Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20412 del 05/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 05/10/2011), n.20412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6912/2010 proposto da:

B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato ANTONUCCI

ARTURO, rappresentato e difeso dagli avvocati SAITTA Nazareno, SAITTA

FABIO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MESSINA (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DECIO FILIPPONI 26, presso lo

studio dell’avvocato CUSMANO DIEGO, rappresentato e difeso

dall’avvocato FERRARA Mariangela, giusta procura a margine della

memoria;

– resistente –

e contro

COOPERATIVA EDILIZIA A RL LA RONDINE II, CONSORZIO COOPERATIVE LA

CASA NOSTRA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 576/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

2.10.09, depositata il 06/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Arturo Antonucci (per delega avv.

Nazareno Saitta) che si riporta agli scritti, insistendo per

l’inammissibilità della costituzione di controparte;

udito per il resistente l’Avvocato Mariangela Ferrara che si riporta

ai motivi del controricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO

SGROI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. – 1. E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Messina del 6 ottobre 2009;la quale ha determinato l’indennità dovuta ad B.A. da quel comune per l’occupazione temporanea di due appezzamenti di terreno di sua proprietà,il primo esteso mq.

1940 (in catasto al f. 100, part. 100, 101 e 102), il secondo mq.

10126, ubicati in zona destinata ad edilizia economica e popolare, nella misura rispettivamente di Euro 17.696,70 e di Euro 158.384,63:

ottenuta applicando il tasso degli interessi legali pari al 5% dell’indennità virtuale di espropriazione per ciascuna delle 6 annualità durante le quali l’occupazione si era protrattavi ha aggiunto gli interessi legali compensativi al tasso legale con decorrenza da ciascuna scadenza annuale fino al soddisfo.

2. Il B. ha proposto ricorso per tre motivi, con il primo dei quali deduce un errore nel calcolo dell’indennità dovuta perchè determinata muovendo dalla superficie di una soltanto delle porzioni occupate estesa mq. 1260, e non dall’intera area cui la stessa sentenza avvalendosi degli accertamenti eseguiti dal c.t.u. aveva attribuito un’estensione di mq. 1940. Lamenta altresì che gli interessi legali annui siano stati determinati cumulativamente e non annualmente secondo la regola enunciata dalla stessa decisione.

Mentre con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 1224 cod. civ., si duole che non gli sia stato liquidato il danno da svalutazione monetaria da presumersi esistente secondo la giurisprudenza di legittimità in tutti i casi in cui durante la mora,il saggio medio di rendimento netto dei titoli di stato con scadenza non superiore a 12 mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.

3. Se sono condivise le considerazioni che seguono può essere accolta per manifesta fondatezza soltanto la prima censura del primo motivo. La stessa Corte di appello ha infatti riferite che la prima occupazione aveva riguardato tre appezzamenti riportati in catasto alle part. 100, 101 e 102 per una estensione complessiva di mq. 1940 e che l’intera area durante i 6 anni di occupazione temporanea (9 agosto 1979-9 agosto 1985), aveva un valore venale di L. 90.567 mq.;

per cui siccome questi dati sono rimasti incontestati e sono stati recepiti dalla sentenza che ha altresì ricordato che l’indennità virtuale di espropriazione in conseguenza della declaratoria di incostituzionalità dei criteri riduttivi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, deve determinarsi in misura corrispondente al valore venale dell’immobile, quello del fondo in oggetto risultava pari a L..175.699.980, e quindi ad Euro 90.741,46 (invece che ad Euro 58.935,17). Con la conseguenza che siccome l’indennità di occupazione è stata calcolata dalla Corte territoriale con il criterio degli interessi legali annui pari al 5% sul valore suddetto- indennità di espropriazione corrispondente ad un indennizzo di Euro 4.537,07 per ciascun anno di detenzione del terreno,e neppure siffatto parametro è stato contestato dalle parti, l’ammontare complessivo dello stesso riferito alla intera superficie di mq. 1940 per i 6 anni considerati, diveniva pari ad Euro 27.222,42: da aggiungere all’incontestato importo di Euro 158.384,63 (relativo al secondo appezzamento), in tal modo ottenendosi quello complessivo di Euro 185.607.

