Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20397 del 25/08/2017

Cassazione civile, sez. I, 25/08/2017, (ud. 14/06/2017, dep.25/08/2017),  n. 20397

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5133/2014 R.G. proposto da:

I.M., rappresentata e difesa, giusta mandato steso a

margine del ricorso, dagli Avv.ti Francesco Cao, del Foro di Novara,

ed Enrico Dante, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo, alla via Tacito n. 10 in Roma;

– ricorrente –

contro

Intesa San Paolo Spa, in persona del legale rappresentante pro –

tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Franco Zanetta, del Foro

di Novara, e Gerardo Vesci, ed elettivamente domiciliata presso lo

studio di quest’ultimo, alla via di Ripetta n. 22 in Roma;

avverso la sentenza n. 884 della Corte d’Appello di Torino,

depositata il 30 aprile 2013.

Ascoltata la relazione svolta, nella camera di consiglio del 14

giugno 2017, dal Consigliere Di Marzio Paolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.L., di cui è erede l’odierna ricorrente I.M., in qualità di socio accomandatario della (OMISSIS) Sas, nell’anno 1985 accendeva il conto corrente n. 10/15238 presso la filiale di (OMISSIS), cui è poi succeduta l’odierna controricorrente. La Banca accordava diverse linee di credito e si costituivano quali garanti lo stesso I.L. e sua moglie B.G.. Negli atti costitutivi delle garanzie personali era previsto, all’art. 3, che -le obbligazioni sono solidali e indivisibili anche nei confronti dei successori o aventi causa”.

I.L. cedeva la sua partecipazione societaria al figlio I.R. nel 1999, ed a quest’ultimo la Banca concedeva ulteriori linee di credito. Nell’anno 2005 decedeva I.L.. Poco tempo dopo, il 22.2.2006, l’Istituto di credito otteneva il primo decreto ingiuntivo nei confronti di I.R. e dei garanti; il 3.3.2006 la società (OMISSIS) Sas, era dichiarata fallita.

Vantando un credito di Euro 214.849,86 oltre accessori, per saldo debitore del conto corrente n. 10/15238, in conseguenza di prestito agrario non onorato ed in dipendenza di due operazioni di anticipo su fatture, la Banca conseguiva in data 22.5.2008 decreto ingiuntivo nei confronti degli eredi di I.L., tra cui la I.M. odierna ricorrente. Quest’ultima proponeva opposizione, che era però rigettata dal Tribunale di Torino. In particolare il giudice di prime cure riteneva che la garanzia prestata da I.L., cui era succeduta I.M., avesse natura di obbligazione autonoma di garanzia, avverso la quale risultava proponibile solo la exceptio doli per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, e riteneva pertanto proponibile l’eccezione relativa alla previsione di tassi usurari, ma non quella relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori. Anche la contestazione relativa all’applicazione di tassi di interesse usurari, comunque, era rigettata dal Tribunale, “perchè del tutto generica nella sua formulazione”.

I.M. proponeva impugnazione innanzi alla Corte d’Appello sabauda. Quest’ultima, per quanto ancora d’interesse, innanzitutto chiariva che la ricorrente non aveva contestato la natura di contratto autonomo della garanzia prestata dal suo dante causa, ed osservava che, in conseguenza, la garanzia non si poneva -come accessoria rispetto al rapporto garantito, ma come indipendente da detto rapporto”. Rilevava la Corte di merito, inoltre, che neppure il debito maturato in conseguenza del prestito agrario era stato fatto oggetto di contestazione. La ricorrente, ancora, non aveva contestato neanche il rigetto della domanda che aveva introdotto affermando la natura usuraria degli interessi applicati dall’Istituto di credito.

In ordine alla contestazione proposta dalla ricorrente a proposito dell’applicazione della solidarietà debitoria tra gli aventi causa, convenzionalmente concordata dall’originario garante I.L., in deroga al generale regime di responsabilità degli eredi pro quota in relazione ai debiti ereditari, la Corte territoriale osservava che la solidarietà, nel caso di specie, non dipende dalla disciplina generale delle successioni (artt. 752 e 754 c.c.), bensì “dal principio generale in base al quale ogni debitore può apporre sui suoi beni i carichi che gli aggradano, salva la possibilità per gli eredi di sottrarsi a tali vincoli rinunciando all’eredità o accettandola con il beneficio d’inventario”, ipotesi che non si erano verificate nel caso di specie. L’appello era pertanto rigettato.

