Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20393 del 25/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 25/08/2017, (ud. 12/04/2017, dep.25/08/2017),  n. 20393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25096/2013 R.G. proposto da:

FIN STAR S.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Perfetti, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, alla via Livorno n.

51, in Roma;

– ricorrente –

contro

BANCA GENERALI Spa e BANCA GENERALI SOCIETA’ DI GESTIONE DEL

RISPARMIO Spa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

entrambe rappresentate e difese dall’Avv. Luca Vecchioni, ed

elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. Marco Vincenti,

alla via G. Ferrari n. 35, in Roma;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 604/2013,

depositata il 26 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 aprile 2017

dal Consigliere Dott. Paolo Di Marzio;

uditi gli Avv.ti Paolo Perfetti per la ricorrente e Marco Vincenti

per le controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

FIN STAR – società anonima della (OMISSIS) che si occupa di consulenza commerciale e finanziaria – conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trieste la Spa BANCA GENERALI e la Spa BANCA GENERALI SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO, affermando l’illegittimità del recesso comunicato dalle stesse in relazione ai contratti in essere tra le parti, perchè contrario a buona fede, e domandando la condanna delle convenute al risarcimento del danno nella misura di Euro 622.053,15.

Per la miglior ricostruzione dei fatti oggetto di causa, appare opportuno ricordare subito che, nel loro atto difensivo, le controricorrenti hanno avuto cura di chiarire che BANCA GENERALI Spa ha operato nella vicenda in esame quale collocatore di prodotti finanziari, mentre BANCA GENERALI SOCIETA’ DI GESTIONE DEL RISPARMIO Spa è una società di gestione delle partecipazioni ai fondi di investimento da essa promossi.

Spiegava l’attrice di avere in più riprese affidato alla gestione delle controparti somme cospicue, nel complesso oltre 2.300.000,00 Euro, e che aveva ricevuto il 17 febbraio e l’11 marzo del 2009 comunicazione del recesso delle convenute da tutti i rapporti ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 23 (antiriciclaggio). La somma resa a seguito del recesso risultava però inferiore a quella investita proprio nella misura dell’importo richiesto quale risarcimento del danno.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda. Il giudice di prime cure aveva ritenuto il difetto di legittimazione passiva della BANCA GENERALI, per non essere stati indicati i contratti con essa stipulati dall’attrice. In relazione alla BANCA GENERALI GESTIONE RISPARMIO, poi, l’intervenuto recesso neppure era sindacabile, perchè posto in essere in ottemperanza alla disciplina antiriciclaggio. In ordine alla condotta successiva della convenuta, ancora, doveva osservarsi che, ai sensi di legge, a seguito del recesso essa non poteva compiere ulteriori atti di gestione del patrimonio mobiliare dell’attrice. L”impugnativa proposta dalla FIN STAR S.a. era anch’essa rigettata, mediante la sentenza ora gravata. La Corte d’Appello di Trieste ricordava che, nell’atto di citazione in primo grado, la ricorrente aveva chiesto dichiararsi illegittimo il recesso comunicato dalle controparti perchè contrario a buona fede, ed aveva domandato il risarcimento del danno subito. Solo in successiva memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1. La FIN STAR aveva poi domandato in via subordinata, per l’ipotesi che fosse ritenuta la legittimità del recesso, di accertare che gli investimenti erano stati tutti effettuati con la formula capitale protetto-; in conseguenza, la differenza tra il capitale investito e la minor somma riconsegnata dalle resistenti a seguito della liquidazione del patrimonio mobiliare, imponeva comunque la condanna delle controparti a restituire la medesima somma già richiesta a titolo di risarcimento del danno. La Corte d’Appello evidenziava che la domanda originaria era stata di condanna al risarcimento del danno a causa di recesso illegittimo, mentre la domanda era successivamente mutata in una istanza di restituzione, integrale e non parziale, dell’investimento eseguito, a seguito di recesso legittimo. La Corte di merito affermava, innanzitutto, che “i fondi a capitale protetto non garantiscono la restituzione del capitale nè un rendimento minimo, tant’è che può in effetti verificarsi una perdita”. Chiariva quindi, la Corte territoriale, che la originaria domanda risarcitoria non era stata più riproposta dalla parte, essendo stata coltivata solamente la pretesa restitutoria. Spiegava, ancora, come fosse incontestato tra le parti che il valore degli strumenti finanziari acquistati dalla FIN STAR, anche a seguito della loro liquidazione, aveva continuato a scendere; pertanto una liquidazione successiva dell’investimento avrebbe comportato ancor maggiori perdite. Ricordava poi che, ai sensi dell’art. 37, Reg. Consob n. 15222 del 1998, dal momento del recesso gli intermediari autorizzati non possono più compiere atti di gestione sul patrimonio gestito, ma nel caso di specie le resistenti non avevano posto in essere un atto di gestione, in quanto si erano limitate a provvedere alla mera liquidazione del patrimonio mobiliare. A seguito del legittimo recesso di una parte, il rapporto contrattuale era venuto meno – a prescindere dalla non provata esistenza di clausole di salvaguardia del capitale investito – ed era proprio nel momento in cui il rapporto contrattuale era cessato che occorreva valutare – le rispettive partite nella loro consistenza”.

