Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20428 del 02/08/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20428 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: GRASSO GIANLUCA

SENTENZA
sul ricorso 13232/2013 proposto da:
STUDIO TECNICO INGEGNERI LUIGI GAGLIO E FERNANDO
ORLANDI IN LIQUIDAZIONE, in persona dei suoi liquidatori,
rappresentato e difeso in forza di procura speciale in calce al
ricorso dall’avvocato Aldo d’Esposito, presso il cui studio è
elettivamente domiciliato in Roma, viale Cardinal Ginnasi n. 8;
– ricorrente contro
REGIONE UMBRIA, in persona del suo legale rappresentante pt,
rappresentata e difesa per procura a margine del controricorso
dall’avvocato Paola Manuali, elettivamente domiciliata in Roma, in
Via Maria Cristina n. 8, presso lo studio dell’avvocato Goffredo
Gobbi;

Data pubblicazione: 02/08/2018

- con troricorrente –

avverso la sentenza n. 413/2012 della Corte d’appello di Perugia,
depositata il 14 novembre 2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18
gennaio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;

Alessandro Pepe che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato Goffredo Gobbi per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA
1. – Con decreto n. 448/01, notificato il 24 aprile 2001, il
Presidente del Tribunale di Perugia ingiungeva alla Regione
Umbria il pagamento della somma di lire 102.249.472, oltre
interessi legali e rivalutazione sino al saldo, per il mancato
pagamento degli onorari dovuti dalla Regione allo Studio Tecnico
Ingegneri Luigi Caglio e Fernando Orlandi. Avverso tale decreto
ingiuntivo, la Regione Umbria proponeva opposizione.
Il Tribunale di Perugia, con sentenza depositata 11 luglio
2008, accogliendo, per quanto di ragione, l’opposizione,
condannava l’amministrazione a versare allo Studio Tecnico
Ingegneri Luigi Caglio e Fernando Orlandi la somma di €
52.807,44 oltre interessi e spese legali.
2. – Avverso tale pronuncia proponeva impugnazione la
Regione Umbria.
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza depositata il 14
novembre 2012, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha
condannato la Regione Umbria al pagamento, in favore dello
Studio Tecnico, della somma di € 6.414,65 oltre accessori. Ha,
inoltre, condannato gli appellati in solido al pagamento delle spese
del primo e del secondo grado di giudizio, compensandole nella
misura di 1/10.
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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale

3. – Per la cassazione della decisione della corte d’appello lo
Studio Tecnico Ingegneri Luigi Gaglio e Fernando Orlandi in
liquidazione ha proposto ricorso sulla base di otto motivi.
La Regione Umbria si è costituita con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., dell’art. 24 Costituzione e
dell’art. 183 c.p.c., nel testo vigente nel 2000, in relazione all’art.
360, comma 1, n. 3 c.p:c.; omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Parte ricorrente, al riguardo, evidenzia che l’atto d’appello
della Regione avrebbe introdotto, quali motivi a sostegno
dell’impugnazione, argomentazioni, circostanze e eccezioni nuove
e diverse da quelle formulate nell’atto di citazione in opposizione
(la menzione della determinazione dirigenziale n. 2572 del
14/7/1999 non depositata; la circostanza che in base alla stessa
“…il calcolo della parcella è stato determinato direttamente
dall’appaltatore…”; la limitazione della applicazione del principio
di inderogabilità dei minimi tariffari; la possibilità che le spese
possano restare a carico dell’appaltatore). In questo modo
l’appellante avrebbe alterato i termini della controversia,
introducendo un nuovo tema di indagine e di decisione.
1.1. – Il motivo è infondato.
L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario
giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la
fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la
posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, che riveste la
posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il
diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e

posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o
modificativi di tale diritto (Cass. 3 febbraio 2006, n. 2421).
Le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345, comma
2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero «non
rilevabili d’ufficio», e non, indiscriminatamente, tutte le difese,

eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e
risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal
giudice alla stregua delle eccèzioni “in senso lato” o “improprie”
(Cass. 20 marzo 2017, n. 7107). Il divieto non riguarda, peraltro,
le contestazioni, in fatto e in diritto, che non comportino
deduzione di fatti distinti rispetto a quelli già appartenenti alla
causa.
Nel caso di specie, la corte d’appello ha escluso che
l’impugnazione abbia violato il divieto di nuove eccezioni, in
quanto sin dall’atto di opposizione in prime cure la regione Umbria
aveva sostenuto tutti gli argomenti oggetto della successiva
impugnazione.
La determinazione dirigenziale è stata inoltre menzionata
dalla regione Umbria in primo grado e prodotta unitamente al
ricorso per decreto ingiuntivo.
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, stante la
mancanza di autonomia tra il procedimento che si apre con il
deposito del ricorso monitorio e quello che originato
dall’opposizione ex art. 645 c.p.c., i documenti allegati al ricorso
suddetto, rimasti a disposizione della controparte, agli effetti
dell’art. 638, comma 3, c.p.c., ed esposti, pertanto, al
contraddittorio tra le parti, benché non prodotti nella fase di
opposizione nel termine di cui all’art. 184 c.p.c. (nella
formulazione applicabile ratione temporis), non possono essere
considerati “nuovi”, sicché, ove depositati nel giudizio di appello,