I.M. propone il proprio ricorso, avverso la decisione della Corte d’Appello di Torino, affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso Intesa San Paolo Spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116, c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., la ricorrente contesta le valutazioni della Corte di Appello per non aver tenuto conto che, già in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva sostenuto il mero saldaconto non potesse costituire documentazione idonea a fondare la prova dell’esatto ammontare dell’asserito credito della Banca, ed aveva criticato l’illegittima applicazione di interessi ultralegali non concordati. La controparte, invero, aveva resistito a queste critiche, ma non aveva fornito la prova del proprio credito, che solo ad essa competeva, anche in presenza di un contratto autonomo di garanzia.

1.2. – Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), (cfr. descrizione del motivo, pag. 16 del ricorso, in fine), per violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 2697, 1362, 1944, 1945, nonchè 1418, 1421, 1284 e 1346 c.c., nonchè della L. n. 154 del 1992, art. 4, poi trasfuso nell’art. 117 TUB, e dell’art. 111 Cost., la ricorrente critica le valutazioni della Corte di Appello che, dopo aver correttamente ritenuto proponibile, avverso un contratto autonomo di garanzia, l’exceptio doli, ha poi trascurato che la previsione dell’art. 1283 c.c., in relazione al divieto di applicazione dell’anatocismo, ha natura di disposizione di ordine pubblico. In definitiva la Banca avrebbe provato il proprio credito sulla base di una dichiarazione unilaterale, supportata dalla produzione di un solo estratto conto dichiarato conforme alle scritture contabili dell’Istituto. Doveva invece affermarsi che ricorre nel caso di specie l’ipotesi dell’exceptio doli per nullità della causa, ed anche per il difetto delle condizioni minime idonee a consentire la determinabilità dell’oggetto del contratto.

1.3. – Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in conseguenza della violazione o falsa applicazione degli artt. 1295,752,754 e 1341 c.c., la ricorrente contesta alla Corte territoriale di aver errato nell’affermare che la responsabilità solidale per le obbligazioni ereditarie possa avere origine convenzionale, pertanto estranea alle disposizioni testamentarie, liddove “la responsabilità dell’erede nei confronti del creditore, invece, risulta essere disciplinata esclusivamente dalla disposizione codicistica di cui all’art. 754 c.c., che non prevede affatto che un erede (e non coerede) possa essere chiamato a rispondere di eventuali debiti per importi superiori alla quota ereditata”.

Le contestazioni proposte dalla ricorrente appaiono in parte inammissibili, e per la parte rimanente risultano infondate.

2.1 – 2.2. – Con i primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in ragione del loro oggetto, la ricorrente ripropone le sue contestazioni per non avere la Banca provato l’ammontare del proprio preteso credito, nonchè avverso l’applicazione da parte della Banca di interessi usurari e dell’anatocismo. Queste tematiche sono state esaminate e decise dalla Corte di merito. Quest’ultima ha osservato che I.M. non aveva proposto contestazioni (tra l’altro) in ordine al rigetto ad opera del giudice di prime cure, per la genericità della contestazione, della domanda di dichiarare illegittimi gli interessi usurari che affermava essere stati applicati dalla Banca; pertanto sul punto aveva avuto a formarsi il giudicato. Questa chiara affermazione della Corte di merito non è stata sottoposta a specifica critica in questa sede. La odierna ricorrente, ha rilevato ancora la Corte d’Appello, non aveva contestato neppure la qualificazione come contratto autonomo della garanzia personale originariamente prestata da I.L.; ed anche su tale profilo della decisione di primo grado si era pertanto formato il giudicato, con la conseguenza che non è consentito alla ricorrente la proposizione -di eccezioni fondate sulla esistenza o meno della prova del credito e sulla idoneità delle scritture utilizzate dalla Banca (il salda conto ex art. 50 TUB) al fine di provare appunto il suo credito – (cfr. sent. Corte d’Appello, p. 14). Questa chiara ratio decidendi non è stata fatta oggetto di specifica critica da parte della ricorrente. In questa sede la ricorrente contesta che pur in presenza di un contratto autonomo di garanzia deve fornirsi la prova del credito, e che l’addebito di interessi anatocistici può essere contestato, anche in relazione ad un contratto autonomo di garanzia, perchè attiene all’ordine pubblico. I rilievi non appaiono comunque fondati.

