Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2043 del 30/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2043 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso 25287-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE
NA
DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
em
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
rappresentante pro tempore,
DELLA FREZZA 17, presso l’AVV
l’AVVOCATURA C ENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso da gli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO,
TRIOLO VINCENZO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
PEDONE LAURA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato
MARGHERITA VALENTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato
PONZONE GIOVANNI GAETANO, giusta mandato speciale in
calce al controricorso;

Data pubblicazione: 30/01/2014

- controricorrentei avverso la sentenza n. 5502/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 26.10.2010, depositata il 02/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

PAGETTA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIUSEPPE
CORASANITI che si riporta alla relazione scritta.
Il Consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ.
ha depositato la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc.
civ. e 375 cod. proc. civ. :
“Con ricorso al Tribunale di Bari, Laura Pedone, operaia agricola a
tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps, chiedendo
venisse accertato il suo diritto alla differenza dell’indennità di
disoccupazione per l’anno 2002; la ricorrente – premesso che il
trattamento di disoccupazione le era stato corrisposto dall’Istituto sulla
base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995 sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece calcolato,
ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi retributivi
previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi compreso
l’elemento denominato t.f.r., con conseguente diritto alle differenze tra
quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata respinta dal giudice di primo grado,
sula base del presupposto che li elemento c.d. t.f.r. non facesse
parte della base di calcolo dell’indennità, mentre la Corte

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Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

07/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

d’appello di Bari, con sentenza depositata il 2 novembre 2010,
l’ha accolta integralmente.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per
cassazione — notificato in data 17-19 ottobre 2011 -, con tre
motivi.

La parte intimata ha notificato tardivamente (25-26
gennaio 2012) un controricorso, da ritenere pertanto
inammissibile.
Il procedimento è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c.
con le modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle
apportate dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.
Va premesso che la materia del contendere è limitata al
tema del computo del t. £r. sull’indennità di disoccupazione
agricola.
Va altresì premesso che non è applicabile ratione tempolis
al giudizio in esame la disposizione di cui all’art. 38, primo
comma lett. c) n. 2) del D.L. n. 98/2011, convertito nella L. n.
111 del medesimo anno, che al quarto comma limita
l’applicazione immediata della stessa ai giudizi di primo grado
in corso alla data della entrata in vigore del decreto (6 luglio
2011).
Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione
dell’art. 47 D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 e successive
modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente,
lamentando la violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n.
98/2011, convertito in L. n. 111/2011 e, in via subordinata,
degli artt. 46, 51 e 55 del CCNL per gli operai agricoli e
florovivaisti del 2002 in relazione all’art. 6, comma 4°, lettera a)
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Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

del d.lgs. n. 314/97 nonché in relazione agli artt. 1362 e ss.,
2120 cod. civ. ed all’ artt. 4 commi 10 0 e 11 0 legge 297/82,
censura, in via logicamente subordinata, la sentenza unicamente
per avere incluso nella retribuzione da prendere a base per la
liquidazione dell’indennità di disoccupazione anche la voce

denominata “quota di TFR”, la quale invece non dovrebbe
esserlo, per avere essa — contrariamente a quanto affermato la
Corte territoriale — effettiva natura di retribuzione differita.
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo
e manifestamente fondato nel secondo e nel terzo, qui trattati
unitariamente.
Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R.
30 aprile 1970 n. 639 stabiliva quanto segue.
‘Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta
l’azione dinanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod.
proc. civ.
L’azione gindiziaria può essere proposta entro il termine di dieci
anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del
termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di
controversie in materia di trattamenti pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque
anni dalle date di cui al precedente comma se trattasi di controversie in
materia di prestazioni a carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e
dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria”.
Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103,
convertito con modificazioni nella legge 10 giugno 1991 n. 166,
ritenuto da Corte Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di
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Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

interpretazione autentica dell’art. 47 D.P.R. n.639/70, venne
poi stabilito:
“1 — I termini previsti dall’art. 47, commi secondo e terzo del
D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per
l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale . la decadenza

determina l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni
previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda giudiziale. In caso
di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono
dall’insorgenza del diritto ai singok ratei.
2 — Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia
retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di
entrata in vigore de/presente decreto”.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi
secondo e terzo del citato art. 47 sono stati successivamente
sostituiti dai seguenti:
‘Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione
giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre
anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata
dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine
stabilito per la pronunzia della predetta decisione ovvero dalla data di
scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento
amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della
richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui
all’art. 24 della legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere
proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui
al precedente commd’ .
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le
disposizioni indicate “non si applicano ai procedimenti istaurati
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Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

anteriormente alla data di entrata in vigore de/presente decreto ancora in
corso alla medesima data”.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del
D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del
medesimo anno, ha aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma,