Avverso la decisione della Corte d’Appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione FIN STAR S.a., affidandosi a cinque motivi. Hanno resistito con controricorso BANCA GENERALI Spa e BANCA GENERALI GESTIONE RISPARMIO Spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 183 c.p.c., la ricorrente contesta l’avere la “Corte d’appello rilevato, seppur implicitamente, una mutatio libelli in primo grado”, affermando che alla originaria domanda di accertamento dell’illegittimità del recesso comunicato dalle controparti, e conseguente richiesta di risarcimento del danno, era stata poi aggiunta la domanda di restituzione di somme perchè l’investimento risultava tutelato mediante la formula capitale protetto, sebbene il recesso fosse legittimo. Diversamente di emendatio libelli si era trattato, poichè la FIN STAR sin dall’inizio aveva censurato ogni comportamento lesivo tenuto dalle controparti. Il petitum non era mutato e la modifica della causa petendi era conseguenza delle eccezioni sollevate dalle controparti.

2. Con il secondo motivo di ricorso, indicato come proposto per la contestata violazione o falsa applicazione degli artt. 342 e 346 c.p.c., la ricorrente critica l’affermazione della Corte d’appello secondo cui “in appello la domanda originaria restitutoria non è stata più proposta” affermando che, fin dall’atto di citazione, il risarcimento del danno era stato domandato non solo per il recesso operato dalle controparti, che si riteneva illegittimo, ma anche perchè le resistenti avevano arbitrariamente liquidato il capitale investito, e questa condotta illegittima aveva provocato il danno che si domandava di risarcire. Avendo avuto ragione nel merito dal giudice di primo grado, che aveva affermato la responsabilità della banca per eccesso di potere gestorio, non era suo compito impugnare il relativo profilo della decisione.

3. Con il terzo motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente contesta la omessa considerazione, da parte della Corte d’appello, che non solo la FIN STAR mai aveva autorizzato il disinvestimento e la liquidazione dei propri titoli ma, anzi, lo aveva espressamente vietato. La Corte d’Appello riteneva la liquidazione addirittura un atto dovuto, “ignorando ed omettendo di esaminare tutte le contrarie allegazioni e risultanze istruttorie e documentali, sfavorevoli a controparte. Ai sensi dell’art. 19 del contratto di gestione, a seguito dello scioglimento del contratto, la banca avrebbe potuto consegnare i titoli o liquidarli e consegnare il ricavato, ma la scelta spettava alla cliente FIN STAR”.

4. Con il quarto motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 1117 c.c. e dell’art. 37, comma 3, del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, la ricorrente contesta che la mandante FIN STAR aveva impartito precise disposizioni, che avrebbero dovuto essere seguite dalle resistenti, consegnando i titoli ad altro intermediario finanziario, e non poteva invece venderli. Agendo in tal modo le resistenti avevano violato le regole del mandato. Segnalava quindi la ricorrente che le controparti, nonostante ripetute richieste, neanche avevano fornito l’indicazione di quali titoli componessero il suo portafoglio mobiliare, con la conseguenza che la ricorrente non era stata neppure posta in condizione di riacquistare gli stessi titoli sul mercato.