In primo luogo appare opportuno sottolineare che non si pone un problema di esistenza del credito in conto capitale della Banca. Questo profilo non è stato fatto oggetto di impugnativa da parte della ricorrente. Quest’ultima contesta, piuttosto, le modalità di conteggio degli interessi adottate dalla Banca creditrice. In proposito l’impugnante afferma che l’applicazione di interessi anatocistici si pone in conflitto con l’ordine pubblico, ma non chiarisce il fondamento della propria opinione, e neppure critica specificamente la ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale, secondo cui un problema di contrarietà con l’ordine pubblico può porsi in relazione all’applicazione di interessi usurari, ma non di quelli anatocistici. Sembra opportuno ricordare che gli interessi anatocistici possono essere convenzionalmente pattuiti. In particolare, con riguardo (anche) alla specifica problematica degli interessi anatocistici, la Suprema Corte ha già avuto occasione di precisare che -nel contratto autonomo di garanzia – ai fini della cui distinzione dalla fideiussione – non è decisivo l’impiego o meno di espressioni quali “a prima richiesta” o “a semplice richiesta scritta”, ma la relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e quella di garanzia. Il garante, improntandosi il rapporto tra lo stesso ed il creditore beneficiario a piena autonomia, non può opporre al creditore la nullità di un patto relativo al rapporto fondamentale, salvo che dipenda da contrarietà a norme imperative o dall’illiceità della causa e che, attraverso il medesimo contratto autonomo, si intenda assicurare il risultato vietato dall’ordinamento. Nondimeno, si deve escludere che la nullità della pattuizione di interessi ultralegali si comunichi sempre al contratto autonomo di garanzia, atteso che detta pattuizione – eccezion fatta per la previsione di interessi usurari – non è contraria all’ordinamento, non vietando quest’ultimo in modo assoluto finanche l’anatocismo, così come si ricava dall’art. 1283 c.c. e il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120″, Cass. sez. 3, sent. 3.3.2009, n. 5044.

Più in generale, poi, questa Corte ha chiarito che la “exceptio doli generalis seu praesentis, ha ad oggetto la condotta abusiva o fraudolenta dell’attore, che ricorre quando questi, nell’avvalersi di un diritto di cui chiede tutela giudiziale, tace, nella prospettazione della fattispecie controversa, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto fatto valere ed aventi forza modificativa o estintiva dello stesso, ovvero esercita tale diritto al fine di realizzare uno scopo diverso da quello riconosciuto dall’ordinamento o comunque all’esclusivo fine di arrecare pregiudizio ad altri, o, ancora, contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui. Ne consegue che, in materia di contratto autonomo di garanzia, non possono essere addotte a fondamento della exceptio doli circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di eccezione di merito opponibile nel rapporto principale dal debitore garantito al creditore e beneficiario della garanzia, in quanto elemento fondamentale di tale rapporto è”, proprio, “la inopponibilità da parte del garante di eccezioni di merito proprie del rapporto principale”, Cass. sez. 5^, sent. 12.9.2012, n. 15216(conf Cass. sez. 1^, sent. 31.7.2015, n. 16213). La Suprema Corte ha avuto anche occasione di specificare che “se la garanzia rilasciata” deve qualificarsi “come contratto autonomo di garanzia”, ne consegue la “inopponibilità delle eccezioni fondate sul rapporto tra debitore garantito e creditore, salvo il limite dell’exceptio doli ove la richiesta di pagamento risulti, prima facie, frutto di un comportamento fraudolento del garantito”, Cass. sez. 5^, sent. 12.12.2013, n. 27816. La contestazione di un comportamento fraudolento dell’Istituto di credito non è stata prospettata dalla ricorrente. Al di là dell’inquadramento generale dell’istituto del contratto autonomo di garanzia, di cui si sono sintetizzati gli approdi, peraltro, la Suprema Corte ha già avuto modo di esaminare fattispecie analoghe a quella in esame, ed ha sancito che, ove ricorra un’ipotesi di contratto autonomo di garanzia “spetta al garante, che voglia dimostrare la natura fraudolenta od abusiva della richiesta di escussione della garanzia la prova dell’esatto adempimento del debitore”, Cass. sez. 3^, sent. 12.12.2008, n. 29215, non avendo mancato di chiarire che “nel contratto autonomo di garanzia, al garante non è consentito opporre al creditore eccezioni che traggano origine dal rapporto principale, salvo l'”exceptio doli”, formulabile nel caso in cui la richiesta di pagamento risulti “prima facie” abusiva o fraudolenta, deve altresì escludersi, se la richiesta nei confronti del garante sia fondata sull’inadempimento dell’obbligazione principale, l’onere del creditore di allegare e provare le specifiche inadempienze del debitore principale; è invece il garante che per escludere la propria responsabilità deve fornire la prova certa ed incontestata dell’esatto adempimento da parte del garantito”, Cass. sez. 2^, sent. 21.4.1999, n. 3963. La giurisprudenza di legittimità ha quindi proposto un orientamento consolidato e condivisibile, al quale si intende pertanto assicurare continuità. Inoltre, merita ancora di essere osservato, il contratto autonomo di garanzia è un negozio di per sè lecito, e la ricorrente non ha specificamente contestato perchè, nel caso di specie, ricorrerebbe un’ipotesi di nullità della causa o di indeterminatezza, ed indeterminabilità, dell’oggetto del contratto.

