Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2043 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/01/2022, (ud. 12/02/2021, dep. 25/01/2022), n.2043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23085-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO

34, presso lo studio dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO BASILAVECCHIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 365/2016 della COMM. TRIB. REG. ABRUZZO,

depositata il 11/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO che ha

chiesto che la Corte accolga il ricorso. Conseguenze di legge.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento emesso nei confronti della Tel Service Srl per l’anno 2009, l’Agenzia delle entrate, attesa l’esistenza in contabilità di fatture soggettivamente inesistenti, recuperava l’Iva indebitamente detratta nonché applicava le relative sanzioni.

A seguito di impugnazione da parte della società intimata, la Commissione Provinciale di Teramo confermava l’accertamento.

Sull’appello della società soccombente, la Commissione regionale, in riforma integrale della decisione, accoglieva l’impugnazione ritenendo illegittimo l’accertamento impugnato non avendo dato l’Agenzia la prova del coinvolgimento del contribuente nel meccanismo truffaldino.

Propone ricorso l’Agenzia delle entrate nei confronti di R.E., quale socio e legale rappresentante della cessata Tel Service, affidandosi a due motivi così sintetizzabili:

Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, degli artt. 2727 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Si costituiva con controricorso R.E., chiedendo il rigetto del ricorso. Entrambe le parti presentavano memorie.

Il pubblico ministero ha depositato conclusione scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il ricorso l’Agenzia delle entrate si duole con il primo motivo sotto il profilo della violazione di legge che la CTR abbia male applicato i principi di diritto, secondo cui, una volta fornita la prova presuntiva della inesistenza soggettiva delle fatture in quanto inserite in una cd. frode carosello, era il contribuente a dover provare di non poter essere a conoscenza della frode e, con il secondo motivo, rileva il vizio di motivazione apparente, non spiegando affatto la CTR perché l’atto impositivo sarebbe stato illegittimo nonostante i vari elementi presuntivi indicati e richiamati con l’atto di appello.

I motivi, data la loro stretta correlazione, vanno esaminati congiuntamente.

Vanno disattese, in primo luogo, le eccezioni di inammissibilità sollevate dal controricorrente: i motivi soddisfano il principio di autosufficienza e non mirano ad un nuovo apprezzamento del merito, censurando, invece, l’errata applicazione dei principi applicabili in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

Nel merito, va premesso che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018 (seguita da molte altre; recentemente V. Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020), in piena aderenza ai principi affermati ripetutamente dalla Corte di Giustizia (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), ha affermato che l’Amministrazione finanziaria: a) ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; b) quanto alla consapevolezza, poi, non è richiesto che provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma è sufficiente che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta.

Incombe poi sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile, essendo tenuto a dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. n. 11873 del 15/05/2018).

Orbene, la CTR ha fondato la sua statuizione affermando che “non emerge alcun coinvolgimento nella società, nella programmazione del sistema di evasione fiscale organizzato dai cessionari, avendo operato con trasparenza, correttezza e buona fede nell’ambito di normali rapporti commerciali di compravendita. Tutte le transazioni risultano effettivamente realizzate con pagamenti tracciabili svolti attraverso i servizi bancari, senza riscontro di nessuna irregolarità della contabilità… occorre che sia l’Ufficio a fornire evidenze delle quali potete inserire col necessario tasso presuntivo, il concorso di quest’ultimo (il contribuente). Orbene, poiché gli atti di causa, all’infuori dell’accertata anomalia dei soggetti entranti in rapporti commerciali con l’appellante, non risulta alcun altro dato che consente di chiudere il circuito logico presuntivo, va dichiarato illegittimo accertamento”.

La CTR ha poi proseguito considerando la pronuncia penale ed affermando che “il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento sulle prove acquisite nel giudizio penale, secondo le regole proprie della distribuzione delle della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono quantomeno costituire fonte legittima di prova presuntiva… nella sentenza numero n. 1341 del 2.7.2014 emessa dal Tribunale di Teramo. Si faceva rilevare che non può non evidenziarsi come sia rimasta priva di adeguato riscontro probatorio la stessa ricostruzione del complessivo regolarmente economico sotteso alle operazioni commerciali addebitato all’imputato. L’ambiguità probatoria non può ritorcersi in danno all’imputato”.

Sono dunque ben chiari i plurimi errori in diritto commessi dal giudice d’appello:

– da un lato, infatti, non è necessario che l’Ufficio fornisca una “piena” prova dei fatti contestati: una volta che questi abbia dimostrato, in base ad elementi anche solo indiziari, il carattere fraudolento delle operazioni realizzate dal contribuente, è su quest’ultimo che incombe la prova contraria, ossia che le operazioni (o talune di esse) erano in realtà effettive;

– dall’altro, non è neppure necessario che sia fornita la prova – come si è espressa la CTR – del “coinvolgimento del contribuente nell’altrui illecita condotta”, essendo invece sufficiente, in base ad elementi oggettivi e specifici, che la prova che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta (come nella specie in relazione all’attività svolta), che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia chef, egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;

– dall’altro, ancora, ha ritenuto elementi utili a prova contraria la mera regolarità formale della documentazione contabile e dei pagamenti, elementi, invece, privi di rilievo perché facilmente falsificabili (tanto più nell’ambito di frodi carosello).

Del resto, quanto ai rapporti tra la contribuente e la società cartiera- di cui era certa e incontestata la qualità – del tutto obliterato è il dato oggettivo la contribuente in ogni anno e più annualità ha avuto consistenti rapporti (per molti milioni di Euro) con numerose società cartiere, da cui una frequentazione abituale, per la quasi totalità e comunque una grandissima parte dei suoi affari, con soggetti che operavano fraudolentemente; inoltre dal pvc che gli acquisti erano operati sottocosto.

La motivazione, dunque, non solo è apparente e fondata su elementi inidonei a giustificare la soluzione adottata, ma si adagia, supinamente, sulla sentenza penale di assoluzione (sul solo fatto della sua esistenza omessa ogni valutazione di fatto e senza neppure considerare che la statuizione penale si è ancorata alla carenza della prova piena, priva di rilievo, per come su evidenziato, in questa sede) che invece costituisce, in relazione agli elementi accertati, mero elemento da valutare in uno con gli altri elementi in giudizio come costantemente affermato da questa Corte (v. Cass. n. 27814 del 04/12/2020 secondo la quale “In caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione”).

Il ricorso va pertanto accolto, con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione per l’ulteriore esame.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione per l’ulteriore esame.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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