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comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle

devono essere ritenuti ammissibili, non soggiacendo la loro
produzione alla preclusione di cui l’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel
testo introdotto dall’art. 52 della I. n. 353 del 1990) (Cass. 4
aprile 2017, n. 8693).
La corte d’appello, inoltre, ha specificato che il mancato

dirigenziale di affidamento dell’incarico) rispetto al contratto non
ha alcun valore al fine della determinazione delle tariffe che le
parti hanno consensualmente stabilitò nel contratto medesimo.
Le questioni concernenti la limitazione del principio di
inderogabilità dei minimi tariffari e l’aspetto dei rischi propri del
contratto d’appalto emergono dagli scritti difensivi in primo grado.
1.2. – La doglianza concernente il vizio di motivazione, del
tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla
nuova previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta
dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 conv. con la legge n. 134 del
2012, per cui è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame
del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti. Il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360
c.p.c., pertanto, presuppone la totale pretermissione di uno
specifico fatto storico.
2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’ad 360,
comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Parte ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia, ha
ritenuto i motivi d’appello sufficientemente specificati,
respingendo l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione
proposta. In particolare, si sottolinea che la Regione Umbria non
avrebbe avanzato censure puntuali e specifiche, idonee a

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riferimento nell’opposizione all’atto presupposto (determinazione

confutare l’iter logico giuridico seguito dal giudice di prime cure, in
base al quale la fattispecie concreta è regolata dalla legge n. 109
del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998, e in
particolare il compenso deve essere determinato ai sensi dell’art.
17, comma 14 ter e quater, che sancisce la nullità di ogni patto

2.1. – Il motivo è inammissibile.
Quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error
in procedendo,

il sindacato del giudicè di legittimità investe

direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto
agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla
sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al
riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice
anche del fatto (Cass. 21 aprile 2016, n. 8069; Cass., Sez. Un.,
22 maggio 2012, n. 8077).
L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di
merito, tuttavia, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo
di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di
puntualizzare – a pena di inammissibilità – il contenuto della
critica mossa alla sentenza impugnata, indicando i fatti
processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione
deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il
principio di autosufficienza di esso (Cass. 29 settembre 2017, n.
22880).
Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di
ammissibilità di un motivo di appello, ha l’onere di menzionare,
nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del
giudice d’appello e non sufficientemente specifico, invece, il
motivo di gravame sottoposto a quel giudice; non può limitarsi a
rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne in ricorso per

contrario.

cassazione il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la
pretesa mancanza di specificità.
Nel caso di specie sono stati del tutto omessi i richiami al
contenuto dell’atto di appello.
2.2. – La doglianza concernente il vizio di motivazione, del

nuova previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
3. – Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e
falsa- applicazione dell’art 342 c.p.c. in relazione all’art 360,
comma 1, n. 3, c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in
relazione all’ad 360, comma 1, n. 5, c.p.c. In ricorso si evidenzia
che la sentenza del Tribunale di Perugia n. 723/08, resa in data il
4/2-1/7/2008, era passata in giudicato per decorrenza dei termini
stabiliti ex lege per la valida proposizione dell’appello, termini
ormai scaduti da diversi mesi al momento della costituzione nel
giudizio di secondo grado dell’attuale ricorrente.
3.1. – Il motivo è infondato.
Al di là dell’erroneo richiamo all’articolo 342 c.p.c., che
disciplina la forma dell’atto l’appello e non i termini per la sua
proposizione, il gravame risulta essere stato tempestivamente
proposto, essendo stata la sentenza del tribunale depositata in
data 1 luglio 2008 e non notificata; l’atto d’appello è stato
presentato alla notifica l’8 settembre 2009 e lo stesso giorno
notificato alla controparte, nel rispetto del termine che comprende
la sospensione feriale e che può operare due volte, nell’ipotesi in
cui, come nella specie, dopo una prima sospensione il termine
annuale non sia decomo interamente al sopraggiungere del
successivo periodo (Cass. 29 settembre 2009, n. 20817).
3.2. – La doglianza concernente il vizio di motivazione, del
tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla

tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla

nuova previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., come dinanzi
specificato.
4. – Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 17, comma 14 bis, ter e quater legge
11 febbraio 1994, n. 109, come modificata dalla legge 18

c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360,
comma 1; n.5 c.p.c.
Secondo quanto dedotto, la Corte d’appello di Perugia
avrebbe omesso di valutare la portata della legge n. 109 del
1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998, e la sua
applicazione al caso concreto, riformando senza alcuna
motivazione la sentenza di primo grado e basando la propria
decisione esclusivamente sull’esame della legge 5 maggio 1976,
n. 340 e della legge 1 luglio 1977, n. 404. L’iter logico
argomentativo seguito risulterebbe palesemente erroneo e
contrario alle disposizioni di legge. La legge 109/94, come
modificata dalla legge 415/98, normativa in materia di pubblici
appalti successiva a quella applicata dalla corte d’appello, a tutela
di un interesse pubblico, prevede espressamente la nullità di
qualsiasi regolamentazione diversa dai “minimi inderogabili” ex
art. 17, comma 14

ter,

ed è tesa a evitare la deroga

all’applicazione dei minimi tariffari. Secondo quanto argomentato,
la volontà delle parti era quella di rinviare alla fonte legislativa e
l’unica norma applicabile al caso concreto era l’art. 17, comma 14
ter, legge n. 109 del 1994 come modificata dalla legge n. 415 del
1998. I principi normativi applicabili alla stessa gara, alla
procedura di affidamento lavori e al contratto, ivi compresi,
quindi, quelli per la determinazione del compenso sarebbero stati
stabiliti per esplicita volontà della Regione dell’Umbria, che aveva

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novembre 1998, n. 415, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3

curato il bando per l’affidamento dell’incarico ai sensi dell’art. 17,
comma 1 lettere d), e) e g) della legge n. 415 del 1998.
Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 17, comma 14 bis, ter e quater legge n.
109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998, in

o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
Secondo partè ricorrente, nel rispetto di quanto stabilito dalla
legge n. 109 del 1994, lo studio tecnico aveva eseguito l’incarico
in diverse fasi di progettazione successive l’una all’altra, previste
allo scopo di consentire alla Regione di valutare in diversi stadi il
costo delle opere da realizzare e, di conseguenza, quello del
compenso spettante al professionista. Tale valore è quello su cui
deve essere calcolata la parcella secondo quanto stabilito dalla
legge in materia (art. 17, commi 14 ter e quater, legge n. 109 del
1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998) e fatto
oggetto della volontà delle parti nell’art. 4 del contratto.
Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 17, comma 14 bis, ter e quater legge n. 109
del 1994 come modificata dalla legge n. 415 del 1998 in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Il
giudice del gravame, in violazione delle norme indicate e in
contrasto con il contenuto della delibera regionale del 29
settembre 1999 n. 1400, non avrebbe tenuto conto della
circostanza che la giunta regionale aveva approvato non solo lo
schema di contratto, ma anche la cifra numerica indicata nello
stesso e che era stata concordata con lo studio tecnico la
percentuale di sconto stabilita nella misura del 10% e, quindi, nel

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relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente

rispetto dell’art. 4, comma 12 bis, del d.l. n. 65/1989 (convertito
in legge n. 155 del 1989), norma che sancisce unicamente la
percentuale massima di sconto fissandola nel 20%.
Con il settimo motivo di ricorso si prospetta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. in relazione

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. La
sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che l’art. 4 della
scrittura privata del 18 ottobre 1999 ha recepito le disposizioni in
quel momento vigenti in materia di pubblici appalti e
precisamente l’art. 17 comma 14 ter legge n. 109 del 1994, come
modificata dalla legge n. 415 del 1998.
Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa
applicazione degli arti. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360,
comma 1, n.3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. La mancata
corrispondenza tra la sentenza della corte d’appello e i principi di
legge vigenti al momento della sottoscrizione della scrittura
privata del 18 ottobre 1999 inficia anche il capo che ha disposto la
condanna dello Studio Tecnico Ingegneri Luigi Gaglio e Fernando
Orlandi in liquidazione al pagamento delle spese processuali del
primo e del secondo grado.
4.1. – Va innanzitutto esaminato il quarto motivo.
Esso è fondato.
4.2. – Nella disciplina delle professioni intellettuali, il
compenso va determinato in base alla tariffa, e adeguato
all’importanza dell’opera, solo ove non sia stato liberamente
pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere
preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo

all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o

rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti
e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima, e in ordine
successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del
giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36, comma 1,
Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato (Cass. 5

La violazione dei precetti normativi che impongono
l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa la nullità,

ex art.