I motivi di ricorso devono pertanto essere respinti.

2.3. – Con il terzo motivo d’impugnazione la ricorrente contesta la decisione della Corte d’Appello nella parte in cui ha ritenuto che tra gli eredi possa ritenersi in vigore la solidarietà debitoria in conseguenza di un patto stipulato dal de cuius al di fuori del testamento, mentre la solidarietà tra i coeredi potrebbe essere conseguenza solo di una disposizione testamentaria. La Corte d’Appello ha efficacemente replicato a questo argomento, sottolineando che I.M. è debitrice solidale non in conseguenza della disciplina successoria, bensì per essere subentrata in un debito che il suo dante causa aveva pattuito dovesse essere solidale tra i suoi successori. La valutazione adottata dalla Corte territoriale, e la motivazione proposta, appaiono conformi al diritto vigente ed al consolidato orientamento espresso da questa Corte, e non meritano censure. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha avuto occasione di affermare, ripetutamente, che “la clausola di un contratto concluso dal de cuius e riconducibile alla norma dell’art. 1341 c.c. (nella specie un contratto di conto corrente bancario), con la quale si pattuisce che per le obbligazioni derivanti dal contratto siano solidalmente responsabili gli eredi del debitore, non può ritenersi di natura vessatoria, non rientrando fra quelle tassativamente indicate dall’art. 1341 c.c., giacchè, se da un lato la deroga a un principio di diritto non costituisce parametro di configurazione delle clausole vessatorie, dall’altro la ripartizione dei debiti fra gli eredi è prevista dalla disposizione dell’art. 752 c.c. “salvo che il testatore abbia disposto diversamente”, potendo il debitore apporre ai suoi beni i carichi che più gli aggradano, salva agli eredi la facoltà di sottrarsi a quei vincoli, rinunciando all’eredità o accettandola con il beneficio d’inventario”, Cass. sez. 2^, sent. 7.4.2005, n. 7281 (conf. Cass. sez. 2^, sent. 25.10.2000, n. 14063, Cass. sez. 3^, sent. 25.11.1988, n. 6345, Cass. sez. 1^, sent. 27.6.1967, n. 1590). La ricorrente propone una propria interpretazione della normativa vigente, ma non ha cura di spiegare quale errore sia stato commesso dalla Corte di merito, la quale non si è discostata da consolidata giurisprudenza di legittimità, e di cui occorre pertanto confermare gli approdi.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo. Riscontrato che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso.

Condanna I.M., al pagamento delle spese di lite in favore della costituita resistente, e le liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2017

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