Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20426 del 16/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 16/07/2021), n.20426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16417/2017 R.G. proposto da:

STANLEYBET MALTA LIMITED, in persona del suo legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce

al ricorso dagli avv.ti Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova,

prof. Fabio Ferraro e Daniela Agnello, elettivamente domiciliata

presso lo studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani, in Roma,

via V. Bellini n. 24;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

sezione distaccata di Latina n. 9297/19/16, depositata il

27/12/2016, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

28/04/2021 dal Consigliere Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di

Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 9297/19/16, depositata il 27/12/2016, non notificata, la CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina, rigettava l’appello della Stanleybet Malta Limited, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in persona del Direttore pro tempore avverso la sentenza n. 432/02/2015 della Commissione tributaria provinciale di Frosinone che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Amministrazione aveva contestato nei confronti di quest’ultima quale coobbligata solidale della ditta M.N., titolare della ricevitoria operante come centro di trasmissione dati (CTD), esercente l’attività di raccolta scommesse sportive per conto del bookmaker estero – il mancato pagamento dell’imposta unica su concorsi pronostici e scommesse, oltre sanzioni ed interessi, per operazioni svoltesi nell’anno 2009;

– avverso la suddetta sentenza della CTR, ricorre a questa Corte Stanleybet Malta Limited, con atto affidato a otto motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria; la ricorrente ha altresì depositato memoria con la quale chiede trattarsi la controversia in udienza pubblica e nella quale si insiste perché sia disposto rinvio pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– preliminarmente deve essere disattesa l’istanza di trattazione in pubblica udienza. In adesione all’indirizzo già espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Sez. U, n. 14437 del 5 giugno 2018), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Sez. U, n. 8093 del 23 aprile 2020). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è neppure nuovo nella giurisprudenza di questa Corte e, comunque, è compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un iato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza 26 febbraio 2020 in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito;

– con il primo motivo si denuncia, in relazione con art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), per avere la CTR erroneamente ritenuto il CTD soggetto passivo del tributo;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. a), per avere la CTR errato nel ritenere integrato il profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., per avere la CTR errato nel ravvisare in capo al CTD il presupposto territoriale del tributo;

– il quarto motivo si appunta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sulla violazione e/o falsa applicazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza delle leggi di cui all’art. 3 Cost., sotto molteplici profili, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. di stabilità 2011, art. 1, commi 64 e 66, lett. b);

– il quinto motivo censura la pronuncia gravata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 Cost., e del principio di capacità contributiva con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 3, ed alla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b);

– i motivi dal primo al quinto, che vanno esaminati insieme, perché concernono tutti la soggettività e i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse, di là dall’inammissibilità dei profili riferiti alla soggettività passiva del centro trasmissione dati, che non è in giudizio, sono complessivamente infondati;

– le questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante Cass. n. 8907-8911/2021, n. 9079-9081/2021, n. 9144-9153/2021, n. 9160/2021, n. 9162/2021, n. 9168/2021, n. 9176/2021, n. 9178/2021, n. 9182/2021, n. 9184/2021, n. 9160/2021, n. 9516/2021, n. 9528-9537/2021, n. 9728-9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.”;

– va premesso come sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati ai CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”. Sicché il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio. E proprio queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– va notato poi che il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– inoltre, ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”;

– questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso; in particolare, la Corte Cost., con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicché, ha specificato, quanto al ricevitore, l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Ne’, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;

– in ogni caso, poi, della sussistenza (evidente in questo caso) di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). E la stessa giurisprudenza penale citata in memoria dalla contribuente (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruoli del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -…”;

– sulla base delle suddette considerazioni, la Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha, quindi, dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010. Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, come nella specie, non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;

– a diversa conclusione, invece, deve pervenirsi per le annualità dal 2011. Invero, va osservato che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., “giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristalizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010”. A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto;

– considerato che oggetto di rilievo è la sola posizione della società bookmaker, le complessive censure sono infondate;

– invero, non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con a conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker.

