Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20400 del 25/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 25/08/2017, (ud. 05/07/2017, dep.25/08/2017),  n. 20400

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13989/2015 proposto da:

Sert S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Severo Carmignano n.9, presso

lo studio dell’avvocato Pietrangeli Bernabei Mauro, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Aliprandi Andrea,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L., Procura della Repubblica presso il Tribunale di

Ivrea, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino;

– intimati –

avverso la sentenza n. 765/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2017 dal cons. SCALDAFERRI ANDREA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale SOLDI

Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Pietrangeli che si riporta agli

atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La SERT s.r.l. proponeva reclamo avverso la sentenza del 29 ottobre 2014 con la quale il Tribunale di Ivrea ne aveva dichiarato il fallimento su istanza proposta dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino. La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 21 aprile 2015, ha rigettato il reclamo, ritenendo in sintesi: a) che non sussiste alcuna norma che impedisca la presentazione della richiesta di fallimento al Tribunale competente L. Fall., ex art. 9, da parte di un diverso Pubblico Ministero (che abbia rilevato l’insolvenza nei procedimenti penali pendenti avanti a sè), si che nella specie rettamente è stata accolta dal Tribunale di Ivrea la richiesta presentata dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino, avendo peraltro il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Ivrea partecipato alla fase prefallimentare anche per il richiedente, e fatto propria la richiesta già presentata; b) che non rileva di per sè la mancata indicazione, nella originaria richiesta, del procedimento penale nell’ambito del quale era stata rilevata l’insolvenza, tale indicazione – avente ad oggetto tre procedimenti penali già pendenti alla data della richiesta – essendo stata fornita, a fronte della eccezione sollevata dalla difesa della SERT, nel corso della stessa fase prefallimentare, nel pieno contraddittorio con la SERT alla quale è stato assegnato termine per controdedurre; c) che dagli atti dei predetti procedimenti penali – il cui esito finale non rileva – emerge evidente lo stato di insolvenza della società reclamante, confermato anche dalle stesse sue allegazioni difensive, laddove priva di rilevanza è l’indagine sulle cause di tale situazione oggettiva; che parimenti inidonee a condurre a diverse conclusioni sono le allegazioni della reclamante circa la diversa entità dei crediti a favore della Agenzia delle Entrate, la massima parte dei quali risultanti da estratti di ruolo non impugnati.

Avverso tale sentenza SERT s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione per quattro motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia errata interpretazione e falsa applicazione di norme di diritto, insistendo nella sua tesi secondo la quale la richiesta presentata dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino, al di fuori del circondario di propria competenza, deve ritenersi inammissibile o improcedibile, per carenza di azione. La richiesta di fallimento doveva essere riproposta formalmente dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Ivrea, competente per territorio a provvedere sulla richiesta, non essendo sufficiente che quest’ultimo abbia espresso una semplice adesione a verbale di udienza ad una richiesta formulata da Pubblico Ministero incompetente per territorio.

1.1. Tale tesi non merita condivisione, avendo la Corte di merito rettamente considerato come non sia rilevante la competenza per territorio del Pubblico Ministero richiedente bensì quella del tribunale, della quale soltanto si occupa la legge fallimentare, radicandola (art. 9) nel luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa. Dal disposto della L. Fall., art. 7, si trae solo che il Pubblico Ministero è legittimato alla richiesta per dichiarazione di fallimento in tutti i casi nei quali abbia istituzionalmente appreso la “notizia decoctionis”, a prescindere dal luogo in cui il reato è stato commesso ed il procedimento penale conseguentemente avviato. Non può dunque costituire ostacolo alla procedibilità della richiesta di declaratoria di fallimento il fatto che essa sia stata indirizzata ad un tribunale diverso da quello presso il quale il Pubblico Ministero richiedente esercita le sue funzioni nell’ambito dei procedimenti penali a norma dell’art. 51 c.p.p.. D’altra parte, neppure può condividersi l’ulteriore tesi della ricorrente secondo la quale dovrebbe considerarsi nulla e priva di efficacia processuale la volontà, espressa all’udienza prefallimentare dal Pubblico Ministero di Ivrea, di far propria la richiesta di fallimento: invero, pur prescindendo dal considerare che la mancata partecipazione del Pubblico Ministero richiedente all’udienza non inciderebbe di per sè, de iure, sulla persistenza della richiesta stessa (tale non essendo il senso attribuibile alla disposizione della L. Fall., art. 15, comma 2: cfr. Cass. Sez. 1 sentenza n. 12537/17), l’assunto in ordine alla necessità di una “formale rinnovazione” della richiesta del P.M. di Ivrea – e quindi in ordine alla nullità di una manifestazione scritta di volontà dal medesimo espressa al giudice in udienza – si mostra comunque privo di base normativa.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che, al momento del deposito della richiesta del P.M. di Torino, questa era priva della indicazione di un procedimento penale pendente nei confronti della SERT dal quale potesse emergere lo stato di insolvenza della stessa, anche perchè l’unico procedimento penale risultava iscritto al mod. 45 e non presentava alcuna imputazione, neppure embrionale: si trattava peraltro di un procedimento del tutto diverso dai tre procedimenti penali successivamente invalidamente indicati dal P.M. di Ivrea. Sostiene quindi che l’avere consentito tale successiva indicazione, nel corso della fase prefallimentare, costituisce violazione del diritto di difesa della SERT, nonchè del principio secondo cui la situazione da tenere presente deve essere quella esistente al momento della presentazione della richiesta. Con il terzo motivo sostiene inoltre che la mancata prova, in sede di deposito della richiesta del P.M. di Torino, del previo esercizio dell’azione penale nei confronti della SERT rende invalida la richiesta stessa. Aggiunge che, comunque, dagli atti dei tre procedimenti penali successivamente indicati emergono una serie di elementi che condurrebbero a ritenere l’insussistenza dei reati contestati (come peraltro in parte già avvenuto), anche per mancanza dell’elemento soggettivo, tenendo presente la non addebitabilità alla SERT dello stato di crisi della azienda sociale, riconducibile piuttosto ad una serie di condotte illecite da parte di Enti pubblici locali, di banche usuraie ed altro.

