depositata il 22/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/11/2019 dal Consigliere Dott. MELE FRANCESCO.

Per la cassazione della sentenza della commissione tributaria

regionale della Liguria n. 86/2011 depositata il 22 giugno 2011, non

notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 novembre 2019 dal relatore, consigliere Dott. Mele Francesco.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale di Genova di accoglimento del ricorso proposto da S. srl avverso avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero a tassazione del costo relativo alle fatture facenti capo alla ditta A.M., soggetto fittiziamente interposto, e la relativa imposta sul valore aggiunto.

– A sostegno del gravame -si legge nella sentenza della CTR- l’ufficio ribadiva “in fatto e in diritto quanto contenuto nell’atto impositivo impugnato: la società contribuente aveva fittiziamente interposto la ditta A.M. quale esecutrice materiale di lavori edilizi e i suoi dipendenti, in realtà assunti in nero, abbattendo costi ed IVA in misura corrispondente alle fatture emesse da A.”.

– Controdeduceva la contribuente concludendo per il rigetto dell’appello e spiegando, a sua volta, appello incidentale con cui censurava la sentenza di primo grado per avere respinto l’eccezione pregiudiziale afferente la nullità della verifica da parte della Direzione regionale delle Entrate e la conseguente illegittimità dell’accertamento fondato su di essa nonchè l’eccezione afferente l’illegittima acquisizione della documentazione posta a base dell’accertamento.

– Con la predetta sentenza la CTR rigettava l’appello dell’Agenzia e stabiliva che “l’infondatezza dell’appello principale determina l’improcedibilità dell’appello incidentale subordinato proposto dalla società”.

– Per la cassazione della menzionata sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a tre motivi.

– Resiste con controricorso la società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che

– I tre motivi che costituiscono il ricorso recano, rispettivamente:

– 1) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

2) “Omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per la soluzione della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

– 3) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

– Il motivo n. 1 è fondato. Ha errato la CTR ad affermare che “non risulta affatto provata l’interposizione fittizia”. Invero -osserva il collegio- del tutto correttamente la sentenza impugnata ha applicato la norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 nonchè quella di cui all’art. 2697 c.c., dal momento che l’inesistenza di passività dichiarate ovvero le false indicazioni possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti. Nella specie risulta -per come è dato leggere nella stessa sentenza impugnata, laddove essa richiama la sentenza del tribunale di Chiavari che ha assolto il S.R. dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 – che “l’ A. era un evasore totale”, “incassava gli assegni allo sportello anzichè farli transitare sui c/c bancari”, mancava “qualsivoglia genere di contabilità, [NDR: testo originale non comprensibile].

– Il motivo n. 2 resta assorbito.

– Il motivo n. 3 censura la sentenza per avere affermato che “il giudicato penale di assoluzione di S. ha ex art. 654 c.p.p. efficacia preclusiva nel giudizio a quo”. Il motivo è fondato alla stregua di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità -al quale il collegio intende dare continuità- secondo il quale la sentenza di proscioglimento o di assoluzione in sede penale non ha l’efficacia preclusiva ritenuta dalla CTR, stante l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale; una siffatta sentenza si caratterizza come un semplice elemento probatorio da apprezzarsi insieme agli altri da parte del giudice (ex plurimis, n. 17619 del 5.7.2018).

– Conclusivamente, sono accolti i motivi nn. 1 e 3, assorbito il n. 2; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto e potendo pertanto decidere la controversia nel merito, il collegio rigetta il ricorso originario.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso come in motivazione; compensa le spese del doppio grado del merito e condanna la resistente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 1.800,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 settembre 2020

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