Si è già evidenziato che la Corte costituzionale, con la menzionata pronuncia, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, sicché entrambe svolgono l’attività gestoria delle scommesse. Ed è proprio in tale prospettiva, infatti, che la pronuncia di incostituzionalità della disposizione interpretativa se, da un lato, ha inciso sulla parte della stessa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, d’altro lato, non ha in alcun modo fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione. Le considerazioni sopra espresse costituiscono i profili di fondo sulla cui linea deve ritenersi che le ragioni di censura prospettate sono infondate; in particolare:

– è infondato il primo motivo di ricorso con cui si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18 e confermata dalla giurisprudenza civile e penale di questa Corte;

– è infondato il secondo motivo, col quale si torna a sostenere l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria;

– è infondato il terzo motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia;

– è infondato il quarto motivo, col quale si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18 che ne ha esclusa in concreto la violazione nella fattispecie in esame;

– non può, in questo ambito, assumere rilievo l’ulteriore profilo di censura, pure prospettato nell’ambito del presente motivo di ricorso, relativo alla irragionevolezza della norma interpretativa nella parte in cui, prevedendo la imponibilità anche delle scommesse a quota fissa offerte con modalità transfrontaliera in assenza di concessione, non ha tenuto conto che il movimento delle suddette scommesse, proprio in quanto realizzate fuori sistema, non viene rilevato, sicché la base imponibile viene determinata senza considerare il movimento netto reale, essendo le stesse escluse dalla formazione dei movimento netto che determina l’applicazione delle aliquote, con la conseguenza che verrebbero applicate aliquote superiori a quelle che avrebbero dovuto applicarsi per legge;

– il profilo di censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che parte ricorrente postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota dell’imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che, diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata;

– in realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 4, comma 1, lett. b), n. 3), valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge, non consentendo, in questo modo, a questa Corte di apprezzare la rilevanza del profilo di censura;

– è infondato il quinto motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacché e’, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza dei principi in questione;

– con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del principio dell’equo processo di cui all’art. 6 CEDU, e dell’art. 117 Cost., comma 1, con riferimento alla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b);

– con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione Europea di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, nonché la violazione del principio di legittimo affidamento; in subordine, si formula proposta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, comma 3, alla Corte di Giustizia;

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta.

Esse non sono fondate.

– al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte di giustizia 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17). Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale, costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: ne consegue che, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte di giustizia 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07);

– il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “..d’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”;

– la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte di giustizia in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte di giustizia 1 dicembre 2011, causa C253/09, punto 83);

– in questo contesto, la normativa italiana, come già segnalato, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (di Corte di giustizia, causa C-788/18, punto 21), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”. Anzi, come ha sottolineato la Corte costituzionale con la sentenza n. 27/18, a seguire la tesi prospettata in ricorso e ribadita in memoria si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione (…)”; la statuizione è chiara, giacché la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti” (Corte di giustizia, 19 dicembre 2018, causa C-375/17, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria;

– con riferimento, infine, alla questione della violazione del principio dell’affidamento, la stessa è stata prospettata in relazione alla portata innovativa della disposizione interpretativa della L. del 2010, che avrebbe introdotto, “improvvisamente e imprevedibilmente” la responsabilità delle ricevitorie dei bookmaker privi di concessione.

Il profilo di censura e’, in primo luogo, inammissibile, posto che la ricorrente prospetta ragioni di lesione del principio del legittimo affidamento che attengono, semmai, alla posizione del ricevitore, in ordine alla quale, peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, si è già espressa con la pronuncia di incostituzionalità relativamente alla portata innovativa retroattiva della norma in esame nella parte in cui aveva introdotto la responsabilità dei ricevitori per il periodo antecedente alla entrata in vigore della stessa.

Con riferimento, invero, alla posizione dei bookmaker estero, la stessa Corte costituzionale non ha posto in discussione il fatto che il bookmaker estero, privo di concessione, dovesse essere considerato soggetto passivo dell’imposta unica anche prima della entrata in vigore della disposizione interpretativa, sicché, posta la prospettiva in questi termini, non può porsi alcuna violazione del principio del legittimo affidamento;

– non sussiste, per tali ragioni, alcun presupposto per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte: le questioni sollecitate in memoria, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati, mentre la stessa Corte, “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte di giustizia, in causa C-375/17, cit., punto 67);

– va altresì disattesa leccepita incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella L. di stabilità per il 2011, con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU. La compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 Cedu, s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicché occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176). Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacché, come si è anticipato, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010, la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3;

– in memoria, inoltre, il profilo centrale della linea difensiva seguita si fonda, in sostanza sul riconoscimento della liceità dell’attività svolta nel tempo dalla ricorrente, come riconosciuta dalla giurisprudenza penale di questa Corte il che, secondo l’assunto di parte ricorrente, comporterebbe effetti anche sul piano strettamente fiscale e, inoltre, dovrebbe indurre a ritenere che la Corte di giustizia, con la pronuncia del 26 febbraio 2020, non avrebbe preso in considerazione la specificità della “peculiare posizione” nella quale la ricorrente si sarebbe venuta a trovare basata sulla illegittima ed originaria discriminazione dalla stessa subita nel tempo dall’autorità nazionale;

