Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2040 del 26/01/2018


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Cassazione civile, sez. I, 26/01/2018, (ud. 14/07/2017, dep.26/01/2018),  n. 2040

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente ha proposto ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., della sentenza di questa Corte del 12 novembre 2015, n. 23176, con la quale è stato respinto il ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo del 26 febbraio 2014.

Tale ultima sentenza ha dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, l’impugnazione del lodo, intercorso tra il B. ed il Comune, proposta dall’ente pubblico.

La sentenza di questa Corte, ora impugnata per revocazione, nel respingere il ricorso, ha ritenuto che la pronuncia del lodo sia avvenuta dopo la declinatoria della competenza da parte del Tribunale ordinario, non impugnata con regolamento di competenza, onde si è formato giudicato sul punto, essendosi ormai la competenza cristallizzata in capo agli arbitri – con indiscutibilità del giudicato sull’atto che ne è alla base, ossia la clausola compromissoria – ed il lodo avrebbe dovuto essere impugnato secondo gli art. 827 c.p.c. e ss., entro i termini all’uopo stabiliti, pacificamente nella specie decorsi al momento della impugnazione del lodo innanzi alla corte d’appello, come da questa affermato.

Resiste con controricorso l’intimato.

Le parti hanno depositato la memoria di cui all’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso denunzia, quale motivo di revocazione per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, l’avere l’ordinanza di questa Corte ritenuto esistente un giudicato sulla competenza arbitrale in forza della sentenza declinatoria di competenza del Tribunale di Patti, non impugnata con regolamento, laddove, invece, il giudicato non sussiste, essendosi quel giudizio estinto, per mancata riassunzione della causa per oltre tre anni, giudicato che esisterebbe solo ove il giudizio fosse stato riassunto, ai sensi dell’art. 50 c.p.c., comma 1, mentre non opera l’effetto dell’art. 310 c.p.c., non trattandosi di pronuncia di merito o regolatrice della competenza; essendo mancata, nella specie, la volontà di devolvere la competenza agli arbitri, per inesistenza della relativa clausola compromissoria, si violerebbero dunque i principi di cui agli art. 24,25,102 e 111 Cost.

2. – Il ricorso è inammissibile.

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso per cassazione, vertente su di unico motivo, con il quale si chiedeva di cassare la sentenza della corte territoriale per violazione degli art. 161,828 e 829 c.p.c., deducendo la presunta erroneità della pronuncia di inammissibilità dell’impugnazione di lodo arbitrale emessa dalla Corte d’appello di Palermo, per la tardività di essa.

Il ricorrente deduce, nella sostanza, che la decisione impugnata abbia male interpretato la sentenza del tribunale, il quale contrariamente a quanto dalla prima opinato – non aveva pronunciato sulla competenza con efficacia di giudicato, in tal modo derivandone che il lodo avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato secondo le regole del codice di rito che ne regolano l’impugnazione, e non senza termini.

Tuttavia, sia il denunziato errore interpretativo della sentenza pronunciata dalla corte d’appello, sia la ritenuta applicazione delle norme in tema di impugnazione di lodo arbitrale sono riconducibili alla categoria degli errori di diritto e non di fatto, onde non integrano la fattispecie della revocazione, mirando piuttosto a riproporre alla Corte un giudizio sui motivi di quel ricorso.

E’ stato già affermato (Cass., ord. 13 gennaio 2015, n. 321; 25 giugno 2008, n. 17443), con principio valido anche per la speculare ipotesi di presupposizione erronea della esistenza positiva di un giudicato, che “l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza, non sussiste allorchè la parte abbia denunciato l’erronea presupposizione dell’inesistenza di un giudicato, poichè questo, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma attiene all’interpretazione delle norme giuridiche, mentre l’errore revocatorio deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti a giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali”.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti della condanna ex art. 96 c.p.c., in quanto integra la “colpa grave” – quale stato soggettivo che si concreta nel mancato doveroso impiego di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l’ingiustizia della propria domanda – la proposizione di un ricorso per revocazione di una sentenza della corte di cassazione, prospettandosi come vizio revocatorio un preteso error in iudicando commesso dalla corte stessa, in presenza di una consolidata e costante giurisprudenza che esclude l’errore di giudizio dai vizi revocatori di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4per le sentenze di legittimità (in tal senso, cfr. sin da Cass. 18 febbraio 1994, n. 1592; 30 settembre 1989, n. 3948).

Per quel che concerne il quantum della condanna da irrogare, appare ragionevole assumere come parametro di riferimento l’importo liquidato per le spese dovute alla parte vittoriosa per il grado di giudizio, onde si stima equo condannare il ricorrente al pagamento in favore della controparte della ulteriore somma di Euro 3.500,00.

Deve provvedersi altresì all’accertamento di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge, nonchè al risarcimento del danno per lite temeraria nella misura di Euro 3.500,00.

Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2018

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