5. Con il quinto motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 112 c.p.c., la ricorrente contestava che la Corte d’Appello non aveva pronunciato sulla impossibilità per la FIN STAR di riacquistare i titoli disinvestiti in conseguenza della mancata conoscenza degli stessi a causa della condotta di controparte; neppure aveva pronunciato in materia di legittimazione passiva della Banca Generali. La ricorrente contestava, inoltre, l’ultrapetizione in cui era incorsa la Corte d’Appello, per avere affrontato d’ufficio – l’eccezione di cui all’art. 1227 c.c., comma 2″, mai sollevata dalla controparte.

Sembra opportuno ricordare che il ricorso per cassazione impone la proposizione di motivi specifici, che trovino fondamento in norme di legge, sostanziali e processuali, che è onere del ricorrente indicare. Deve allora osservarsi che solo in relazione ad un motivo, il terzo (proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cd. vizio di motivazione), la ricorrente ha ritenuto di indicare ai sensi di quale disposizione processuale il ricorso fosse stato introdotto, ed in questo caso deve poi osservarsi che è invece mancata la indicazione della normativa sostanziale invocata a sostegno della proposta contestazione. Inoltre, il ricorrente è tenuto a criticare specificamente ognuna delle ragioni della decisione proposte dal giudice impugnato. non potendo limitarsi a contestarne solo taluna.

Nello sforzo di evitare formalismi, comunque, i motivi possono essere esaminati, e risultano in parte inammissibili e per la parte residua infondati.

2.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente contesta che la Corte d’Appello avrebbe, implicitamente, ritenuto tardiva la proposizione della domanda di restituzione di somme a seguito di recesso legittimo, dopo aver originariamente domandato l’accertamento dell’illegittimità del recesso ed il risarcimento del danno. In conseguenza la Corte d’Appello non aveva pronunciato sulla domanda (restitutoria), qualificata come di risarcimento del danno provocato dalla condotta della banca successiva al comunicato recesso, quando aveva liquidato il patrimonio mobiliare anzichè trasferirlo ad altro intermediario. In realtà la critica proposta dalla ricorrente non coglie la ratio decidendi posta a fondamento della propria pronuncia dalla Corte d’Appello, che non si fonda sull’inammissibilità della mutatio libelli, bensì sulla piena legittimità del recesso delle controricorrenti e delle condotte consequenziali, derivandone la infondatezza di qualsivoglia pretesa risarcitoria azionata dalla ricorrente. In ogni caso le domande di pronuncia di illegittimità del recesso, e conseguente risarcimento del danno, e di restituzione di somma a seguito di legittimo esercizio della facoltà di recesso, sono oggettivamente diverse, in quanto sono fondate su una causa petendi ed un fatto costitutivo diversi. “La questione della novità della domanda”, peraltro, ha già avuto modo di precisare questa Corte, “risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice Cass., sent. 30.11.2011 n. 25598. Non solo, la Suprema Corte ha già specificato che “‘art. 183 c.p.c., consente all’attore di proporre le domande consequenziali alle eccezioni o domande del convenuto soltanto nell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. e non anche, a pena di inammissibilità rilevabile anche d’ufficio, con le memorie previste dalla medesima norma”, Cass., sent. 19.7.2013, n. 17708. La domanda in questione è stata pacificamente introdotta dalla odierna ricorrente nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 e risultava pertanto inammissibile. Nel caso di specie, poi, il motivo di ricorso difetta anche di specificità, non avendo la convenuta compiutamente indicato da quali difese delle controparti era dipesa la necessità di introdurre la nuova domanda. Solo per completezza, pertanto, può osservarsi che la domanda di restituzione della somma investita, a seguito di recesso legittimo, non avrebbe comunque potuto trovare accoglimento in questa sede, perchè la ricorrente non ha avuto cura di contrastare la affermazione della Corte d’Appello secondo cui “i fondi a capitale protetto non garantiscono la restituzione del capitale nè un rendimento minimo, tant’è che può in effetti verificarsi una perdita”. Ancor prima, la ricorrente non ha neppure indicato le specifiche emergenze processuali da cui fosse possibile desumere che l’investimento da essa effettuato era “a capitale protetto”, e quali conseguenze avrebbero dovuto derivare da questa qualificazione.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.2. – 2.3. – 2.4. Il secondo, il terzo, ed il quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti contestano il mancato accertamento, da parte della Corte d’Appello, che le controricorrenti avevano disinvestito e liquidato il patrimonio mobiliare della ricorrente, contravvenendo agli obblighi contrattualmente assunti, in presenza di una esplicita manifestazione di volontà contraria espressa dalla FIN STAR e provocando con tale condotta un danno risarcibile. La ricorrente afferma che l’inadempimento delle controricorrenti era stato accertato dal giudice di prime cure, ma era stato poi trascurato nella sua decisione dalla Corte d’Appello. Occorre allora ricordare che l’odierna ricorrente era risultata totalmente soccombente in primo grado – posto che il principio di soccombenza si stima valutando l’accoglimento, o meno, della domanda giudiziale, e non delle argomentazioni giuridiche utilizzate per illustrare la fondatezza delle proprie ragioni dalla parte soccombente – e la ricorrente aveva pertanto l’onere di impugnare la sentenza riproponendo specificamente tutte le domande e le argomentazioni introdotte nel corso del primo grado del giudizio. Deve poi osservarsi che non è qui in questione la violazione di norme contrattuali, bensì la correttezza della condotta delle controricorrenti in base alla legislazione vigente. Il D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 23, come mod., nel testo applicabile ratione temporis, già prevedeva che “Quando gli enti o le persone soggetti al presente decreto non sono in grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela… pongono fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già in essere… ed appare fondata l’osservazione delle controparti secondo cui, essendo stati i capitali forniti dalla ricorrente investiti in quote di propri fondi comuni di investimento mobiliare, qualora le stesse fossero state trasferite presso altro intermediario, il rapporto con la FIN STAR, che pure doveva cessare per obbligo di legge, sarebbe invece illegittimamente proseguito. Le specifiche disposizioni di legge prevalgono, evidentemente, sulle previsioni regolamentari ed anche su quelle contrattuali, dipendano queste ultime da privati accordi o dalla disciplina generale del contratto di mandato. Non essendo state in grado di compiere l’adeguata verifica della clientela, le controricorrenti hanno comunicato alla FIN STAR il recesso, hanno liquidato il patrimonio mobiliare detenuto dalla stessa e le hanno trasferito il ricavato. La condotta delle controricorrenti è stata pertanto legittima ed incolpevole. La ricorrente, del resto, neppure provvede ad indicare in che cosa trovi fondamento la sua affermazione secondo cui la scelta tra la liquidazione del patrimonio mobiliare ed il trasferimento dei titoli ad altro intermediario sarebbe stata di competenza propria, e non delle controricorrenti. Tanto deve osservarsi anche a prescindere dalla considerazione che la ricorrente insiste ad affermare di avere subito un danno e ne lamenta l’omesso risarcimento, ma non contrasta in modo adeguato l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui i titoli mobiliari in cui era stato investito il denaro della impugnante hanno continuato a perdere valore, discendendone che ogni esitazione nella liquidazione dell’investimento avrebbe comportato un maggiore deprezzamento dell’investimento, con la conseguenza che non è dato individuare un danno, subito dalla ricorrente in conseguenza del disinvestimento, di cui possa ipotizzarsi la risarcibilità, al ricorrere dei presupposti di legge.