del seguente tenore: ‘Le decadenze previste dai commi che precedono si
applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di
prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito.
In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della
prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al quarto
comma che “Le diiposizioni di cui al comma 1, ktt c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del
presente decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la
giurisprudenza consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa
Corte (da ultimo, sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n.
12720 – che ribadisce le tesi della precedente Cass. S.U. 18
luglio 1996 n. 6491-, d.r., ad es., Cass. 20 gennaio 2010 n. 948 e
26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui interessa e fino
alla citata recente novella del 2011, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di
prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo
parzialmente dall’ente previdenziale.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n.
12720 del 29 maggio 2009, componendo un contrasto di
giurisprudenza insorto nell’ambito della sezione lavoro,
avevano affermato che ‘la decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile
1970, n. 639, art. 47 – come interetato dal D.L. 29 marzo 1991, n.
103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L 1 giugno 1991, n. 166
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Ric. 2011 n. 25287 sez. MI – ud. 07-11-2013

- non può trovare applicnione in tutti quei casi in cui la domanda
giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestnione prevideniale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestnione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come
avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo

o in errate interpretnioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto
una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che
non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata
nuovamente rimessa da un collegio della sezione lavoro, con
ordinanza interlocutoria depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071,
alle sezioni unite di questa Corte, sulla base del rilievo che
l’interpretazione prevalente non apparirebbe giustificata dal
tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma,
la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di azione in materia
di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione
alle sezioni unite della Corte e la data dell’udienza avanti a
queste ultime, la citata novella di cui all’art. 38, primo comma,
lett. d) del recente D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge
n. 111/’11, è stata quindi disposta la restituzione degli atti alla
sezione lavoro, sulla base della considerazione della necessità di
valutare la persistenza del proposito di investire della questione
le sezioni unite, alla luce della valutazione della eventuale
incidenza delle norme di legge citate sulla interpretazione del
l’art. 47, vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova
disciplina, esprimendo il proposito del legislatore di modificare
in materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola
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Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

preesistente, quale consolidatasi per effetto delle recente
pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma indirettamente
la corrispondenza di quest’ultima all’originario contenuto
dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle

sezioni unite della Corte e l’indiretta conferma della sua
correttezza proveniente dallo stesso legislatore convincono in
definitiva il collegio della inapplicabilità dell’art. 47 del D.P.R.
30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate
dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di richiesta di
riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente
riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
Essendosi la Corte territoriale attenuta a tale regola, il
primo motivo di ricorso dovrebbe essere respinto.
Sono invece manifestamente fondati il secondo e il terzo
motivo.
In proposito, si ricorda che questa Corte ha
ripetutamente enunciato, ad es. con la sentenza n. 202/2011,
con riferimento a fattispecie analoghe a quella in esame, il
seguente principio:

“Confermandosi quanto già ritenuto dalla

precedente sentenza di questa Corte n. 1054612007 per cui ai fini della
liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di
retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a
confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del D.lgs. 16 aprile
1997 n. 146 – non è comprensiva del trattamento di fine rapporto, va
ulteriormente affermato che, sulla base del suddetto principio, la voce
denominata `quota di ’11-R” dai contratti collettivi vigenti a partire da
quello del 27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di
disoccupazione, in considerazione della volontà espressa dalle parti
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Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione di cui
all’art. 3 D.L. 14 giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29 luglio 1996
n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenzicrli, la retribuzione dovuta
in base agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità
rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta

voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti,
non è ravvisabik alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte
dell’autonomia collettiva.”
Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il
significato della norma di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del
1997 individuato dalla giurisprudenza sopra citata è stato
esplicitato anche dal legislatore, che all’art. 18, comma 18° del
D.L. n. 98 del 2011, convertito nella legge n. 111 dello stesso
anno, ha specificato che “L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile 1997 n.
146 e l’art. 1, comma 5° del D.L 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con
modilicazioni dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso
che la retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore
degli operai agricoli a tempo determinato non è comprensiva della voce del
trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla contrattazione
collettiva”.
Ove si condivida il testé formulato rilievo, il ricorso
andrebbe accolto.”
Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono
del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata
giurisprudenza in materia. Ricorre con ogni evidenza il presupposto
dell’art. 375, comma 1°, n. 5 cod. proc. civ. , per la definizione
camerale. Pertanto, non essendo necessari ulteriori accertamenti in
fatto, la causa viene decisa nel merito
9
Ric. 2011 n. 25287 sez. ML – ud. 07-11-2013

__

La definizione del giudizio anche alla luce dello ius superveniens di cui al
dl. n.98 del 2011configura la sussistenza di giusti motivi di
compensazione dell’intero giudizio.
P.Q.M.

terzo e , decidendo nel merito, dichiara non dovuta la voce denominata
TFR. nel calcolo della indennità di disoccupazione agricola. Dichiara
inammissibile il controricorso. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Roma, camera di consiglio del 7 novembre 2013

Presidente
o Curzio

Il Funzionario Giudiziario
„P• tsr:~1C0

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
.
Roma,

3 ti 6Ett 20141

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il

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