Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2042 del 30/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2042 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso 19965-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico – in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO
LUIGI, rappresentata e difesa dall’avv. GAETANO GRANOZZI,
giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
PILLITTERI VINCENZA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO
GALLEANO, rappresentata e difesa dall’avvocato SANSONE
SALVATORE, giusta mandato a margine del controricorso;

G5.2

Data pubblicazione: 30/01/2014

- contraticorrente avverso la sentenza n. 1152/2010 della CORTE D’APPELLO di
PALERMO del 15.7.2010, depositata il 21/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

PAGETTA.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIUSEPPE
CORASANITI.
Il Consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ.
ha depositato la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc.
civ. e 375 cod. proc. civ. ;
“La prima questione posta col ricorso principale (primo e secondo
motivo) delle Poste Italiane, notificato in data 18-19 luglio 2010 (in
ordine al quale l’intimata si è difesa in questa sede con rituale
controricorso), avverso la sentenza del 21 luglio 2010 della Corte
d’appello di Palermo, è se il contratto a tempo determinato stipulato
dal 26 luglio al 25 agosto 2000 con Vincenza Pillitteri, ai sensi
dell’accordo sindacale 25 settembre 1997 integrativo del C.C.N.L. 26
novembre 1994 “per esigene ecceionali conseguenti alla fase di tistrutturnione
e rimodulazione degli assetti occupaionali in corso…” e dichiarato nullo dalla
sentenza, con conseguente conversione a tempo indeterminato del
rapporto e condanna della società al risarcimento dei danni, sia da
ritenere risolto per mutuo consenso, questione che sarebbe stata
erroneamente ritenuta infondata dalla Corte territoriale, in violazione
dell’art. 1372, primo comma, 1175, 1375 e 2697 c.c. e con
argomentazioni in fatto non proposte in giudizio dalla ricorrente.
In proposito, richiamati i principi ripetutamente ed
esaustivamente affermati da questa Corte, secondo cui: a) in via
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Ric. 2011 n. 19965 sez. ML – ud. 07-11-2013

07/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

di principio è ipotizzabile una risoluzione del rapporto di lavoro
per fatti concludenti gr., ad es., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7
maggio 2009 n. 10526); b) l’onere di provare circostanze
significative al riguardo grava sul datore di lavoro che deduce la
risoluzione del rapporto per mutuo consenso (dr. ad es. Cass. 2

dicembre 2002 n. 17070 e 2 cembre 2000 n. 15403); c) la
relativa valutazione da parte del giudice costituisce giudizio di
merito; d) la mera inerzia del lavoratore nel contestare la
clausola appositiva del termine, così come la ricerca medio
tempore di una occupazione, non sono sufficienti a far ritenere
intervenuta la risoluzione per mutuo consenso; deve ritenersi
che la Corte di merito si sia attenuta a tali principi nel valutare
la situazione sottoposta al suo esame, con giudizio di merito
ispirato a valutazioni di tipicità sociale. Le considerazioni della
Corte sulla circolare del 1999 della società appaiono infine
formulate unicamente ad colorandum, sicché non è fondata la
censura di violazione degli artt. 101, 112, 116 e 414 c.p.c.
I due motivi appaiono pertanto manifestamente
infondati.
La seconda questione posta col ricorso (3° motivo)
investe la valutazione di illegittimità e quindi la dichiarazione di
nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato
intercorso tra le parti: in proposito la ricorrente sostiene che la
Corte territoriale avrebbe interpretato erroneamente e in
maniera immotivata gli accordi sindacali al riguardo stipulati,
violando le norme legali di ermeneutica contrattuale.
Anche tali censure sono nel loro complesso
manifestamente infondate.
3
Ric. 2011 n. 19965 sez. ML – ud. 07-11-2013

__

Va infatti qui ribadita la consolidata, monolitica
giurisprudenza di questa Corte

gr., per tutte, Cass. 14 febbraio

2004 n. 2866 e 20 marzo 2009 n. 6913), formatasi in ordine
all’esame di fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti
l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, la

quale ha ripetutamente confermato le decisioni dei giudici di
merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo
il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati, in base alla
previsione delle “esigenze eccezionali” di cui all’accordo
integrativo del 25 settembre 1997, ritenendo che i contraenti
collettivi, esercitando i poteri loro attribuiti dall’art. 23 della
legge n. 56/1987, abbiano convenuto di limitare il
riconoscimento della sussistenza della situazione indicata come
legittimante la possibilità di procedere ad assunzioni di
personale con contratto a tempo determinato unicamente fino
al 30 aprile 1998, con la conseguente illegittimità dei contratti
stipulati successivamente a tale data.
Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora
ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni
sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente
scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e
non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare
la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si
fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa
affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme
interpretazione della legge.
Col quarto motivo di ricorso, la società investe, in via
subordinata, la pronuncia quanto alle conseguenze economiche
tratte dalla ritenuta conversione a tempo indeterminato del
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Ric. 2011 n. 19965 sez. ML – ud. 07-11-2013

contratto di lavoro tra le parti e, infine, col quinto motivo,
chiede, sempre in via subordinata, l’applicazione dello

ius

superveniens con efficacia retroattiva rappresentato dall’art. 32,
commi 5-7 della legge n. 183 del 2010.
Su quest’ultima deduzione, che assorbe la precedente,

Concludendo, si chiede pertanto che il Presidente della
sezione voglia fissare la data dell’adunanza in camera di
consiglio.”
Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore in
relazione ai primi tre motivi di ricorso sono del tutto condivisibili
siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia.
Conseguentemente i primi tre motivi di ricorso vanno respinti
In relazione alle censure svolte con il quarto motivo di ricorso che
investono le conseguenze patrimoniali della accertata nullità del
termine, trova applicazione, come richiesto con il quinto motivo, lo
ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,
commi 5, 6 e 7, che ha introdotto, con efficacia retroattiva, una
nuova disciplina del rapporto controverso applicabile a tutti i giudizi
pendenti, anche in grado di legittimità (v. già Cass. Ord. n. 2112 del
2011 )
Come affermato da questa Corte (Cass., n. 3056 del 2012), lo “ius
superveniens” L.n. 183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (applicabile
nel giudizio pendente in grado di legittimità qualora pertinente alle
questioni dedotte nel ricorso per cassazione) configura, alla luce
dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex lege” a carico del
datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto,
l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri
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Ric. 2011 n. 19965 sez. ML – ud. 07-11-2013

dovrà pronunciarsi il collegio.

fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora
del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal
lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde
perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e
“onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel

sentenza di conversione). Sotto tale profilo, quindi il ricorso deve
essere accolto con rinvio alla Corte d’Appello, la quale provvederà
nella specie ai sensi di quanto disposto in rito dal citato art. 32, comma
7, oltre che sulle spese del presente giudizio.
P. Q. M.
La Corte rigetta i primi tre motivi; accoglie il quinto assorbito 1 quarto;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia
anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Palermo
in diversa composizione.

Roma, 7 novembre 2013

residente
o Curzio

Il Funzior

io

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gni-TALARICO

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DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

31 6EN. 2115, ……..

periodo cosiddetto “intermedio” (dalla scadenza del termine alla

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