Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20402 del 28/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/09/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 28/09/2020), n.20402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1010-2019 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA O. TOMMASINI

12, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PROTA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5169/10/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata l’01/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente avverso un avviso di accertamento relativo all’IRPEF per l’anno d’imposta 2011 emesso del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis, con il quale era stata accertata una plusvalenza relativa alla vendita di un immobile avvenuta prima del decorso di cinque anni dall’acquisto;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello della parte contribuente osservando che l’immobile era stato negli anni oggetto di numerose compravendite tra i coniugi F. e B. e in particolare nel 2005 la moglie aveva venduto al marito l’immobile per 31mila Euro e nel 2007 il marito aveva venduto alla moglie l’immobile per la stessa cifra e conseguentemente qualificando tali atti come compravendite e non come donazioni per la mancanza sia della forma solenne prevista dall’art. 708 c.c., sia dello spirito di liberalità, atteso che in detti atti era sempre stato indicato un corrispettivo da versare;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato ad un motivo mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge ed omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso per il giudizio in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 26, ed al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 41 bis e 67, per non aver fatto corretta applicazione del principio di presunzione di gratuità di cui al citato art. 26 cit. così come applicato da Cass. n. 21142 del 2016 e per aver omesso di valutare gli elementi istruttori;

considerato che secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, (Accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall’anagrafe tributaria) “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche nonchè dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonchè l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli artt. 36-bis e 36-ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218. Non si applica la Disp. dell’art. 44”.

considerato che, secondo questa Corte:

l’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare (Cass. n. 28681 del 2019);

l’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto a quello previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le medesime regole, sicchè il relativo oggetto non è circoscritto ad alcune categorie di redditi e la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva: ne deriva che non assume rilievo alcuno il fatto che nel relativo avviso ci si riferisca erroneamente al predetto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, anzichè art. 41-bis, (Cass. n. 8406 del 2018);

in tutte le controversie tributarie, indipendentemente dalla natura del tributo, qualora la soluzione dipenda dalla qualificazione dell’atto come a titolo oneroso o gratuito, si applica la presunzione relativa di liberalità per gli atti di trasferimento tra coniugi o parenti in linea retta, prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 26, il cui superamento costituisce un accertamento di fatto, che deve essere effettuato alla luce di tutte le circostanze probatorie, tra cui in particolare il trattamento tributario richiesto dalla parte o concesso dall’ufficio, da cui il giudice può trarre argomenti in senso contrario (Cass. n. 21142 del 2016);

ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la CTR ha tenuto conto dell’esistenza della presunzione relativa di gratuità e ha congruamente motivato sul perchè, a suo giudizio, tale presunzione (che è relativa e non assoluta ed è dunque suscettibile di prova contraria) non trovi spazio nel caso di specie (avente ad oggetto un accertamento parziale la cui la prova può essere raggiunta anche in via presuntiva), affermando che sussistono degli elementi che indirizzano l’interprete in senso opposto, dovendosi qualificare gli atti come compravendite e non come donazioni in ragione della mancanza sia della forma solenne prevista dall’art. 708 c.c., sia dello spirito di liberalità, atteso che in detti atti era sempre stato indicato un corrispettivo da versare, e ciò in virtù di una indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e dunque sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta – come nel caso di specie – da congrua e ragionevole motivazione (Cass. n. 3319 del 2020);

considerato infatti, con particolare riferimento alla lamentata omessa valutazione degli elementi istruttori, che l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), mirando il ricorrente, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 4 aprile 2017, n. 8758) poichè, a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione: tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita davanti alla Corte di Cassazione (Cass. 18 gennaio 2018, n. 1118; Cass. 27 luglio 2017, n. 18665);

ritenuto dunque che il motivo di impugnazione è infondato, che conseguentemente il ricorso va rigettato e che le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2020

 

 

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