Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20413 del 11/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 11/10/2016, (ud. 15/07/2016, dep. 11/10/2016), n.20413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21131-2014 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, da cui è rappresentata e difesa per legge;

– ricorrente –

contro

G.C., D.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 575/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 11/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2016 dal Consigliere Dott. RUBINO Lina;

udito l’Avvocato dello Stato FABRIZIO FEDELI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa che ha concluso per l’inammissibilità e/o infondatezza

del ricorso.

Fatto

I FATTI

Nel (OMISSIS) i dottori G.C. e D.A., laureati in medicina e chirurgia, che riferivano di aver conseguito un diploma di specializzazione sulla base dell’ordinamento vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Catania la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri dell’Università e dell’Economia, chiedendone la condanna alla corresponsione di una adeguata retribuzione, o al risarcimento dei danni corrispondenti alla mancata percezione della giusta remunerazione per il tempo di frequenza di scuole universitarie di specializzazione di medicina nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, per inadempimento agli obblighi derivanti allo Stato Italiano dalle direttive n. 75/362/CEE e 82/76/CEE, per ogni anno di frequenza dei corsi di specializzazione. Il Tribunale di Catania rigettava la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione dei convenuti.

La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza qui impugnata, preliminarmente dichiarava il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri e nel merito, in riforma della sentenza di primo grado accoglieva la domanda, condannando la Presidenza del Consiglio al risarcimento dei danni.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri propone un motivo di ricorso per cassazione illustrato da memoria avverso la sentenza n. 575/2014, depositata dalla Corte d’Appello di Catania in data 14 aprile 2014, notificata il 14 giugno 2014, regolarmente depositata in copia notificata.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

La ricorrente formula un unico motivo di ricorso, con il quale denuncia l’improponibilità e comunque l’infondatezza della domanda dei dottori G. e D., ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, dell’art. 2043 c.c. degli artt. 5, 189 e 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 117 Cost., dell’art. 16 della direttiva CEE 82/76, nonchè degli artt. 5 e 7 della direttiva CEE 75/362 del Consiglio, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Deduce che il diritto ad una adeguata remunerazione per il periodo di frequentazione della scuola di specializzazione è stato imposto dalla direttiva comunitaria solo in favore di coloro che abbiano conseguito la specializzazione in una delle discipline comuni agli Stati membri, laddove il Dott. G. aveva indicato in atto di citazione di aver conseguito la specializzazione in “medicina fisica e riabilitazione”, e la Dott.ssa D. in “oncologia” specializzazioni entrambe non comprese ad avviso della ricorrente nell’elenco delle specializzazioni comuni a tutti gli Stati membri o almeno a due o più di essi, menzionate negli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE.

Sostiene trattarsi di un requisito costituente elemento costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, la cui presenza è verificabile anche d’ufficio dal giudice.

Il ricorso è infondato.

E’ ben vero che le disposizioni di cui alla direttiva 93/16/CEE fanno dipendere il riconoscimento del titolo di specializzazione, con le relative conseguenze sulla connessa attività formativa dalla condizione che si tratti di specializzazione prevista da due è più stati membri, e che il diritto alla remunerazione sorge, in base alla direttiva, dal positivo riscontro di tale presupposto (v. per tutte Cass. S.U. n. 29345 del 2008).

La verifica della riconducibilità o meno della specializzazione effettivamente conseguita dal professionista che agisce per vedersi riconoscere il proprio diritto ad una adeguata remunerazione negli anni in cui ha seguito il corso di specializzazione alle specializzazioni comuni quanto meno tra due o più stati membri è tuttavia oggetto di un giudizio in fatto, demandato al giudice di merito.

L’unico motivo di ricorso dedotto dalla Presidenza ricorrente (l’aver gli attori conseguito la specializzazione in una disciplina estranea a quelle comuni agli Stati membri) è circostanza che non è mai stata precedentemente dedotta nel giudizio di merito.

Dalle conclusioni tratte in appello, riportate a pag. 4 della sentenza impugnata risulta infatti che la Presidenza abbia eccepito soltanto il difetto di giurisdizione e la prescrizione estintiva dei crediti vantati dagli attori. Per il resto, in sentenza nulla si dice sul tipo di specializzazione conseguita, in particolare, dai Dott. G. e D., ma sono indicati solo gli anni di frequenza dei corsi e la loro rispettiva durata.

Si tratta quindi di questione nuova, che non può essere dedotta per la prima volta in questa sede, in quanto in sede di giudizio di cassazione non può procedersi all’esame di un motivo di ricorso che introduca una circostanza di fatto che non ha fatto parte o non è stata presa in considerazione nel giudizio di merito neppure al fine di proporre una nuova questione di diritto che sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, qualora essa presupponga necessariamente, per la sua risoluzione, nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione (salvo che nelle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c., tra le quali rientra la nullità della sentenza purchè il vizio infici direttamente il provvedimento e non sia effetto di altra nullità relativa al procedimento).

Nel caso in esame, infatti, si richiede alla Corte (senza neppure riprodurre, ai fini della ammissibilità del ricorso, il passo dell’atto della controparte in cui sarebbero state indicate le relative specializzazioni nè indicare se questo atto sia stato a cura della stessa ricorrente ridepositato in questa sede) di accertare in fatto quale specializzazione sia stata effettivamente conseguita dai due medici, al fine di poter poi verificare in diritto se effettivamente esse siano estranee al novero delle cd. “specializzazioni comuni”, in quanto verrebbe a mancare, in questo caso, un elemento costitutivo del diritto al risarcimento dal danno per mancata attuazione delle direttive comunitarie fatto valere in giudizio.

Nulla sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

Nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 2016).

I ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente ne è uscita soccombente. Essendo l’Amministrazione pubblica ricorrente esente dall’obbligo di versamento del contributo unificato, tuttavia, la Corte dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della esenzione dell’Amministrazione dall’obbligo del versamento del contributo unificato e della insussistenza dei presupposti di legge per il suo raddoppio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016

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