Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20432 del 16/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2021, (ud. 23/06/2021, dep. 16/07/2021), n.20432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

D.M.A.E., socia della società (OMISSIS) S.R.L. in

liquidazione, rappr. e dif. dagli avv. Giulia Zambelloni

avvgiuliazambelloni.cfnpec.it, Niccolò Nisivoccia

niccolo.nisivoccia.milano.pecavvocati.it, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Antonio de Notaristefani di Vastogirardi, in Roma,

via Lungotevere dei Mellini n. 44, come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. IN LIQ., in persona del cur. fall. p.t.;

M.M.;

N.L.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Brescia 11.12.2018, n.

1914/2018, in R.G. 1205/2018.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. D.M.A.E., nella qualità di socia della società fallita (OMISSIS) S.R.L. in liquidazione, impugna la sentenza App. Brescia 11.12.2018, n. 1914/2018, in R.G. 1205/2018, che ha rigettato il suo reclamo, proposto ai sensi della L. Fall., art. 18, avverso la sentenza Trib. Cremona 14.6.2018 dichiarativa del fallimento societario;

2. la corte ha premesso che: a) il tribunale aveva evidenziato che dagli ultimi bilanci della società in liquidazione – non costituitasi – emergeva, per gli anni 2015 e 2016, uno squilibrio patrimoniale, con esposizione oltre la soglia dei 30.000 Euro e debito tributario di 78.000 Euro; b) con il reclamo, e previa sospensione della liquidazione dell’attivo ai sensi della L. Fall., art. 19, aveva proposto impugnazione la socia, dando rilievo al fatto che – sulla non costituzione del fallimento – i creditori M.M. e N.L., dapprima costituiti e con richiesta di rigetto, poi producevano distinti atti di rinuncia agli atti del giudizio (depositati il 10.10.2018 e, rispettivamente, all’udienza del 21.11.2018), deducendo di essere stati soddisfatti;

3. la corte ha ritenuto che: a) la revoca non può essere fondata sulla rinuncia agli atti da parte di N. e M., restando essa irrilevante, in quanto espressa non anteriormente alla pubblicazione della sentenza di fallimento, bensì nel corso del giudizio di reclamo; b) sussistono i requisiti di fallibilità ai sensi della L. Fall., art. 1, posto che il bilancio relativo all’anno 2017 non risultava essere stato depositato presso il registro delle imprese, inoltre i ricavi nel 2016 erano di Euro 509.900,00 e nel 2015 erano di Euro 217.698,00, punto sul quale la reclamante nulla aveva dedotto; c) non vale ad escludere lo squilibrio patrimoniale della società in liquidazione l’impegno assunto dai soci in sede di approvazione del bilancio 2017 (assemblea del 28 maggio 2018), se anche questo fosse stato valutabile ai fini del giudizio (perché non depositato presso il registro delle imprese), di ripianare la perdita di esercizio mediante versamento in conto capitale di Euro 129.534,00, poiché la valutazione dello stato di insolvenza è da condursi avendo riguardo alla concretezza ed attualità degli elementi attivi del patrimonio sociale, non al semplice “impegno” assunto dai soci, tutti elementi comprovanti il sostanziale non equilibrio rispetto al passivo;

4. la ricorrente deduce in due motivi: a) la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 6, avendo la corte ritenuto priva di rilevanza la rinuncia dei creditori poiché intervenuta nel corso del giudizio di reclamo, pur costituendo essa condizione per l’apertura della procedura e il suo mantenimento, pena la violazione del divieto di fallimento d’ufficio; b) la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 5, avendo la sentenza, nella valutazione circa l’insolvenza della società, escluso dagli “elementi attivi del patrimonio sociale” i crediti verso i soci, senza alcun riscontro della illiquidità sociale rispetto alle passività correnti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1; il ricorrente sostiene che la rinuncia agli atti dei creditori avrebbe rilevanza (cioè dovrebbe comportare la revoca della sentenza di fallimento) anche se successiva alla sentenza di fallimento, come nel caso di specie, in cui l’atto di rinuncia è stato prodotto nel corso del procedimento di reclamo; si tratta di ricostruzione contrapposta ad un principio di diritto affermato e più volte ribadito da questa Corte, senza nuovi argomenti già non considerati, per cui la rinuncia agli atti dei creditori istanti assume rilevanza, e quindi comporta l’estinzione del processo o comunque la definizione negativa delle relative istanze o richieste, solo se avvenuta in un momento precedente alla dichiarazione di fallimento, mentre se risulta successiva alla relativa pubblicazione assume i tratti della irrilevanza (Cass. 8980/2016, Cass. 16278/2016, Cass. 16180/2017, Cass. 21276/2017, Cass. 25688/2017, Cass. 32850/2018, Cass. 13187/2020);