– la linea difensiva seguita dalla ricorrente, più in particolare, si fonda sulla considerazione della natura sanzionatoria dell’intervento normativo di cui alla L. n. 220 del 2010, sicché la disciplina in esso contenuta troverebbe applicazione solo con riferimento allo svolgimento di una attività di gioco illecita, dunque non anche nei confronti della ricorrente, con la conseguenza che, ove applicata nei propri confronti, deriverebbe una violazione del principio di non discriminazione, della parità di trattamento nonché di legittimo affidamento e di libertà di stabilimento determinando, inoltre, un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità, tra le sezioni civili e quelle penali, in ordine alla questione;

– le suddette considerazioni rendono dunque priva di ogni fondamento sia l’asserita assimilazione dell’imposizione alle sanzioni, ipotizzandone una oggettiva finalità afflittiva, che, invece, è del tutto assente attesa la riferibilità della pretesa ad ordinari, seppur specifici, meccanismi impositivi l’assenza, come su evidenziato, di caratteri discriminatori, sia la prospettata esistenza di un contrasto interno della giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione;

– la ricorrente, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite di propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto impositivo dell’imposta in esame;

– la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10 settembre 2020, n. 25439), poi, ha esaminato la questione relativa alla realizzazione del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4-bis, ritenendo di dovere escludere la sussistenza del reato de quo in base alla considerazione che la ricorrente era stata “illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni…e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 4 bis, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”;

riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta dalla ricorrente, tuttavia, non implica la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto di imposta, secondo la specifica declinazione contenuta nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, che ha, come visto, disposto che: “Ferma restando l’obbligatorietà, ai sensi della legislazione vigente, di licenze, autorizzazioni e concessioni nazionali per l’esercizio dei concorsi pronostici e delle scommesse, e conseguentemente l’immediata chiusura dell’esercizio nel caso in cui il relativo titolare ovvero esercente risulti sprovvisto di tali titoli abilitativi, ai soli fini tributari: a) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– l’applicabilità della previsione normativa in esame esclude altresì che possa porsi una questione di violazione del principio di non discriminazione o di libertà di stabilimento, secondo quanto ulteriormente esposto in memoria, basata sulla considerazione della natura lecita dell’attività svolta, ovvero ancora che possa ritenersi che la Corte di Giustizia, con la pronuncia citata non abbia preso in considerazione la “specifica situazione” nella quale la ricorrente ha dovuto operare;

– a parte il rilievo che il pregiudizio subito risulta solo affermato, ma non concretamente precisato e specificato, quel che rileva, come detto, è il fatto che la ricorrente, per il fatto di avere realizzato in Italia l’attività di gestione della raccolta delle scommesse per il tramite di propri centri di trasmissione dati, ha realizzato il presupposto dell’imposta e, dunque, è da considerarsi soggetto passivo del tributo e, sotto tale profilo, va fatto richiamo alla pronuncia della Corte di giustizia che, sul punto, ha escluso ogni violazione dei principi unionali citati;

– l’ottavo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3 e art. 36, comma 2, nn. 2) e 4), e art. 112 c.p.c., per non avere la CTR esaminato la doglianza relativa alla eccepita violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, anche in combinato con la L. n. 241 del 1990, art. 3, per illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, stante la mancata allegazione del p.v.c. – cui l’atto rinvia solo per relationem – e, in particolare, la mancata riproduzione dell’elemento essenziale dell’aliquota applicata;

– nella specie, in disparte l’avere richiamato in rubrica congiuntamente l’art. 360 c.p.c., comma 1, il n. 3 e il n. 4, la censura è infondata;

– come costantemente rilevato da questa Corte, il vizio di omessa pronuncia è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa dall’appellante e non sussiste laddove il giudice d’appello abbia fondato la decisione su una costruzione logico giuridica incompatibile con la domanda, ovvero se la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto (cfr., ex plurimis, Cass., 13 agosto 2018, n. 20718; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 14 gennaio 2015, n. 452; Cass., 25 settembre 2012, n. 16254; Cass., 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., 19 maggio 2006, n. 11756). Nella specie la CTR, esaminando nel merito l’appello ha rigettato implicitamente la eccepita violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7;

– il ricorso va, quindi, complessivamente rigettato;

-l’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

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