Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20431 del 16/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2021, (ud. 24/06/2021, dep. 16/07/2021), n.20431

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

Mavi Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa in calce al

controricorso, dagli Avv.ti Andrea Parlato e Franco Paparella, che

hanno indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo

studio del secondo, al corso d’Italia n. 19 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 630, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia il 29.1.2015, e pubblicata il 19.2.2015;

ascoltata, in Camera di Consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Di Marzio Paolo.

la Corte osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. l’Agenzia delle Entrate, a seguito di Processo Verbale di Costatazione elevato dalla Guardia di Finanza il 27.6.2007, e regolarmente portato a conoscenza della società, notificava il 20.12.2010 (sent. CTR., p. 2) alla MAVI Spa, esercente l’attività di commercio di veicoli industriali nuovi ed usati, l’avviso di accertamento n. TY303A100295 2010, mediante il quale contestava il conseguimento di un maggior reddito d’impresa in relazione all’anno 2006, da cui derivavano maggiori tributi, a titolo di IRES (Euro 845.534,00), IVA (Euro 404.202,00) ed IRAP (Euro 128.112,00), oltre recupero ritenute (Euro 20.796,00) (controric., p. 3 s.), sanzioni e accessori, per l’importo complessivo di Euro 2.666.945,00 (sent. CTR, p. 2). I rilievi riguardavano “costi non inerenti, costi non di competenza, componenti positivi non dichiarati, violazioni relative al sostituto d’imposta” (ibidem). Gli importi di maggiore rilevanza risultavano dipendere dal disconoscimento della deducibilità di costi relativi all’acquisizione di autoveicoli usati ricevuti in permuta, per l’importo di Euro 2.021.007,35 (ric., p. 2), nonché di costi relativi ad una consulenza commerciale “effettuata dal Sig. M.M. (amministratore unico della società che si era dato un auto-incarico)” (ibidem), per l’importo di Euro 180.000,00.

2. Esperita senza successo procedura di accertamento con adesione (ric., p. 3), la contribuente impugnava l’avviso di accertamento, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, proponendo censure formali e di merito. I giudici di primo grado ritenevano per larga parte fondata l’opposizione proposta dalla società, confermando l’accertamento soltanto in relazione al recupero di ritenute non operate e non versate per il valore di Euro 11.268,40; in riferimento ad oneri non deducibili per il valore di Euro 25.726,03; nonché in relazione alla “mancata applicazione della ritenuta di acconto del 20%, pari a Euro 466,67” (sent. CTR, p. 2).

3. L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la decisione adottata dalla CTP, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, rinnovando le proprie contestazioni. La società si costituiva in giudizio per resistere, e proponeva pure impugnazione incidentale. In particolare, l’Amministrazione finanziaria censurava la decisione della CTP in ordine alle conseguenze fiscali della gestione imprenditoriale della contribuente, che sosteneva di aver adottato la pratica commerciale di sovrastimare il valore dichiarato dei veicoli usati che acquisiva in permuta, e poi rivendeva al ridotto prezzo di mercato, evitando in tal modo di dichiarare al permutante che, in realtà, poteva essergli praticato un ampio sconto sul prezzo di acquisto dell’automezzo di cui riceveva la consegna. Avendo ripetuto l’operazione in relazione ad un numero elevato di autoveicoli, secondo l’Ente impositore la MAVI Spa aveva attuato “una modalità operativa tendente ad eludere i ricavi” (sent. CTR, p. 4). La CTR rigettava sia l’appello principale sia l’appello incidentale, e confermava la decisione di primo grado.

4. Avverso la decisione adottata dalla CTR di Palermo ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a sei motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso la MAVI spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre rilevare che non si riscontra l’inammissibilità del ricorso, per non avere l’impugnante compiutamente descritto l’oggetto del giudizio e lo svolgimento del processo, vizio affermato dalla controricorrente, essendo anzi proprio grazie alle indicazioni fornite dalla ricorrente che è possibile ricostruire in misura sufficiente l’oggetto del contendere, stante le talora troppo scarne indicazioni fornite dalla sentenza impugnata.

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2697 e 2727 c.c., in cui è incorsa la CTR, in materia di conseguenze fiscali della sopravvalutazione degli autoveicoli ricevuti in permuta dalla società.

3. Mediante il secondo strumento di impugnazione, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ente impositore critica la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, nonché degli artt. 2697 e 2727 c.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che risultassero deducibili “costi “non di competenza” dell’anno 2006, pari ad Euro 319.469,61″ (ric., p. 14).

