Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20434 del 29/07/2019

Cassazione civile sez. II, 29/07/2019, (ud. 30/01/2019, dep. 29/07/2019), n.20434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11553-2015 proposto da:

O.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 80, presso lo studio dell’avvocato ANNA (ANNAISA) GARCEA,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO BORELLO;

– ricorrente –

contro

V.C., M.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA LIVORNO 20, presso lo studio dell’avvocato SAIRA DI EUGENIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato FERDINANDO PIETROPAOLO;

– controricorrenti –

e contro

MA.MA.RO., P.A., P.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 413/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 24/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo, assorbito il secondo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREOZZI Claudio con delega depositata in udienza

dell’Avvocato BORELLO Pietro, difensore della ricorrente che si

riporta agli atti e chiede l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PIETROPAOLO Ferdinando, difensore dei resistenti che

si riporta agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Oggetto del ricorso per cassazione è la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, pubblicata il 24 marzo 2015, che ha rigettato l’appello principale proposto da O.F. avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia n. 645 del 2008, ed ha accolto parzialmente l’appello incidentale proposto da V.C. e M.G..

1.1. La controversia fu introdotta nel 2002 dalla sig.ra V. per l’accertamento dell’inesistenza di diritti esclusivi della sig.ra O. su parti comuni dell’edificio ubicato in (OMISSIS), e per la condanna della convenuta al risarcimento del danno.

1.1. La convenuta contestò la pretesa, assumendo di avere acquistato i beni in contestazione con l’atto pubblico 17 gennaio 1999 e di averli sempre utilizzati in via esclusiva, come già i danti causa, e propose domanda riconvenzionale per ottenere la rimozione di alcuni manufatti e il risarcimento del danno.

L’attrice, a sua volta, con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, che fosse accertata la nullità parziale dell’atto pubblico 17 gennaio 1999 nonchè la proprietà condominiale delle parti dell’edificio indicate nell’atto di citazione.

1.2. Il Tribunale, previa autorizzazione alla chiamata in causa degli eredi di Ma.Ni., dante causa della convenuta, e di M.G., coniuge dell’attrice, accolse per quanto di ragione la domanda dell’attrice. Secondo il predetto giudice, il portone d’ingresso, il cortile interno e il vano scala erano parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1117 c.c., e la convenuta ne faceva un utilizzo illegittimo in quanto contrastante con il disposto di cui all’art. 1102 c.c., sicchè era tenuta a rimuovere tavolini e sedie dalle parti comuni e il paletto di ferro che ostacolava l’accesso al cortile con veicoli.

2. La Corte d’appello, adita dalla O., ha rilevato preliminarmente che si era formato il giudicato interno sul rigetto della domanda, formulata dall’attrice, di accertamento della nullità parziale dell’atto pubblico 17 gennaio 1999, ed ha conseguentemente disposto l’estromissione degli eredi Ma. dal giudizio. Nel merito, in parziale accoglimento del gravame incidentale, ha dichiarato che anche il porticato d’ingresso costituiva parte comune dell’edificio, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2.1. Secondo la Corte territoriale era corretta la statuizione del Tribunale, che aveva escluso che l’atto di compravendita 17 gennaio 1999 costituisse titolo contrario alla presunzione di condominialità, e il Tribunale non era incorso nel vizio di omessa pronuncia sull’eccezione di usucapione, che non era stata proposta.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza O.F., sulla base di due motivi, ai quali resistono V.C. e M.G. con controricorso. Il ricorso, già chiamato in decisione nella camera di consiglio prevista dall’art. 375 c.p.c., comma 1 e art. 376 c.p.c., comma 1, è stato rimesso alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

2. Con il primo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè la Corte d’appello ha ritenuto non formulata, nel giudizio di primo grado, la domanda o l’eccezione riconvenzionale di usucapione.

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. e si contesta l’omessa pronuncia sull’eccezione di usucapione formulata nell’atto di appello.

4. Il primo motivo è fondato e assorbe il rimanente.

4.1. Diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello (pag. 7 della sentenza), l’esame diretto degli atti, consentito dalla natura processuale del denunciato vizio (ex plurimis, Cass. 02/02/2017, n. 2771), dimostra che la convenuta aveva contrastato la pretesa dell’attrice assumendo di essere proprietaria esclusiva dei beni in contestazione sia in forza di titolo d’acquisto (rogito di compravendita 17 gennaio 1999) sia per averli posseduti. Se ne ha conferma, del resto, dalla stessa sentenza d’appello, che nello “svolgimento del processo” dà atto che la convenuta si era difesa deducendo “(…) che i beni in contestazione erano sempre stati utilizzati da lei e dai suoi danti causa come unici ed esclusivi proprietari e che da oltre venti anni gli spazi dell’atrio erano utilizzati per l’attività di pizzeria”.

Con tale deduzione la convenuta aveva introdotto, al fine di paralizzare la domanda dell’attrice, il tema dell’acquisto della proprietà esclusiva per usucapione, e non era necessaria alcuna altra specificazione perchè il giudice dovesse prenderla in esame.

4.2. Come ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice, la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova (ex plurimis, Cass. 06/04/2017, n. 8986; Cass. 08/01/2015, n. 40; Cass. 24/11/2010, n. 23851). E difatti, in coerenza con tale impostazione, si reputa non necessaria la riproposizione in appello del tema dell’acquisto a titolo originario, ove non esaminato in primo grado, per consentire al giudice dell’impugnazione di decidere sulla base di tale titolo, sempre che sussistano già gli elementi di prova, erroneamente pretermessi dal primo giudice (da ultimo, Cass. 17/10/2017, n. 24435).

4.3. Nel caso di specie, il giudice di primo grado avrebbe dovuto esaminare e pronunciare sull’eccezione di usucapione al fine di stabilire se, anche sotto tale profilo, fosse o non superata la presunzione ex art. 1117 c.c. di proprietà comune in campo ai condomini dei beni in contestazione.

In senso contrario non può essere condivisa la tesi dei resistenti, secondo i quali il giudicato interno sulla inidoneità del titolo derivativo (rogito 17 gennaio 1999) a trasferire i beni in contestazione alla O. impedirebbe, in ogni caso, l’accessione del possesso finalizzata all’usucapione. Si tratta di tesi che implica la valutazione di questioni neppure prospettate in sede di merito, e perciò sottratte al sindacato di legittimità.

5. All’accoglimento del primo motivo di ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice designato in dispositivo, il quale procederà all’esame dell’eccezione di usucapione e provvederà anche a regolare le spese di lite del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il rimanente, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa sezione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2019

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