4. Del tutto incomprensibile è invece la seconda censura contenuta nello stesso motivo, con cui il B. addebita alla Corte di appello di averne effettuato il calcolo “cumulativamente per i 6 anni e non al tasso legale di anno in anno” “non annualmente”: in quanto se essa è rivolta alla misura del 5% perchè non corrispondente al tasso legale di quegli anni, allora non risulta autosufficiente, dovendo il ricorrente (quanto meno) indicare quale fosse il saggio più elevato che doveva essere applicato; ed è comunque manifestamente infondata per non aver tenuto in alcuna considerazione la giurisprudenza di questa Corte, la quale a partire dalla nota decisione 493/1998 delle Sezioni Unite ha ripetutamente avvertito che detta indennità deve essere liquidata in misura corrispondente ad una percentuale di quella dovuta per l’espropriazione, che ben può corrispondere al saggio corrente degli interessi legali; e che tuttavìa ciò non implica che essa debba necessariamente adeguarsi alle fluttuazioni di tale saggio nel periodo considerato, essendo quello degli interessi legali soltanto un generico criterio di valutazione lasciato al prudente apprezzamento del giudice di merito:

tenuto soltanto a dare congrua motivazione della scelta adottata (cfr. anche Cass. 8197/2005; nonchè sez. un. 4211/2004).

Ove, invece la doglianza è diretta nei confronti del cumulo, la stessa è egualmente inconsistente, rappresentando lo stesso la mera somma algebrica delle singole 6 annualità, ciascuna delle quali è stata correttamente calcolata – in conformità al menzionato principio espresso da sez. un. 493/1998 – in misura corrispondente alla percentuale del 5% sull’indennità virtuale di espropriazione (ora corretta in Euro 90.741,46), per cui essendo identica la base di calcolo per ognuna ed identico il parametro da applicare su di essa per determinarla (5%), il risultato non può mutare sia effettuando il calcolo suddetto complessivamente su tutti e 6 gli anni, sia separando ciascuna annualità dalle altre e poi sommando i relativi importi.

5. Inammissibile è infine il terzo motivo con il quale il ricorrente si duole che nessuna statuizione sia stata emessa dalla sentenza impugnata in ordine alla rivalutazione del credito indennitario:

proprio in conseguenza di detta omissione trova infatti applicazione il principio ripetutamente enunciato dalla Suprema Corte per cui “ove di una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento in fatto – non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente evita una statuizione d’inammissibilità, per novità, della censura soltanto se – nel mentre asserisce di aver dedotto la questione davanti al giudice “a quo” – indichi anche in quale atto e-o in quale momento del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto, in modo da dare al Collegio il modo di controllare, ex actis, la veridicità di tale asserzione prima di passare al merito.

E nel caso a maggior ragione doveva essere riportato il tenore della asserita richiesta della rivalutazione per il fatto che la sentenza impugnata nella parte dello svolgimento del processo ha riportato la domanda del B. come rivolta ad ottenere la sola indennità di occupazione legittima; pag. 3); e che negli stessi termini sono non soltanto le sue conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza (pag. 2), ma anche la parte del ricorso dedicato al contenuto della citazione introduttiva del giudizio dell’11 giugno 2004 (pag. 4).

E d’altra parte l’omessa pronuncia su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, come nel caso ha fatto il B.: in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. “La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo” (Cass. 1755/2006; 23071/2006; 12475/2004).

6. Poichè la causa può essere decisa anche nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., resta assorbito l’ultimo motivo del ricorso inerente all’insufficiente liquidazione delle spese dei giudizio svoltosi davanti alla Corte di appello.

2. Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. – Il collegio, esaminato il ricorso, la relazione,e le memorie ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione che vi è stata proposta.

4. – Va pertanto accolto nei limiti avanti indicati il primo motivo mentre va respinto il secondo;ed assorbito il terzo la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto.

Poichè non occorrono ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa anche nel merito con conseguente determinazione dell’indennità di occupazione per l’area estesa mq. 1940, nella misura complessiva di Euro 27.222,42; e per l’intero fondo B. in complessivi Euro 185.607.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta il secondo ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; e decidendo nel merito determina l’indennità di occupazione temporanea dovuta al B. nella complessiva somma ai Euro 185.607. Mantiene ferme le altre statuizioni e condanna il comune di Messina al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del ricorrente in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2011

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