4. Con il suo terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle Entrate censura la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 109, oltre che dell’art. 2697 c.c., in cui è incorsa la CTR, erroneamente affermando la deducibilità dei costi, in relazione alla consulenza svolta, per conto della società, dal suo amministratore unico: M.M..

5. Mediante il quarto strumento di impugnazione, operando riferimento a quanto censurato a p. 9 dell’atto di appello, l’Amministrazione finanziaria torna a lamentarsi in materia di consulenza svolta dal M., questa volta in relazione al profilo della omessa pronuncia, di cui all’art. 112 c.p.c., circa la contestata “inammissibilità” della produzione documentale offerta da controparte al fine di comprovare l’effettivo svolgimento della prestazione.

6. Con il quinto motivo di ricorso, sempre proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15, in cui è incorsa l’impugnata CTR per aver ritenuto fiscalmente irrilevante la mancata indicazione nella dichiarazione dei redditi, tra le rimanenze finali, dei veicoli acquistati e non ceduti nel corso dell’anno 2006.

7. Mediante il sesto motivo di ricorso, introdotto ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria critica la violazione degli artt. 2303 e 2433 bis. c.c., nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, per avere la CTR erroneamente ritenuto che risultasse legittima “la mancata effettuazione della ritenuta sull’importo di Euro 70.000,00 corrisposto a M.M.”.

8. Con il primo motivo di impugnazione, quello che assume sicuramente il maggior rilievo economico tra quelli proposti dall’Amministrazione finanziaria, l’Ente impositore critica, in relazione al profilo della violazione di legge, la valutazione operata dalla CTR in riferimento alla pratica commerciale dichiarata dalla società accertata. Quest’ultima ha ammesso che, come afferma essere consueto nel settore commerciale, nel ricevere in permuta i veicoli usati degli acquirenti dei suoi automezzi, per favorire lo scambio, dichiarava alla controparte di assicurarle una valutazione del suo veicolo usato, che il cliente consegnava, superiore ai valori di mercato, piuttosto che offrirgli uno sconto sul prezzo di acquisto del veicolo che riceveva. L’Ente impositore sostiene risultare pertanto un dato certo che, in relazione all’acquisizione da parte della MAVI Spa dei veicoli usati, rimanevano concluse operazioni antieconomiche. Scrive la ricorrente che “la condotta della società, consistente nella sovrastima dei mezzi ricevuti in permuta dai propri clienti (circa il 630% in più) e la loro successiva vendita al più congruo valore di mercato, aveva indotto l’Amministrazione a riprendere a tassazione i relativi costi non inerenti in quanto evidentemente gonfiati” (ric., p. 9). Pertanto, l’esposizione di costi non reali, ma comunque portati in deduzione, in relazione a molteplici operazioni commerciali, aveva giustificato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), la valutazione espressa dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha perciò ritenuto di dubitare, in considerazione del numero e del valore delle operazioni commerciali che presentavano simili caratteristiche, della veridicità e ragionevolezza non solo di tali operazioni commerciali, ma anche della complessiva contabilità aziendale. Ne consegue che l’onere della prova della regolarità delle operazioni commerciali, e quindi della deducibilità dei costi, secondo l’Ente impositore, doveva porsi a carico della società, che non aveva però assolto a tale onere in alcun modo.

8.1. La CTR, in proposito, ha osservato che pure la sentenza della Corte di legittimità n. 6337 del 2002, invocata dall’Agenzia delle Entrate, ha chiarito come “la contabilità debba considerarsi complessivamente inattendibile e quindi dare luogo all’accertamento ove sia confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente”, ed ha ritenuto che l’Agenzia non avesse fornito la prova di ciò. In particolare, “per quel che concerne il veicolo portato ad esempio delle operazioni ritenute irregolari sono stati forniti elementi dai quali è facile desumere come nel complesso l’operazione (supervalutazione dell’usato e vendita del nuovo) si sia conclusa con un profitto per la contribuente, superando così anche il rilievo di incomprensibilità dell’operazione e della non inerenza” (sent. CTR, p. 5). La valutazione espressa dalla CTR non appare condivisibile, alla luce della normativa vigente.