2. è stato invero ritenuto che, al più, la rinuncia (o l’atto di desistenza del creditore) condiziona negativamente la permanenza della sentenza di fallimento solo se espressiva di una estinzione del credito provatamente anteriore alla dichiarazione di fallimento, benché l’atto rappresentativo sia acquisito in giudizio in un momento successivo (Cass. 33116/2018) e, si aggiunge, ne sia provato ogni requisito di eventuale intrinseca opponibilità; così Cass. 16122/2019 ha statuito che “la desistenza conseguente all’estinzione dell’obbligazione fa venir meno la legittimazione del creditore istante al momento della dichiarazione di fallimento se il pagamento risulti avvenuto in epoca antecedente a questa, con atto di data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c.”; la vicenda di causa, peraltro, non riflette l’ipotesi, posto che i creditori M.M. e N.L. addirittura si erano costituiti nel giudizio di reclamo, chiedendone il rigetto, mutando le proprie conclusioni, e dunque rinunciando agli atti, solo nelle more del procedimento avanti alla corte d’appello;

3. invero già Cass. 16180/2017, dando continuità all’indirizzo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006, ha statuito che nell’impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento “hanno rilievo esclusivamente i fatti esistenti al momento della stessa e non quelli sopravvenuti, perché la pronuncia di revoca del fallimento, cui l’opposizione tende, presuppone l’acquisizione della prova che non sussistevano le condizioni per l’apertura della procedura, alla stregua della situazione di fatto esistente al momento in cui essa venne aperta”; e dunque anche tra tali condizioni va annoverata, in termini di attualità al momento della decisione, la domanda di fallimento, considerato che la stessa dichiarazione non costituisce un fatto privato, ma una situazione d’interesse anche pubblicistico, per l’esigenza di definizione concorsuale più tempestiva ed adeguata possibile alla crisi dell’impresa implicata (Cass. s.u. 9409/2013), come altresì comprovato dalla perdurante iniziativa cui è legittimato il Pubblico Ministero e il flusso informativo di cui è possibile destinatario da ogni procedimento civile (Cass. 9857/2012, Cass. 9858/2012; Cass. 19927/2017);

4. il secondo motivo è inammissibile; per costante indirizzo di legittimità, la valutazione dello stato di insolvenza ai sensi della L. Fall., art. 5, in caso di società in liquidazione, deve essere effettuata tramite l’accertamento degli elementi attivi del patrimonio sociale, idonei a consentire l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali e non può prescindere dalla valutazione della concretezza ed attualità di essi (Cass. 642141/2001; Cass. 25167/2016; Cass. 23437/2017; Cass. 18137/2018); il relativo sindacato è rimesso, in via esclusiva, al giudice di merito, risultando incensurabile in sede di legittimità siffatto apprezzamento di fatto (Cass. 7252/2014; Cass. 6978/2019);

5. anche di recente, si è ribadito poi che, per le società in liquidazione, la nozione di insolvenza resta distinta da quella propria delle società in esercizio, dovendosi adattare, in applicazione del criterio patrimoniale, alla sola esigenza che gli elementi dell’attivo siano tendenzialmente bastanti ad assicurare l’eguale e integrale pagamento dei debiti sociali; con la liquidazione la vocazione economica del soggetto non è più quella di restare nel mercato, bensì di procedere al soddisfacimento dei creditori esattamente con la liquidazione delle attività; se è vero allora che non è necessario che la società sia dotata di un eccesso di liquidità, per fronteggiare i pagamenti, l’avvicendamento allo scopo lucrativo di quello liquidatorio implica però che la consistenza del suo attivo sia assunta in una dimensione di valori effettivi, cioè nell’unica prospettiva rilevante, che è quella del realizzo (Cass. 28193/2020);

6. tanto più che, nella specie, la sussistenza di due posizioni creditorie impagate, rappresentate e provate nell’istruttoria avanti al tribunale e rinunciate solo dopo, comprova che comunque la società aveva debiti scaduti e non era in grado di farvi fronte al momento della decisione; così come risultavano debiti fiscali per 78.000 Euro, su cui i motivi nulla deducono, mentre non appare riportato criticamente, rispetto all’accertamento condotto dal giudice di merito, il raffronto tra tale esposizione riscontrata e le richiamate disponibilità liquide, anche nella prospettiva dell’alternativo soddisfacimento immediato ed ordinario, al di fuori del criterio patrimoniale;

il ricorso è dunque inammissibile; sussistono i presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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