Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20414 del 26/09/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20414 Anno 2014
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 14155-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2019
1104

MADDIO DARIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
FEDERICO CESI 30, presso lo studio dell’avvocato
CARENA MAURO, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;
controricorrente –

Data pubblicazione: 26/09/2014

avverso la sentenza n. 40/2007 della COMM.TRIB.REG.

3.&E 063(ígr6
d+—TORTNO, depositata 1’11/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/03/2014 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;

chiesto raccoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato MARZIO
delega Avvocato CARENA che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di notifica di invito al contraddittorid
avvenuta il 13.5.04, veniva notificato, in data 30.7.04,
a Maddio Dario, esercente l’attività di commercio al dettaglio di fiori, piante e sementi, un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria – sulla
base degli studi di settore applicabili – recuperava a
niva, di conseguenza rideterminato anche il maggior valore della produzione e del volume di affari realizzati, ai
fini IRAP ed IVA, in relazione all’anno di imposta 1999.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dal Maddio dinanzi
alla CTP di Torino, che accoglieva il ricorso.
3. L’appello avverso tale pronuncia, proposto dall’ Agenzia delle gntrate veniva, del pari, rigettato dalla CTR
del Piemonte con sentenza n. 40/12/07, depositata
1’11.6.07, con la quale il giudice di seconde cure riteneva insufficiente a legittimare l’atto impositivo, poichè non particolarmente grave, il divario del 7% tra il
reddito dichiarato dal Maddio ed il reddito accertato in
base alle risultanze degli studi di settore applicabili
nel caso concreto.
4. Per la cassazione della sentenza n. 40/12/07 ha, quindi, proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a
due motivi. Il resistente ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt. 39 d.P.R. 600/73, 62 bis e 62 sexies d.l. n.
331/93, convertito nella 1. n. 427/93, 2727 c.c. e 10 l.
n. 146/98, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – ad avviso della ricorrente – nel ritenere che lo scostamento dei ricavi,
dichiarati dal Maddio, dalle risultanze degli studi di
settore, nella misura accertata dall’Ufficio del 7%, non
fosse sufficiente a legittimare il ricorso all’ accertamento induttivo-analitico ex artt. 39, co. l, lett. d)
d.P.R. 600/73 e 54 d.P.R. 633/72.

tassazione i maggiori ricavi conseguiti dal medesimo. Ve-

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1.2. Ed infatti, a parere dell’Amministrazione finanziaria, il merso scostamento tra i ricavi o i corrispettivi
dichiarati e le risultanze degli studi di settore – qualunque ne sia entità – di per sé giustificherebbe, senza
necessità di ulteriori rilievi ed a prescindere dalla
percentuale di tale scostamento, l’accertamento induttivo
da parte dell’Ufficio, ai sensi delle disposizioni succi1.3. La censura è infondata.
1.3.1. Va osservato, infatti, che – a norma dell’art. 62sexies, co. 3, del d.l. n. 331/93, convertito nella l. n.
427/93 – “gli accertamenti di cui agli artt. 39, primo
comma, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 (…) e dell’art. 54 del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (…) possono essere fondati
anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi,
i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni
di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis
del presente decreto (id est, d.l. 331/93)”.
1.3.2. La disposizione succitata autorizza, pertanto,
l’Ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte

“gravi

incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste ed, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della
contabilità, e senza obbligo di ispezione dei luoghi, se
non assolutamente necessaria (cfr. Cass. 5977/07;
8643/07). Ed infatti, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore differisce dalla procedura
di accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 600/73,
rispetto alla quale costituisce uno strumento alternativo
disponibile per l’Amministrazione finanziaria, proprio in
quanto – al contrario di questa – è del tutto indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili
(Cass. 23096/12).

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tate.