Premesso che l’Amministrazione finanziaria può contestare anche la deducibilità di una singola operazione commerciale, nel giudizio in esame ciò che manca è proprio l’analisi delle diverse operazioni commerciali di permuta/compravendita concluse dalla MAVI nell’anno in esame, e delle conseguenze sulla complessiva contabilità aziendale. Vero è che compete al giudice del merito la valutazione delle prove, come ricorda la contribuente (controric., p. 17), ma è anche vero che tale giudice deve dar conto di averle tutte esaminate, e quindi esprimere la sua valutazione. Si è già ricordato come l’Agenzia delle Entrate abbia sostenuto che la sopravvalutazione dei costi di acquisizione degli autoveicoli usati è risultata molte volte superiore al valore di mercato del bene. La valutazione circa la deducibilità dei costi, quando la contestazione attenga ad una pluralità di operazioni commerciali, deve allora essere effettuata con riferimento a ciascuna operazione conclusa, e non sulla base di quanto emerge da una sola operazione, presa ad esempio, e quindi in relazione all’attendibilità della contabilità aziendale nel suo complesso. Naturalmente la CTR potrebbe anche aver ritenuto che gli elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate in relazione alle diverse operazioni commerciali contestate, ad eccezione dell’unica che il giudicante ha preso in esame, difettassero di dati sufficienti ed attendibili perché potesse procedersi alla valutazione della economicità delle operazioni, ma nella decisione non vi è alcuna traccia di un simile argomento.

Ne discende, pertanto, che le censure proposte dall’Amministrazione finanziaria con il primo strumento d’impugnazione risultano fondate, e devono perciò essere accolte.

9. Mediante il suo secondo mezzo di impugnazione l’Amministrazione finanziaria censura la decisione adottata dalla CTR per aver ritenuto erroneamente deducibili costi, per un valore di Euro 319.469,61, sebbene gli stessi non potessero essere imputati, per competenza, all’anno 2006 in esame. La stessa controricorrente ha chiarito che secondo l’Agenzia delle Entrate la deduzione avrebbe dovuto essere operata nell’anno 2005, perché ritenuto quello di competenza (controric., p. 27), non negando che le fatture in questione sono state effettivamente emesse nell’anno 2005, mentre nell’anno 2006 “i clienti della MAVI… hanno acquistato il “nuovo” (controric., p. 28). Nessun dubbio, pertanto, secondo la società, che i costi fossero deducibili, rimanendo solo da valutare se lo fossero nell’anno 2006. In proposito la CTR afferma di voler confermare la valutazione espressa dal giudice di primo grado, secondo cui “l’imputazione in un anno diverso non comporta alcun danno erariale” (sent. CTR, p. 5).

9.1. A quanto è dato comprendere, la CTR ha ritenuto non giustificato il rilievo proposto dall’Ente impositore sul fondamento della (pretesa) neutralità fiscale dell’anno di imputazione di un costo. Questa tesi non appare condivisibile, perché contraria alla normativa vigente. A parte il fatto che imputare un costo in un anno oppure in un altro incide sulla contabilità aziendale, diversamente da quanto osservato dalla CTR, infatti, la legge prevede che i costi debbano essere dedotti nell’anno di competenza, e nel caso di specie non si comprende quali sarebbero le speciali circostanze che indurrebbero a ritenere legittima un’eccezione. In proposito può essere opportuno ricordare che questa Corte di legittimità ha statuito che “in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione; né l’applicazione di detto criterio implica di per sé la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza”, Cass. sez. V, 10.3.2008, n. 6331; ed ha pure recentemente confermato che “in tema di reddito d’impresa, il recupero dei costi in base al criterio di competenza temporale non determina una duplicazione di imposta in quanto la dichiarazione del costo in una determinata annualità consente l’accertamento dell’Ufficio sulla base del corretto impiego di detto criterio, non essendo consentito al contribuente di scegliere il periodo in cui registrare le passività secondo la propria convenienza, così da alterare i risultati economici dell’esercizio, mentre, in caso di effettivo pagamento per due volte della medesima imposta, dispone dei rimedi ordinamentali della dichiarazione integrativa e del rimborso”, Cass. sez. V, 15.7.2020, n. 15019.

La critica proposta dall’Agenzia delle Entrate risulta quindi fondata, ed anche il secondo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto.

10. Mediante il terzo ed il quarto motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura la valutazione operata dalla CTR, per aver ritenuto legittima la deduzione dei costi relativi ad una consulenza commissionata a sé medesimo, per il rilevante importo di Euro 180.000,00 (controric., p. 2), dall’amministratore unico della società, M.M..