I motivi di ricorso devono pertanto essere respinti.

2.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta l’omessa pronuncia della Corte d’Appello sulla contestazione della ricorrente di non essere stata posta in condizione di riacquistare i titoli che componevano il suo patrimonio mobiliare, perchè non è stato ad essa comunicato dalle controricorrenti quali essi fossero. Il motivo difetta di specificità, perchè non indica in base a quale emergenza processuale le controricorrenti fossero gravate da un simile obbligo di comunicazione, di natura contrattuale o diversa. Nello stesso quinto motivo la ricorrente contesta alla decisione della Corte d’Appello anche di aver esaminato d’ufficio la ricorrenza del fatto colposo del creditore. La censura non può essere compiutamente esaminata, perchè la ricorrente non indica quali statuizioni della decisione impugnata intende specificamente contestare. Neppure appare comprensibile, e pertanto valutabile, la questione proposta dalla ricorrente in ordine alla omessa valutazione della legittimazione passiva della BANCA GENERALI Spa. Non si comprende, invero, quale ragione di doglianza la ricorrente intenda esprimere. Nel giudizio di secondo grado la stessa ricorrente ha proposto le sue doglianze nei confronti di entrambe le odierne controricorrenti, e la Corte d’Appello ha pronunciato nei confronti di ambedue.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Riscontrato che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso.

Condanna la FIN STAR S.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite in favore delle costituite resistenti, e le liquida in complessivi Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2017

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