Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20433 del 29/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 29/07/2019), n.20433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21437-2018 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA BASSAN;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI PADOVA, PROCURATORE GENERALE

DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1446/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/04/2019 dal Presidente Relatore Dott. DI VIRGILIO

ROSA MARIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza del 25/5/2018, la Corte d’appello di Venezia ha respinto l’impugnazione proposta da D.M., proveniente dalla Costa d’Avorio, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso la pronuncia del Tribunale di Venezia, di rigetto della domanda intesa ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale, ed in subordine umanitaria. La Corte del merito, nello specifico, ha ritenuto che l’intera vicenda, come riferita (il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito per sottrarsi alle minacce di morte provenienti dalla matrigna per ragioni ereditarie), non era riconducibile ad alcuna forma di persecuzione legittimante il riconoscimento dello status di rifugiato, come già ritenuto dal Tribunale, con statuizione non censurata; ha escluso la protezione sussidiaria, rilevando che le notizie diffuse dal Ministero dell’Interno sul sito “(OMISSIS)” sono dettate per tutt’altri fini per evitare situazioni di pericolo o generico disagio e che, sotto altro profilo, le notizie assunte dalla stampa e dal web da siti attendibili, erano tali da indurre ad escludere situazioni di conflitto armato o di pericolo generalizzato che avrebbero potuto impedire il rientro del ricorrente nel Paese di origine; ha escluso la ricorrenza non solo del danno grave, ma anche delle situazioni rispondenti ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla protezione umanitaria, il ricorrente, osserva la Corte d’appello, non aveva segnalato alcuna condizione personale evidenziante la ricorrenza dei “gravi motivi di carattere umanitario”, nè potevano a riguardo valorizzarsi le eventuali condizioni di instabilità politica o le carenze socio economiche di carattere generale, non costituenti peculiari condizioni personali legittimanti la richiesta di protezione umanitaria.

Ricorre D.M. sulla base di un unico mezzo.

Si difende con controricorso il Ministero.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello ha valutato superficialmente la sitazione socio politica della Costa d’Avorio, travisando le fonti ufficiali fatte valere dalla parte; sostiene che v’è tendenza al rilascio del permesso umanitario per soppererire all’assenza di altre tipologie di permesso di soggiorno per lo straniero integrato sul territorio; che la giurisprudenza di legittimità impone la verifica della specifica situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel paese di origine, in comparazione con le condizioni di vita in Italia, per verificare se il rimpatrio possa comportare la privazione dei diritti umani.

Il motivo è inammissibile.

Come già detto sopra, la Corte del merito ha respinto l’appello in relazione al diniego della protezione umanitaria, rilevando che tale protezione è accordabile avuto riguardo alle condizioni personali del richiedente, “avente come presupposto la violazione dei diritti umani nel paese di provenienza (Cass.sez.6-1, Ordinanza n. 26641 del 21/12/2016) o la ricorrenza di speciali situazioni che giustifichino una accoglienza temporanea per una transitoria più tenue protezione…” e che nella specie, non era ritraibile dalla vicenda personale narrata dalla parte alcuna condizione di vulnerabilità nè erano a riguardo valorizzabili la situazione di sottosviluppo del Paese di provenienza o le carenze socio economiche diffuse.

Ora, a fronte di detta compiuta argomentazione, del tutto coerente con i principi affermati da questa Corte (vedi, tra le ultime, l’ordinanza 4455/2018, che ha affermato che, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza), il ricorrente si limita ad invocare la ratio dell’istituto in oggetto, a richiamare giurisprudenza di merito e di legittimità in maniera del tutto generica ed astratta rispetto al caso concreto, in modo del tutto slegato dal rilievo precipuo della Corte d’appello, relativo alla mancata allegazione di condizioni personali evidenzianti la ricorrenza dei “gravi motivi di carattere umanitario”.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2019

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