2.1. Tali doglianze, esaminabili congiuntamente stante la stretta connessione, sono prive di fondamento. In primo luogo, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare (cfr. Sez. 1 sentenza n. 14537/17 cit.) che: a) la ratio della L. Fall., art. 7, una volta venuto meno il potere del tribunale di dichiarare officiosamente il fallimento, è chiaramente nel senso di estendere la legittimazione del p.m. alla presentazione della richiesta, in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis (Cass. 10679 del 2014; 23391 del 2016); conseguentemente il riferimento contenuto nel comma 1, n. 1) dell’art. 7 della legge fallimentare al riscontro della notitia decoctionis “nel corso di un procedimento penale” non deve essere interpretato nel senso riduttivo, prospettato nel motivo di ricorso, non essendo necessaria la preventiva iscrizione di una notitia criminis nel registro degli indagati a carico del fallendo (Cass. n. 8977 del 2016) o di terzi; b) l’esame da parte del pubblico ministero dei risultati dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza, sia se preventivamente disposta dall’organo giurisdizionale in ordine all’esercizio del proprio potere investigativo, sia se eseguita autonomamente dal predetto corpo di polizia, e trasmessa all’ufficio di Procura, rientra pienamente nell’attività istituzionale dell’organo giurisdizionale inquirente; c) ove gli esiti dell’indagine evidenzino la notitia decoctionis, mediante la rappresentazione di esposizioni debitorie verso il fisco astrattamente idonee a costituire fattispecie incriminatrici speciali, il pubblico ministero è pienamente legittimato ad esercitare l’iniziativa di richiedere il fallimento.

Da tali principi, condivisi dal Collegio, deriva anche che un eventuale esito favorevole all’imprenditore dei procedimenti penali nel corso dei quali il P.M. ha ravvisato la notizia decoctionis sarebbe comunque priva di rilevanza sulla regolarità del procedimento fallimentare instaurato a seguito della richiesta. Ciò vale anche per i tre procedimenti penali indicati in sede prefallimentare dal P.M. di Ivrea, in ordine ai quali giova altresì precisare: a)che non è controverso che tali procedimenti risultavano già in essere al momento della richiesta; b) che la successiva indicazione è avvenuta (non invalidamente, per quanto già detto) nel pieno rispetto del contraddittorio, quindi del diritto di difesa della SERT. Quanto al resto, è sufficiente rilevare come nessuna influenza sull’accertamento dello stato oggettivo di insolvenza, unico dato rilevante ai fini della declaratoria di fallimento, può attribuirsi alla verifica delle cause di esso, e quindi anche della sua eventuale addebitabilità a condotte di terzi.

3. Non merita infine accoglimento neanche il quarto motivo, con il quale la ricorrente torna ad evidenziare come non siano stati esaminati, o siano stati erroneamente valutati, gli eventi che hanno originato la crisi di SERT; e come il debito verso l’Agenzia delle Entrate sia stato erroneamente quantificato in oltre Euro 11 milioni, mentre sarebbe pari a Euro 4.191.000, ampiamente garantito dal patrimonio immobiliare, avente un valore stimato quale base d’asta in sede di procedura esecutiva di oltre Euro 10 milioni. La prima questione è infatti priva di rilevanza, come detto, ai fini della declaratoria di fallimento; la seconda doglianza attinge al merito della valutazione circa lo stato di insolvenza, ed è come tale inammissibile in quanto estranea alla verifica di legittimità riservata a questa Corte.

4. Il rigetto del ricorso si impone dunque.

5. Non vi è luogo per una pronuncia sulle spese di questo giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto difese.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2017

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