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1.3.3. Ebbene, tale indirizzo – al quale si ritiene di
dare continuità in questa sede – è stato, dipoi, ulteriormente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte,
le quali hanno rimarcato che, in tema di accertamento
tributario, la necessità che lo scostamento del reddito
dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una
“grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art.
legge di conversione n. 427/93, ai fini dell’avvio della
procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi
implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, cc. l, della 1.
n. 146/98 (Cass.S.U. 26635/09).
1.3.3.1. Ed invero, tale più recente disposizione, pur
richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello
scostamento, proprio in quanto già previsto dalla norma
precedente, limitandosi a statuire che “gli accertamenti
basati sugli studi di settore, di cui all’articolo 62sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.
427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con
periodo d’imposta pari a dodici mesi e con le modalità di
cui al presente articolo”.
1.3.3.2. In definitiva, dunque, la norma di cui all’art.
10 l. 146/98, opera un rinvio alla precedente disposizione di cui all’art. 62 sexies d.l. 331/93, secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione
di carattere generale precedente, da parte di una norma
speciale successiva che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare. In forza di tale tipologia di rinvio, infatti, la norma, oggetto del rinvio,
risulta inserita ed assorbita nella norma che lo effettua
(Cass. 914/68). Sul piano strutturale, pertanto, la successiva disposizione in considerazione nel caso di specie
ha recepito in

toto la previsione generale di cui alla

norma precedente, quanto ai presupposti in presenza dei

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62-sexies del d.l. 30 agosto n. 331/93, aggiunto dalla

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quali è possibile il ricorso al criterio dello scostamente della dichiarazione dagli studi di settore, fornendo,
per tale via, in assenza di una disciplina derogatoria
specifica sul punto, una conferma della perdurante necessità che il divario tra i ricavi dichiarati dal contribuente e le risultanze degli studi dia luogo a “gravi incongruenze”.
ricorrente non deduce affatto che lo scostamento, accertato nella misura del 7%, sia da considerarsi grave

in
relazione alle risultanze dello studio di settore applicabile, ma si limita ad affermare che non si dovrebbe
“fare questione di percentuale dello scostamento”, essendo l’accertamento induttivo legittimato dal divario in sé
tra il dichiarato e le risultanze dello studio in questione, qualunque ne sia l’entità. In altri termini, la
rilevanza della presunzione recata dagli studi di settore, a parere dell’Amministrazione finanziaria, non potrebbe considerarsi “limitata a scostamenti significativi”, come, invece, erroneamente ritenuto dal giudice di
appello.
E tuttavia, tali argomentazioni della ricorrente – in
quanto in palese contrasto con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento suesposto – non possono essere condivise da questa Corte.
1.5. Ne discende, pertanto, che il motivo di ricorso non
può che essere rigettato.
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia, poi, l’insufficiente motivazione su un
punto decisivo della controversia, in relazione all’art.
360, ce. l, n. 5 c.p.c.
2.1. Si duole l’Amministrazione del fatto che la CTR non
abbia esposto le ragioni per le quali ha ritenuto che il
contribuente avesse puntualmente argomentato in ordine
allo scostamento dei ricavi dichiarati dalle risultanze
dagli studi di settore, nella misura accertata dalli Ufficio.
2.2. Il motivo è inammissibile.

1.4. Nel caso di specie, per contro, l’Amministrazione

e

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MATER IATRIBLITARI

2.1. La ricorrente ha, invero, del tutto omesso di formulare un’indicazione riassuntiva e sintetica, contenente
la chiara indicazione del fatto controverso in relazione
al quale la motivazione si assume contraddittoria o insufficiente, nonché le ragioni per le quali la motivazione debba considerarsi inidonea, per la sua insufficienza,
a giustificare la decisione di appello. E ciò ai sensi
dell’art. 366 bis, co. 2, c.p.c. (applicabile alla fattispecie ratione temporis),

a tenore del quale la formula-

zione della censura, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
deve contenere un “momento di sintesi” omologo del quesi-

quid pluris rispetto
all’illustrazione del motivo operata dalla parte ricorrente (cfr.,
ex plurimis,
Cass. 8897/08; 2652/08;
Cass.S.U. 11652/08; 16528/08).
2.2. Nel caso di specie, per contro, l’Agenzia delle Entrate si è limitata ad esporre le ragioni per le quali la
motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe, a suo parere, affetta dal vizio motivazionale dedotto, senza operare la sintesi richiesta dalla norma succitata.
2.3. Di conseguenza, la censura – per le ragioni suesposte – non può trovare accoglimento.
3. Per tutte le ragioni che precedono, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna
della ricorrente Amministrazione al pagamento delle spese
del presente giudizio di legittimità, nella misura di
cui in dispositivo.
to di diritto, che costituisca un

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cessazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida in
1.500,00, oltre ad

200,00 per esborsi ed accessori di

legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 24.3.2014.

a.

eSENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI Di-I. D.R.R.
268/I9S6
N. 131 TAB. ALL. 3. N.,5

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