1418, comma 1, c.c., del patto in deroga, in quanto trattasi di
precetti non riferibili a un interesse generale, cioè dell’intera
collettività, ma solo a un interesse della categoria professionale
(Cass. 25 gennaio 2017, n. 1900; Cass. 11 agosto 2011, n.
17222; Cass. 5 ottobre 2009, n. 21235; Cass. 28 gennaio 2003,
n. 1223; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10064).
Il primato della fonte contrattuale, pertanto, induce a ritenere
che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento
naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia
liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare
oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l’esistenza di
specifiche norme proibitive, che possono derivare soltanto da leggi
formali’ o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli
ordinamenti professionali (Cass. 29 gennaio 2003, n. 1317;
Cass.11 aprile 1996, n. 3401), le quali limitando il potere di
autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso
per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del
compenso stesso in base a tariffe.
4.3. – Riguardo alla tariffa degli architetti e degli ingegneri, il
secondo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n.
143, aggiunto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n.
340, stabilisce che «i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione,
a percentuale ed a quantità, fissati dalla legge 2 marzo 1949, n.

ottobre 2009, n. 21235).

143, o stabiliti secondo il disposto della presente legge, sono
inderogabili. L’inderogabilità non si applica agli onorari a
discrezione per le prestazioni di cui all’art. 5 del testo unico
approvato con la citata legge 2 marzo 1949, n. 143».
L’art. 6, comma 1, della legge 1 luglio 1977, n. 404,

del 1976 ne aveva limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti
tra privati, introducendo nei commi successivi limiti ai compensi
massimi per i casi d’incarichrdi progettazione conferiti dallo Stato
o da un altro ente pubblico a più professionisti per una stessa
opera.
Il principio di inderogabilità dei minimi tariffari degli architetti
e degli ingegneri è stato dunque inteso dalla giurisprudenza di
legittimità come applicabile soltanto ai rapporti intercorrenti tra
privati (Cass. 27 giugno 2011, n. 14187; Cass. 28 gennaio 2003
n. 1223; Cass. 19 luglio 2001 n. 9806; Cass. 26 gennaio 2000 n.
863; Cass. 30 agosto 1995 n. 9155), escludendo i rapporti tra la
pubblica amministrazione e il professionista esterno.
Tale giurisprudenza, tuttavia, si è formata in relazione a
ricorsi relativi a fattispecie precedenti alla I. n. 109 del 1994,
come modificata dalla I. n. 415 del 1998 (c.d. legge Merloni), con
cui il legislatore aveva reintrodotto, anche per la pubblica
amministrazione, il principio di inderogabilità dei minimi tariffari,
con espressa comminatoria di nullità dei patti contrari (v. Cass. 11
agosto 2009, n. 18223).
L’art. 17 della I. n. 109 del 1994 – nel testo all’epoca vigente
prima dell’entrata in vigore del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, conv.
nella I. 4 agosto 2006 n. 248, c.d. decreto Bersani che ha
abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che
prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per
le attività professionali e intellettuali “dalla data di entrata in

-12-

interpretando autenticamente l’articolo unico della legge n. 340

vigore” della legge stessa (art. 2) – dopo aver espressamente
separato gli incarichi di progettazione da ogni altra attività
esecutiva degli stessi, vietandone l’attribuzione allo stesso
professionista, ha stabilito specifici meccanismi di calcolo dei
relativi compensi devoluti a decreti da emanare dal Ministro della

e ne ha dichiarato l’inderogabilità con espressa comminatoria di
nullità dei patti contrari (con l’eccezione soltanto della riduzione
del 20% dei minimi tariffari per la realizzazione di opere pubbliche
o di interesse pubblico con onere a carico dello Stato e degli altri
enti pubblici di cui al comma 12-bis dell’art. 4 del decreto-legge 2
marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 26
aprile 1989, n. 155).
La convenzione intervenuta tra le parti cade –

ratione

temporis – sotto l’applicazione della c.d. legge Merloni.
La corte d’appello, pertanto, dovrà verificare se siano stati
rispettati i minimi tariffari, nella specie inderogabili, con
riferimento alle prestazioni oggetto del contratto e se le opere
realizzate siano conformi a quanto pattuito.
5. – Per effetto dell’accoglimento del quarto mezzo, restano
assorbite le ulteriori censure articolate in ricorso.
6. – La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere
rinviata, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Perugia, che
la deciderà in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio
di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto
e dichiara assorbito l’esame dei restanti motivi; cassa la sentenza
impugnata e rinvia la causa, anche ‘per le spese del giudizio di

giustizia in concerto con quello delle strutture o dei lavori pubblici

cassazione, alla Corte d’appello di Perugia in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 14 marzo 2018.

ÙOS[FAT0 N CANCELLERIA
Roma, 0

2 AUU. 2018

Il Presidente

Il Consigliere estenokr AAA.,)

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