Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20432 del 26/09/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20432 Anno 2014
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: SCODITTI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso 18020-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2014
1537

BRIGATTI CLAUDIO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA SILVIO PELLICO 2, presso lo studio dell’avvocato
FESTUCCIA FABIO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato BLAGA VINCENZO giusta delega
a margine;

Data pubblicazione: 26/09/2014

- controricorrente
avverso la sentenza n. 57/2007 della COMM.TRIB.REG.

Adh

14 Al BOOM

i MTh.14O, depositata il 28/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/04/2014 dal Consigliere Dott. ENRICO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine per l’accoglimento
del ricorso.

SCODITTI;

t-

…..

Svolgimento del processo
Brigatti Claudio proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento con cui
l’Ufficio aveva provveduto a rettificare il reddito ai fini IRPEF, IVA, IRAP per
l’anno di imposta 1999 sulla base dei parametri di cui al D.P.C.M. 29 gennaio
1996. La CTP accoglieva il ricorso. L’appello dell’Ufficio veniva disatteso dalla
Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sulla base della seguente

giudizio di primo grado, senza indicare i motivi specifici dell’impugnazione e, in
particolare, gli elementi del calcolo dal quale era scaturito l’accertamento
presuntivo del maggior reddito, che non poteva fondarsi sulla mera differenza
tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dei parametri,
soprattutto quando nell’avviso di accertamento non vengono indicati i
presupposti di fatto e il ragionamento adottato dall’Ufficio per determinare il
presunto scostamento. In secondo luogo il D.P.C.M. 29 gennaio 1996 è un atto
di normazione secondaria assunto in violazione dell’art. 17 1. 400/1988, che
dispone l’acquisizione preliminare del parere del Consiglio di Stato.
Ha proposto ricorso per gassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di
quattro motivi. Resiste con controricorso il contribuente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 53 d. leg. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Deduce la
ricorrente che erroneamente è stato reputato inammissibile il gravame per
mancanza di motivi specifici, laddove l’art. 53 si limita a richiedere ai fini della
specificità dei motivi una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, e,
come affermato dalla Corte di eassazione (Cass. 16 giugno 2006, n. 14031), la
riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a base dell’atto
impugnato dal contribuente assolve l’onere di impugnazione specifica.
Il motivo è inammissibile. Come è reso chiaro dal quesito formulato ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la censura ha ad oggetto l’inammissibilità
collegata alla mancanza di motivi specifici nell’atto di appello. Il motivo, così
come formulato, non ha attinenza con la pronuncia impugnata la quale non si è
tradotta in una valutazione di inammissibilità dell’appello per mancanza dei

1

motivazione. L’appellante si era limitato a riproporre i motivi già formulati nel

_.
..
motivi specifici dell’impugnazione (art. 53, comma 1, d. leg. n. 546/1992), ma
ha svolto il riesame di merito della vicenda, reputando che insufficiente fosse
l’indicazione degli elementi di calcolo e che l’accertamento presuntivo di
maggior reddito non potesse basarsi sulla mera differenza fra ricavi dichiarati e
quelli ‘risultanti dall’applicazione dei parametri, a Parte il rilievo di illegittimità
del D.C.P.M..
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 3, comma 181, I. 549/95 e 39 d.p.r. 600/1973, in relazione all’art. 360 n.
3 c.p.c. Lamenta la ricorrente che erroneamente la CTR ha ritenuto che la
pretesa impositiva non può essere basata unicamente sulla differenza fra
reddito dichiarato e reddito risultante dall’applicazione dei parametri in quanto
l’accertamento per parametri rientra fra le metodologie di cui all’art. 39 d.p.r.
600/73 in base a quanto previsto dall’art. 3, comma 181, l. 549/95. Aggiunge
che la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione dei
coefficienti presuntivi di reddito (c.d. redditometro), stabiliti dal D.P.C.M. 29
gennaio 1996, dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore
prova, spostando sul contribuente l’onere della prova.
Il motivo è inammissibile. Ratio decidendi non è solo il rilievo secondo cui
l’accertamento presuntivo del maggior reddito non può fondarsi sulla mera
differenza tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dei
parametri, ma anche quello secondo cui non sono indicati gli elementi del
calcolo dal quale è scaturito l’accertamento presuntivo dei maggior reddito,
soprattutto, si aggiunge in motivazione, quando nell’avviso di accertamento
non vengono indicati i presupposti di fatto e il ragionamento adottato
dall’Ufficio per determinare lo scostamento fra ricavi dichiarati e quelli risultanti
dall’applicazione dei parametri. L’accoglimento del motivo lascerebbe
sopravvivere la seconda parte della

ratio decidendi, la quale non è stata

oggetto di specifica impugnazione.
Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione
dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c. Lamenta la ricorrente
che la questione dell’ illegittimità del D.C.P.M. non è mai stata sollevata dal
contribuente, sicché la sentenza è viziata da extrapetizione.

2

.

SENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R 2614/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5
MA1T.RIA TRIBUTARIA

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 39 d.p.r.
600/1973, 3, commi 181-188, I. 549/1995, 17 I. 1988/400, D.P.C.M. 29
gennaio 1996, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Deduce la ricorrente che
erronea è la valutazione in termini di illegittimità del D.P.C.M. 29 gennaio 1996
per omessa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, in quanto il decreto
in questione non è norma regolamentare

secondo motivo determina la sopravvenuta carenza di interesse della
ricorrente in quanto la decisione resta comunque fondata sull’ulteriore ratio
decidendi avente ad oggetto il merito dell’accertamento effettuato dall’Ufficio.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso
delle spese processuali che liquida in euro 5.600,00 per compenso, oltre euro
200,00 per esborsi ed oneri di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 23 aprile 2014
Il consiglie

st.

Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili. L’inammissibilità del

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