Le critiche proposte dall’Agenzia delle Entrate sono diverse. Tentando di esaminarle secondo conseguenzialità, mediante il quarto, ed in parte anche il terzo strumento di impugnazione, la ricorrente critica la CTR per aver ritenuto “ammissibile” la produzione documentale, giustificativa della reale effettuazione della prestazione di consulenza, sebbene offerta solo in occasione del primo grado del giudizio dalla società, che invece nulla aveva prodotto in materia nel corso della fase amministrativa dell’accertamento. A tal proposito la censura proposta dall’Agenzia appare infondata, come evidenziato pure dalla controricorrente (controric., p. 38 ss.). L’Amministrazione finanziaria, infatti, neppure deduce di avere specificamente richiesto alla società la produzione della documentazione nel corso della fase amministrativa dell’accertamento, e tanto meno prova la ricorrenza della circostanza. La produzione nel primo grado del giudizio di questa documentazione, da parte della società, appare quindi legittima.

10.1. L’Agenzia delle Entrate propone le sue censure, però, anche osservando che la documentazione giustificativa prodotta dalla società, al fine di provare il reale espletamento dell’incarico, risulta comunque “quantomeno insufficiente a giustificare la deduzione del predetto componente negativo… non può essere ritenuta talmente rilevante da indurre a ritenere in tal modo soddisfatto l’onere probatorio circa l’esistenza ed inerenza dei componenti negativi del reddito” (ric., p. 18 s.). L’Amministrazione finanziaria rivolge la sua critica, pertanto, anche all’esistenza ed inerenza di una documentazione comunque allegata in atti, che risulti sufficiente ed idonea a giustificare la deduzione di costi per un valore molto rilevante. Nel concetto di esistenza della prestazione, invero, rientra anche la valutazione circa la sua riferibilità all’anno d’imposta in accertamento, oltre a doversi tener conto della sua inerenza e congruità, e su tali elementi la CTR nulla dice, ritenendo sufficiente affermare che l’incarico verbale, attribuito dall’amministratore unico della società a sé medesimo, “e’ compatibile con le finalità societarie” (sent. CTR, p. 6). L’analisi svolta dalla CTR, pertanto, risulta incompleta, perché si limita a valutare la possibile inerenza dell’incarico con le finalità sociali, senza esprimere alcun giudizio sulla prova dell’espletamento dell’incarico e della sua congruità, della ragionevolezza del compenso erogato.

Il giudice dell’appello si impegna anche a meglio giustificare la sua scelta, e scrive che “deve infine rilevarsi come esuli dai poteri dei verificatori, rilevata l’inerenza, valutare la qualità dell’opera prestata” (CTR, p. 6). Questa affermazione, per le conseguenze che la CTR ne trae, non appare condivisibile. E’ senz’altro vero che non compete ai verificatori sindacare le scelte gestionali effettuate dall’imprenditore, e quindi non compete loro valutare l’opportunità della scelta di nominare un consulente aziendale. Tuttavia è consentito ai verificatori dubitare non solo dell’inerenza, ma anche dell’esistenza e della congruità, della ragionevolezza, delle operazioni commerciali da cui il contribuente assume siano derivati oneri deducibili, ma su questo la CTR non ha espresso valutazioni. In proposito può ricordarsi come questa Corte di legittimità abbia già avuto occasione di chiarire che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973 e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente, il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa”, Cass. sez. V, 27.7.2013, n. 7701.

In relazione a tale profilo, pertanto, le contestazioni proposte dall’Ente impositore appaiono fondate e devono essere accolte.

11. L’Ente impositore critica anche, mediante il quinto motivo di ricorso, la mancata annotazione, tra le rimanenze finali (componenti positivi di reddito), del valore dei veicoli giacenti in magazzino (acquistati, e non rivenduti entro) il 31.12.2006, per un valore di Euro 41.747,48. Anche in questo caso deve osservarsi che, ove la condotta di mancata annotazione risulti accertata, l’irregolarità fiscale sussiste indubbiamente, ed il rilievo dell’Agenzia è in tal senso fondato, competendo al giudice del merito esprimere il proprio giudizio sulle conseguenze. Tuttavia, deve anche tenersi in considerazione una parte della pur sintetica motivazione dedicata all’argomento dalla CTR, la quale scrive che “pur ritenendo meritevole di attenzione l’argomentazione del primo giudice di insussistenza di evasione, non sussistendo, nella fattispecie, alcun danno erariale, non risulta che l’Agenzia abbia motivato il proprio atto con i criteri e le modalità per la determinazione del valore” (sent. CTR, p. 6), condividendo la CTR le osservazioni proposte in merito dalla società (controric., pp. 6, 43).

