Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20435 del 25/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/08/2017, (ud. 16/06/2017, dep.25/08/2017),  n. 20435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15579-2016 proposto da:

V.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FISCHIONI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI FERRAJOLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 521/67/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI MILANO, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata il

25/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

Con sentenza in data 14 dicembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 610/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Brescia che aveva accolto il ricorso di V.F. contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES, IRPEF, IVA 2004. La CTR osservava in particolare che la decisione del primo giudice doveva considerarsi errata sul punto, ritenuto dirimente/assorbente, della decadenza dell’Ente impositore dalla potestà di emettere l’atto impositivo impugnato per decorso del termine di legge, affermando appunto il contrario.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Considerato che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poichè la CTR ha affermato non essere spirato il termine decadenziale dalle medesime previsto per l’esercizio della potestà impositiva.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati” (Sez. 5, Sentenza n. 16728 del 09/08/2016, Rv. 640966 – 01); ed ancora più specificamente che “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l’IRPEF e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015″ (Sez. 5 -, Sentenza n. 26037 del 16/12/2016, Rv. 641949 – 01).

La sentenza impugnata è pienamente conforme a tali principi di diritto in tutti i loro profili e dunque specularmente risulta palese l’infondatezza della censura in tutte le sue articolazioni, in particolare per quanto riguarda l’intervenuta prescrizione del reato ipotizzato (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4) e per quanto riguarda lo jus superveniens evocato (L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130, 131 e 132).

Sotto quest’ultimo profilo, va in particolare ribadito (Sez. 5, n. 16728 del 09/08/2016) che “La disciplina transitoria, per conseguenza, è articolata su due piani: a.- qualora gli avvisi di accertamento, sia pure relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, non siano stati ancora notificati, si applica la disciplina dettata dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132; b.- qualora, invece, gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati, si applica la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2. La salvezza contemplata da quest’ultima norma, riferendosi senza distinzione agli effetti degli avvisi, non può che riguardare l’intero corredo disciplinare, sul piano delle conseguenze, scaturente dal diritto vivente, dinanzi sunteggiato, al cospetto del quale è destinata a cedere l’applicabilità immediata delle norme introdotte nel 2015 in tema di raddoppio dei termini, derivante dalla loro natura procedimentale. Nè si può invocare il principio del favor rei, l’applicazione del quale è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando, come nel caso in esame, si tratti dei poteri di accertamento dell’ufficio (in termini, v. anche Cass., ord. 6 ottobre 2014, n. 21041; conf., ord. 6 novembre 2015, n. 22744)”.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative, poichè la CIR ha affermato detto principio di diritto anche con riguardo all’IRAP.

La censura è fondata.

Non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è infatti evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis.

Il ricorso va dunque accolto in relazione al secondo motivo, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va accolto il ricorso originario della contribuente limitatamente all’IRAP.

Stante l’esito alterno dei giudizi di merito e tenuto conto della reciproca soccombenza in quello di Cassazione, le spese processuali possono essere integralmente compensate tra le parti.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso della contribuente limitatamente all’IRAP; compensa integralmente le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2017

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