Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20429 del 25/08/2017
Cassazione civile, sez. VI, 25/08/2017, (ud. 16/05/2017, dep.25/08/2017), n. 20429
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13091-2016 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS
31, presso lo studio dell’avvocato VITO SOLA, rappresentato e difeso
dall’avvocato DOMENICO DELLA RATTA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.f. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9267/44/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di NAPOLI, depositata il 22/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON;
Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del
Presidente e del Relatore.
Fatto
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 8 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto da M.M. avverso la sentenza n. 6840/9/14 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 2009. La CTR osservava in particolare che, già eliminatasi in via di autotutela la parte della pretesa fiscale portata dall’atto impositivo impugnato relativa ai versamenti sui conti bancari del contribuente (Notaio) in ottemperanza alla sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, che in parte qua aveva dichiarato illegittima la correlativa presunzione legale relativa di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per la parte relativa ai versamenti sui conti bancari del contribuente medesimo la pretesa fiscale doveva invece considerarsi fondata appunto su detta presunzione legale relativa, non avendo il M. assolto al proprio onere contro probatorio.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo dedotto il ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata in quanto viziata da errore di fatto, espressamente affermando la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.
La censura è inammissibile.
Va infatti ribadito che “La denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4” (Sez. L, Sentenza n. 2529 del 09/02/2016, Rv. 638935 – 01); più in generale che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti” (Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 – 01).
Il ricorrente ha redatto un motivo di ricorso che critica la sentenza impugnata per la errata valutazione delle prove documentali in atti, espressamente denunciando la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, quindi riferendosi univocamente ad un ipotetico “vizio revocatorio”, evidentemente non censurabile con l’impugnazione proposta.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2017
Cassazione civile, sez. VI, 25/08/2017, (ud. 16/05/2017, dep.25/08/2017), n. 20429
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13091-2016 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS
31, presso lo studio dell’avvocato VITO SOLA, rappresentato e difeso
dall’avvocato DOMENICO DELLA RATTA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.f. (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9267/44/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di NAPOLI, depositata il 22/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON;
Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del
Presidente e del Relatore.
Fatto
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 8 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto da M.M. avverso la sentenza n. 6840/9/14 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF ed altro, IVA ed altro 2009. La CTR osservava in particolare che, già eliminatasi in via di autotutela la parte della pretesa fiscale portata dall’atto impositivo impugnato relativa ai versamenti sui conti bancari del contribuente (Notaio) in ottemperanza alla sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, che in parte qua aveva dichiarato illegittima la correlativa presunzione legale relativa di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per la parte relativa ai versamenti sui conti bancari del contribuente medesimo la pretesa fiscale doveva invece considerarsi fondata appunto su detta presunzione legale relativa, non avendo il M. assolto al proprio onere contro probatorio.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo dedotto il ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata in quanto viziata da errore di fatto, espressamente affermando la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4.
La censura è inammissibile.
Va infatti ribadito che “La denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4” (Sez. L, Sentenza n. 2529 del 09/02/2016, Rv. 638935 – 01); più in generale che “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti” (Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335 – 01).
Il ricorrente ha redatto un motivo di ricorso che critica la sentenza impugnata per la errata valutazione delle prove documentali in atti, espressamente denunciando la violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, quindi riferendosi univocamente ad un ipotetico “vizio revocatorio”, evidentemente non censurabile con l’impugnazione proposta.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2017