L’Agenzia delle Entrate non si confronta pertanto con la decisione adottata dalla CTR, non illustra come abbia inteso provare il valore delle rimanenze finali, ed il suo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

12. Con il sesto motivo di impugnazione l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la impugnata CTR, per aver ritenuto non illegittima l’omessa applicazione della ritenuta di Euro 14.000,00, in relazione alla somma di Euro 70.000,00 effettivamente versata dalla società all’amministratore unico M.M. nell’anno 2006. Secondo l’Agenzia delle Entrate la somma deve intendersi come un compenso riconosciuto all’amministratore, nonché socio unico, della MAVI Spa, ed è pertanto soggetta a ritenuta. La società, invece, sostiene che si tratti di una somma corrisposta quale anticipo sui dividendi, prelevata dai “fondi di riserva d’utili” (controric., p. 45). Il M., sentito dai verbalizzanti della Guardia di Finanza, ha ammesso che “in realtà sarebbe stato necessario convocare un’assemblea”, ma comunque “era ed è mio intendimento considerato che il sottoscritto risulta essere l’unico socio della società, formalizzare la distribuzione dei dividendi – ricomprendendo anche gli Euro 70.000,00 da me precedentemente prelevati – in sede di approvazione del bilancio al 31.12.2006” (controric., p. 45). La controricorrente, oltre ad affermare la legittimità dell’operazione, ha pure rilevato che se la somma di Euro 70.000,00 effettivamente corrispondeva ad un compenso, come afferma l’Amministrazione finanziaria, è vero che sarebbe stata soggetta a ritenuta, ma avrebbe anche dovuto considerarsi, per intero, come un costo deducibile, ma tanto non era stato però riconosciuto dall’Ente impositore.

La CTR ha scritto in proposito che, per quanto concerne “la presunta ritenuta non versata sull’importo di Euro 70.000,00 percepito dal M., l’appellante critica i primi giudici perché hanno accolto la versione offerta dal M. che la somma percepita fosse anticipo sui dividendi futuri, che essendo l’unico socio ed amministratore non necessitasse una delibera. Secondo l’Agenzia l’importo percepito avrebbe dovuto essere qualificato come acconto compenso amministratore e quindi soggetto a ritenuta. L’argomentazione della Commissione Provinciale può ben essere posta a fondamento della statuizione. Si può aggiungere che da parte dei verificatori qualora l’importo percepito fosse acconto sul compenso avrebbe dovuto essere considerato tra i costi. Tale rettifica non appare emergere e pertanto la ripresa appare non regolare” (sent. CTR, p. 6).

12.1. Deve allora innanzitutto osservarsi che la decisione assunta dalla CTR difetta di una propria motivazione. Non solo, infatti, il giudice dell’appello si limita a richiamarsi a quanto deciso dai giudici di primo grado, ma neppure riassume questi che cosa abbiano deciso, e tanto meno chiarisce perché intenda aderirvi.

12.2. Non solo. La critica proposta dall’Amministrazione finanziaria sottolinea che non ogni Spa può procedere alla distribuzione di anticipi sui dividendi, e quand’anche una società possegga i requisiti per procedervi, deve comunque osservare le formalità previste all’art. 2433bis c.c. Nulla attesta in proposito la CTR, ed elementi attendibili per ritenere che la procedura seguita dalla MAVI spa sia risultata del tutto estranea alle regole legali sono offerte dalle stesse dichiarazioni rese dal beneficiario, M.M..

Per completezza sembra ancora opportuno aggiungere che la deducibilità dei costi dipende in primo luogo dal fatto che il contribuente l’abbia domandata, e comunque non compete all’Agenzia delle Entrate riscrivere di propria iniziativa le dichiarazioni dei redditi dei contribuenti in conseguenza di eventuali errori da questi commessi.

Il sesto motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate risulta quindi fondato e deve essere accolto.

13. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve perciò essere accolto in relazione ai motivi primo, secondo, terzo e sesto, nei limiti di ragione esposti, respinti il quarto ed il quinto, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Palermo che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provvederà anche a disciplinare le spese del giudizio di legittimità tra le parti.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il sesto, motivo di ricorso proposti dall’Agenzia delle Entrate, nei limiti innanzi esposti, respinge il quarto ed il quinto, cassa la decisione impugnata e rinvia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, e provvederà anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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